Aggiornato al 18/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

 

A Vanvera (29)

di Massimo Biondi

 

Italiani mal mostosi

Quand’è che abbiamo cominciato a incattivirci?  Da quando il lamento è diventato il rumore di fondo della società?

Confusamente, e con molta approssimazione, mi viene da pensare all’introduzione del maggioritario. C’è altro, ma visto che è innegabile l’influenza della politica sui cittadini, quello forse è stato uno spartiacque.

Prima la politica era bloccata; nelle tornate elettorali non era in gioco il governo del Paese e le ricadute delle battaglie politiche sulla popolazione erano molto attutite.

Con il maggioritario bipolare cambia tutto: vinco io o vinci tu. E se vinco io, fu detto, non farò prigionieri. Oppure, nell’altro campo, si sognava l’avversario ridotto in miseria. Eliminato il galateo istituzionale, orpello della vituperata prima Repubblica.

I media – a loro volta decisivi nel modellare la cultura di massa – si sono adeguati. Prima era facile: governativo o antigovernativo a prescindere. Per decenni. Ma con l’alternanza dei governi testate come il Giornale (dopo Montanelli), Libero, la Repubblica – e alcune televisioni - hanno assunto linee editoriali palesemente orientate a mettere in cattiva luce quello che consideravano avversario politico, contribuendo di fatto a creare nella società fazioni contrapposte, poco inclini alle vie di mezzo e per nulla disposte a considerare gli avversari legittimi e rispettabili.

Paese in miseria e percorso da scorribande di barbari sbattuto in faccia alla sinistra ben oltre la realtà; classe dirigente indegna e barriere morali devastate come caratteristiche peculiari dei governi della destra, secondo gli avversari.

In questa fase socialmente immatura, per non dire primitiva, è apparso evidente che il lamento fa audience, al contrario dell’approvazione. Fa opinione. E il lamento fu cavalcato.

Si è andati a cercare il malcontento dovunque fosse lasciando intendere, quando al governo erano “gli altri”, che il Paese fosse alla deriva, ostile, inadempiente.

Dopo anni di lamentele amplificate – giustificate o meno - ci troviamo una popolazione incazzata e malmostosa, predisposta al piagnisteo. Non è un caso che dal maggioritario in poi nessuna maggioranza sia mai stata confermata. Sempre cambiare. Avanti un altro. Ma questo non sarebbe un problema; anzi, l’alternanza può essere positiva, se non implica di smontare comunque quanto fatto dai governanti precedenti. Vedere riforme della scuola e altro.

Il peggio oggi è una forma diffusa di depressione irosa che incoraggia l’inazione individuale, trovando nell’insipienza e nella scontata malafede di “chi ci governa” un alibi largamente condiviso. Così si alimenta la mancata disapprovazione sociale del disoccupato che non fa nulla per occuparsi, dell’evasore fiscale, dell’assenteista, di chi falsifica l’ISEE per non pagare l’asilo o i trasporti, di chi spreca farmaci ottenuti gratuitamente, di chi non si assicura e pretende che sia sempre e solo lo Stato a provvedere in caso di calamità.

Una mentalità che purtroppo va diffondendosi: in certi ambiti pare che studiare, impegnarsi, conquistare con sacrificio ruoli professionali e sociali stia diventando un fatto criticabile. Prevale il risentimento contro chi ce l’ha fatta, di solito sospettato di chissà quali indebite agevolazioni o personali nefandezze. Si reclama la meritocrazia ma c’è poca disponibilità a riconoscere il merito.

La realtà del Paese è complicata, come si sa, ma non è infelice come quella che dipingono i lamentosi a prescindere attraverso i microfoni dei loro complici, più o meno consapevoli. In Italia quasi tutto è migliorabile ma quasi tutto c’è, e non mancano situazioni decisamente positive. L’Università è pessima, dicono i critici, eppure ci sono eccellenze internazionali; il servizio sanitario è uno dei migliori del mondo, statistiche internazionali alla mano; alcuni settori industriali e alcune imprese sono leader mondiali; le forze dell’ordine svolgono bene il loro lavoro; il sistema pensionistico tutela quasi tutti anche se richiederebbe correzioni ulteriori; le città sono illuminate e, con rare eccezioni, sgomberate dai rifiuti. Sono anche ricche di storia e di bellezza, di solito, ma godere il bello non è piacere che tutti provano. 

Tutto è migliorabile, certo: la scuola, i trasporti, varie infrastrutture, la giustizia, i servizi per gli anziani e per alcune patologie che gravano enormemente sulle famiglie; e altro, a cominciare dall’economia, naturalmente, che è una grande nube nera incombente sul nostro futuro prossimo.

Tutto è migliorabile ma per migliorare si deve esaminare oggettivamente la realtà attuale (oggettivamente, cioè senza pregiudizi), ipotizzare quella alla quale tendere e decidere come agire per arrivare il più vicino e il più rapidamente possibile a quella. Nella considerazione dei vincoli esistenti, che non mancano.

Purtroppo però ragionamenti di questo tipo, del tutto normali, non passano: non bucano lo schermo e non raggiungono le pance, organo preposto al giudizio per una maggioranza di concittadini. Per costoro tutto da buttare, a cominciare dalle classi dirigenti. E buttando sempre tutto non si migliora mai.

Personalmente suggerirei di conservare riserve di lamento per il futuro, cioè già dai prossimi mesi in avanti, e per i prossimi anni. Potremmo rimpiangere ciò che oggi non ci soddisfa, chiunque governerà. Dietro l’angolo c’è sempre la possibilità che si stesse meglio quando si stava peggio.  

 

Dalla cronaca alla storia

La celebrazione di mani pulite ha deluso i celebratori, capeggiati da Davigo e Di Pietro, le cui carriere sono in parte tributarie di quella stagione. Li ha delusi perché la sala nella quale si teneva il loro convegno era praticamente deserta. E li ha delusi, probabilmente, perché nella ricorrenza del venticinquesimo anno dall’episodio delle banconote nel water di Mario Chiesa sono apparse valutazioni che si allontanavano dalla cronaca per avvicinarsi alla storia. E la storia è più severa.

 

Dalla storia alla cronaca

Difficile non parlare di Sanremo. Nel merito non ne posso dire nulla: non ho visto e sentito che brevissimi frammenti. Però una cosa mi sembra palese: il festival attuale è, appunto, attuale. Fatto pensando al mercato attuale, che è quello dei giovani, come sempre. La delusione di Al Bano e Gigi D’Alessio, le cui canzoni non ho sentito, mi sembra poco giustificata; meno ancora le loro lamentele (per l’appunto). Erano loro quelli fuori contesto. Loro appartengono alla generazione di quelli che possono concedersi alla nostalgia rivedendo su youtube festival antichi. Come me.

 

Mangia ‘sta minestra

Continua e si estende la battaglia dei genitori che vorrebbero provvedere direttamente all’alimentazione a scuola dei loro pargoli. Le scuole in generale sono contrarie. La magistratura favorevole. Abbastanza favorevole.

È successo ancora che alcuni fanciulli con dotazione alimentare casalinga siano stati allontanati dalla sala mensa. In qualche caso addirittura dalla struttura scolastica: panino all’aperto.

O tutti o nessuno, si dice. Per gli scolari una buona preparazione alle liti future. Nessun pasto è gratis, si sa.

 

 

Inserito il:18/02/2017 21:07:52
Ultimo aggiornamento:18/02/2017 21:12:29
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