Un esercito di zombi.
La medicina com’è noto ha fatto e continua a fare enormi progressi che sono il motivo del costante allungamento della vita media, destinato a sconvolgere i bilanci statali e gli equilibri sociali.
Io ho raggiunto gli ottanta anni e questo problema, come in genere tutti quelli di medio e lungo periodo per quanto rilevanti, mi appassionano poco. Mi limito a verificare che cento anni fa raramente si arrivava alla mia età, mentre oggi, quando qualche amico muore prima, diciamo che se n’è andato troppo presto. Rilevo inoltre che i tanti ottantenni di oggi sono assai diversi da quei pochi di cento anni fa che erano individui fisicamente eccezionali perché se non lo fossero stati sarebbero scomparsi dieci o venti anni prima.
Il meccanismo sociale di allora, pur meno crudo di quello degli esquimesi per i quali l’eliminazione fisica di chi non è produttivo fa parte delle regole del gioco, lasciava gli anziani al naturale decadimento fisico dei loro organi, che sfociava presto in malattie allora incurabili. Solo fisici fatti per durare più a lungo avevano il passaporto per la vecchiaia.
Oggi non è così, la scoperta di nuovi medicamenti e l’attività generale di prevenzione, unita alle capacità chirurgiche nell’aggressione dei tumori e nel trapianto degli organi, hanno creato un esercito, del quale faccio parte, che è certamente inserito nel contesto sociale, ma in una particolare condizione psicologica e pratica.
Noi ottantenni siamo giunti a questa età assumendo dei farmaci, i più fortunati solo quelli per la pressione, il colesterolo, l’azotemia e via dicendo, quelli che hanno dovuto superare situazioni critiche prendono spesso, in aggiunta ai primi, altri farmaci più complicati. I medici ci dicono che i controlli alla nostra età devono essere assai frequenti proprio perché gli stessi farmaci potrebbero portare scompensi di altra natura che vanno corretti in tempo.
Così la vita della maggior parte degli ottantenni è regolata non solo da cure quotidiane (pillole quando va bene) ma da assai frequenti esami del sangue e radiologici, necessari al medico per confermare o modificare le cure. La vita, ormai non più lavorativa ma solo sociale, si deve svolgere quindi entro i limiti di questo eccesso di attenzione al fisico che rischia di diventare l’attività preponderante. E il pegno che paghiamo per allungare di qualche anno la sopravvivenza, sperando che non sia la mente a decadere e ad abbandonarci.
Ben venga tutto perché l’attaccamento alla vita è insito in ognuno di noi, ma siamo proprio sicuri che questo sforzo scientifico, oltre che problemi di bilancio statale e di assetto sociale, non generi anche un esercito di zombi?