Fashion e-commerce: la dura lezione di Privalia.
04/03/2014
All’inzio della mia carriera di start upper, l’amico Federico Luperi mi chiese ” che senso ha aprire un fashion e.commerce in un paese che ha un negozio di moda ogni 200 metri?”.
Pervasa dal furore sacro delle vendite online non approfondii abbastanza ma la debacle di Privalia Italia, (il gruppo conta 15 milioni di iscritti in Italia, Spagna, Brasile, Messico e Germania ed un fatturato dichiarato di 450 milioni di Euro) che ha avviato il processo di dismissione della sede italiana a favore di una concentrazione in Spagna ed America Latina, qualche lezione deve darla a noi fenomeni dell’economia digitale.
La prima è di consapevolezza del nostro ruolo: siamo i pionieri di una rivoluzione distributiva in un paese che non ha mai accettato di innovare la distribuzione subendo, mai supinamente, le nuove forme giunte dai mercati anglosassoni, siano supermercati, mall oppure outlet.
La seconda è di consapevolezza dei limiti strutturali italiani e non mi riferisco solo alla banda larga o al wi-fi bensì all’inconsistenza del supporto bancario che vive con fastidio il passaggio da sportellista ad erogatore online di servizi finanziari.
La terza è di consapevolezza dell’assenza di strategie a riguardo: web tax si- web tax no; “prelievo forzoso” del 20% su ogni pagamento transfrontaliero; “prelievo forzoso” di 10 centesimi su ogni pagamento con carte di credito/debito ovviamente meditati nell’ombra e nella totale assenza d’informazione agli operatori ed ai cittadini.
La quarta è di consapevolezza della contrarietà dei mezzi d’informazione tradizionali – sia stampa sia video- che ad ogni servizio dedicato ai consumi “rituali” non perdono occasione per “denunciare” il pericolo delle truffe online.
Appesantita da queste consapevolezze studio i risultati di una recente indagine di Deloitte, commissionata da E.Bay, seconda la quale il 15% dei 503 milioni di residenti in Unione Europea ha compiuto acquisti dall’estero nel 2013. Ebbene solo il 4% di questi ha scelto l’Italia. Rileggo le statistiche di dicembre 2013 del consorzio Netcomm: in Italia l’e.commerce cresce del 18% all’anno (il mobile addirittura del 255% sul 2012). I consumatori “transfrontalieri” più attivi sono i tedeschi (27% di acquisti dall’estero), i britannici (24%), i francesi (14%).
Decido di controllare l’organizzazione dei “grandi decisori dei comportamenti della Rete”: capisco che i temibili Googliani, quelli che per “aiutare” il tuo e.commerce italiano chiedono un minimo di 15mila euro a fondo perduto per importantissime campagne di visibilità, stranamente hanno tutti mercati assegnati, appunto, in Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna.
Altri imprenditori coraggiosi mi confermano che i milleemille like pagati a Facebook non generano alcun risultato significativo per le loro vendite online. Sicuramente hanno acquistato una consulenza strategica di marketing da qualche filiale spagnola o irlandese di Facebook.