Aggiornato al 01/12/2023

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Keith Haring (1958 – 1990) – Tuttomondo -1989 - Murale sulla parete della canonica di Sant’Antonio abate a Pisa

 

Il tempo dell’informazione (2)

di Valeria Perosillo

Il tempo fluisce in modo uguale per tutti gli uomini.

     E ogni uomo galleggia nel tempo in maniera diversa.”

Manuel Neila

La solitudine della velocità

Le possibilità e l’isolamento del digitale come interpretazione attuale dei quadri storici

Dinamismo di un cane al guinzaglio, Giacomo Balla 1912

 

“La rete è il regno della velocità, diverse ricerche dimostrano che il tempo medio di permanenza su una pagina internet è di pochi secondi. È il territorio del cambiamento, i siti più utilizzati nello scorso anno sono ormai desueti e lo stesso vale per le macchine ed i software”.

Mimmo Battaglia, presidente FICT (Federazione Italiana Comunità Terapeute), nell'articolo Ragazzi e Solitudine: tra virtuale e bisogno reale, progettouomo.net, 2016

Dalla Rivoluzione Industriale, il tempo della storia e quello della vita hanno accelerato in maniera costante per poi dilatarsi con l'avvento di Internet. Ma il suo ampliamento non ha influito né sul tempo storico, che ha iniziato scorrere sempre più velocemente, né sul tempo della vita, che ha dovuto velocizzarsi per permetterci di rimanere al passo con quello storico, nonostante questo significhi prescindere i ritmi umani.

Tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, due avanguardie storiche dipinsero molto diversamente la seconda vera accelerata a livello Europeo della storia e della vita generata dalla Seconda Rivoluzione Industriale. Se i Futuristi, protagonisti di un'Italia che si affacciava allora alla scoperta dell'industria, esaltavano infatti la macchina in quanto “più bella della Vittoria di Samotracia”, e affermavano: “la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità” (Manifesto del Futurismo, Marinetti, Le Figarò 22 Febbraio 1909); al contrario gli espressionisti esprimevano il disagio sociale di un' industrializzazione tedesca, e in generale nordica, che era avvenuta troppo in fretta travolgendo gli uomini.

Così, mentre in Dinamismo di un cane al guinzaglio Giacomo Balla rappresenta il vitalismo del movimento di un uomo che non sta mai fermo, scomponendolo in tutte le sue fasi, anche in quelle invisibili ad occhio nudo grazie alla macchina; ne L' urlo Munch esprime la solitudine e la disperazione esistenziale generate dalla presa di coscienza della falsità delle relazioni, tipica delle società di massa, e che porta a non essere compresi. “Se il Futurismo si ferma alla pelle dell'individuo, l'Espressionismo fruga nel sangue, nell'anima”, afferma lo scrittore e critico François Orsini (Drammaturgia europea dell'avanguardia storica: Pirandello, Rosso di San Secondo, Strindberg, Wedekind, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2005). Mentre l'avanguardia storica italiana si ferma alla mera esteriorità del moderno, esaltandone la novità e le possibilità, quella tedesca analizza le conseguenze sociali che esso provoca sugli uomini che, pur contribuendo a stimolarlo, subiscono un'insicurezza paragonabile a quella odierna, che Bauman descrive come : «la sensazione che potrebbero provare i passeggeri di un aereo nello scoprire che la cabina di pilotaggio è vuota» (La solitudine del cittadino globale, Zygmunt Bauman Feltrinelli, Milano 2000).

 

L’ urlo, Edward Munch -  Oslo, museo Munch

 

Nello spazio di due secoli, l'uomo ha perso la sua propria identità diventando modulare, ossia multiforme per potersi spendere in un mercato del lavoro dove dominano la flessibilità e i contratti a tempo determinato, e nel quale le aziende chiudono o convertono la produzione a ritmi vorticosi. Sentiamo la necessità di restare a galla, ma non “siamo in grado di salvare un amico dalla disoccupazione” (Daniela Floriduz, Recensione su La solitudine del Cittadino Globale), e allora ci distacchiamo, convinti dell'inautenticità delle relazioni umane poiché esse non ci aiutano a livello concreto, e non comprendiamo invece che dobbiamo conservarle proprio perché a-materiali. I rapporti reali, nell’epoca dell’iper-soggetivizzazione scandita dai blog e dai social network si configurano come l'unico supporto in grado di permetterci, nei momenti di difficoltà, di non scadere nella stessa disperazione esistenziale munchiana, che era generata dal declino dei rapporti umani nell’era della velocità della produzione standard, poiché il risultato delle due tendenze opposte può approdare allo stesso sentimento di solitudine.

Rallentiamo dunque, e liberiamoci dalla smisuratezza dell’ego assunta stando dietro a uno schermo, così come dall' eccessiva incertezza che la competitività del mercato ha installato nelle nostre menti, conducendoci all'affanno, per recuperare la qualità e la convivialità di ciò che viviamo.

 

La rivendicazione dell'identità

Riappropriarsi del proprio tempo per ascoltare se stessi

René Magriitte 1937  - La riproduzione vietata – ritratto di Sir Edward James - Rotterdam, Musem Boijmans Van Beuninge

 

Ita fac, mi Lucili, vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur autsubripiebatur aut excidebat collige et serva.”

Seneca, Espistolae ad Lucilium – Epistola 1 Libro I

“Fa' così, Lucilio mio: rivendica te a te stesso, e il tempo che finora veniva portato via, veniva sottratto o andava perduto, raccoglilo e mettilo da parte”, sii padrone del tempo poiché esso è la vita, e dipende solo da te se trascorrerla in piena coscienza o meno. “Mentre si differiscono gli impegni, la vita ci passa davanti”, ammonisce Seneca al suo allievo già nel I secolo, ricordandogli il pericolo di essere assorbiti da quegli impegni ufficiali, che oggi definiamo molto più comunemente lavorativi, che ci fanno rendere il tempo della vita breve, nonostante non lo sia.

Tutto il tempo deve appartenerci” (id agamus ut nostrum omne tempus sit, ep. 71.36), afferma il filosofo, “ogni istante deve essere messo a frutto” (omnes horas conplectere), per non accontentarci di essere semiliberi (br.v. 5.2). E' infatti semilibero colui che non vive il presente sperando unicamente nel domani, poiché esso diventerà il passato che appartiene già alla morte. E' follia la nostra tendenza a protenderci vanamente verso il futuro trascurando il presente, poiché rischiamo di accorgerci di non aver vissuto solo quando la fine è vicina.

Ma è troppo tardi risparmiare quando si è giunti in fondo al vaso, perché ciò che rimane è davvero poco e, per giunta, il peggio “sera parsimonia in fundo est” conclude Seneca. Per questo egli concilia per la prima volta in un continuum di due fasi la concezione stoica del negotium con quella epicurea dell'otium, affermando che gli uomini devono sì dedicarsi all'attività pubblica, ma soprattutto devono trovare il tempo della riflessione per essere “utili agli uomini, se è possibile, a molti, se no, a pochi, se no, ai più vicini, se no, a sè stessi”. (De Otio)

Così le sue parole vibrano e si amplificano fino ai giorni nostri, i giorni del digitale che riesce a dilatare il tempo della vita grazie alla velocità di operare, ma soprattutto i giorni del multitasking che serra le capacità riflessive della nostra generazione nella pretesa di fare contemporaneamente tutte le cose possibili.

 

L'armonia dell'attimo

Con attenzione e concentrazione si coglie l’esperienza dell’attimo

Donna con il parasole girata verso sinistra, Claude Monet 1886 - Parigi, Musèe d’Orsay

 

Quanti messaggi vuoti scambiamo nell'arco di ventiquattro ore? La generazione dei nativi digitali ne invia centinaia ogni giorno. Non c'è nulla dello “scrivere l'essenziale” che provò Ungaretti in trincea durante la Prima Guerra Mondiale, per quanto essi siano brevi. Non tanto per dazione ambientale, quanto più per forma mentis: parliamo continuamente del nulla. La facilità della comunicazione istantanea ha congelato il bisogno di trasmettere le emozioni meditate che ci mettono in contatto con il nostro io per il linguaggio e la profondità che richiedono.

Eppure la parola può assumere quel valore improvviso di folgorante illuminazione che descrive il poeta, identificandosi con un attimo che va colto per comunicare sentimenti urgenti, poiché caratterizzati dalla consapevolezza che un “dopo” potrebbe non esistere. La parola di Ungaretti è essenziale e pura, e questo la rende in grado di trasportare l'istante nella realtà e di fissarlo fuori dal tempo, in un’eternità che sfiora l’assoluto assumendo valenza trasversale in ogni tempo. Il sentimento espresso dalla sinestesia “M'illumino d'immenso” in Mattina (Allegria), così come quello comunicato in Soldati (Allegria), è la percezione del cordone ombelicale che lega l'uomo alla natura, nel momento in cui l'ascoltarla gli permette di comprendere se stesso e la realtà che lo circonda. Così la parola pura viene pronunciata dalla natura nell'attimo in cui siamo sintonizzati sul suo stesso canale e risultiamo in armonia con essa; allora comprendiamo il significato dell'esistenza e ci sentiamo pieni in modo semplice, attraverso l'immersione nell'essenziale. Senza distrazioni, proviamo naturalmente appagamento dalla connessione con il pulsare della realtà vivente che ci circonda, in quanto il suo respiro corrisponde al nostro.

La commistione con la realtà rischia però di non essere raggiunta da chi permette la dispersione del sé, che può provocare un dolore così immenso da condurre al suicidio, come afferma Ungaretti nella lirica In Memoria (Allegria), dedicata all'amico Moammed Sceab. Egli, nonostante avesse tentato l'integrazione -“Amò la Francia/ e mutò nome/ Fu Marcel” - in realtà ”non era Francese”, ma allo stesso tempo “non sapeva più/ vivere /nella tenda dei suoi”, poiché aveva perso la sua identità. Da “animale sociale”, come lo definirebbe Aristotele, al pari degli altri uomini, Moammed aveva dato tutto per sentirsi connesso alla società parigina, ma nel farlo aveva annullato la propria identità poiché non le aveva concesso alcuna valvola di sfogo per emergere ed ufficializzarsi. Così, egli non era stato in grado di ritrovarla nel momento del bisogno. Non avendo saputo integrarla con il nuovo, Sceab aveva perso in un momento quello che era stato e quello che sperava di diventare, riducendosi a un “nessuno”. Al contrario di Ungaretti, egli non aveva scritto, né aveva ascoltato sè stesso in relazione alla natura, ma si era perso tra quelli che potremmo definire i collegamenti ipertestuali superficiali, come il cambio del nome, poiché non possedeva la cornice contestualizzante necessaria non solo ad ogni forma di sapere, ma soprattutto alla vita per non perdere di vista un obiettivo della ricerca.

Inserito il:07/09/2016 10:11:25
Ultimo aggiornamento:07/09/2016 10:33:01
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