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Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Influenza dello sviluppo dell’ICT sul mercato del lavoro.

          

26/03/2014

 

  Negli stati Uniti è in corso un dibattito a seguito delle tesi sostenute da Erik Brynjolfsson e Andrew Mc Afee, professori al MIT di Boston, nel libro: Race Against The Machine .  Il libro affronta il tema di come l’ICT influenza i livelli di occupazione, gli skill, le retribuzioni e l’economia.  Vengono fornite tre spiegazioni alternative della persistenza della disoccupazione nell’attuale fase recessiva:

  

  • Ciclicità: nei periodi di grande crisi economica, come quella che stiamo vivendo, con notevole incremento della disoccupazione, è normale che si verifichi una ripresa lenta, lunga e frustrante. La disoccupazione è difficile da eliminare   quando l’economia cresce ad una velocità tale da non consentire il riassorbimento della forza lavoro dismessa.
  • Stagnazione: che si riferisce a situazioni di lento declino delle capacità di innovazione e miglioramento della produttività. Situazioni che si creano quando in un periodo di recessione è mancata la capacità di reagire con nuove idee di innovazione per superare le stasi tecnologico/produttive.  A determinare questa situazione gioca anche il fatto che nuovi paesi emergenti cominciano a svilupparsi in termini competitivi nei confronti dei paesi industrializzati.
  • ”End of work”, dal titolo del libro di Geremy Rifkin del 1995 che sostiene che grazie agli sviluppi tecnologici, ed in particolare dei computer, il mondo sta entrando in una fase in cui per la produzione di beni e servizi sarà necessaria sempre meno forza lavoro. E’ su questa tesi che Brynjolfsson/McAfeesviluppano le loro considerazioni. partendo dall’analisi dei più recenti progressi nei settori più innovativi dell’ICT ( Cloud computing, Intelligenza artificiale, Robotica,  Mobile internet, Sensori intelligenti, Internet of things, Veicoli autonomi, Big Data  …. ).   che stanno provocando una “disruption” in molte organizzazioni, incrementando la produttività ma eliminando posti  di lavoro a tutti i livelli : operai, impiegati, managers e professionisti. Thomas Friedman, commentando  il libro sul New York Time l’ha definito “ a terrible book”.  Friedman, che ha vinto per tre volte il premio Pulitzer, nel suo libro “The world is flat” aveva  già sostenuto che gli sviluppi della tecnologia, e la robotica, in particolare, potevano portare ad un permanente riduzione della domanda di forza lavoro.

  

Paul Grugman, premio Nobel 2008 per l’economia, ha sposato le tesi di Brynjolfsson/ McAfee. L’8 dicembre  2012 sul NYT scriveva:

Una delle grandi sfide del 21° secolo sarà la gestione della prossima ondata di automazione. L’incremento in produttività potrà creare ricchezza per alcuni  o generare consistenti conflitti sociali.?La crescita della nuova automazione (ed in particolare dei robot) non è una buona notizia per i lavoratori. Questa è una vecchia questione in economia: “capitale – predispone il cambiamento tecnologico” che tende a spostare la distribuzione del reddito dai lavoratori ai proprietari del capitale.

L’inarrestabile evoluzione dell’ICT la sua pervasività in ogni settore di attività hanno determinato nei paesi sviluppati un circolo virtuoso di crescita. La rivoluzione digitale ha diffuso l’uso dell’ICT nei processi operativi delle organizzazioni aziendali, governative e non profit e nelle transazioni tra le organizzazioni e tra individui che agiscono come imprenditori, consumatori e  cittadini.

L’ICT ha rivoluzionato il mondo delle organizzazioni con nuovi modelli di processi di lavoro, creando  nuovi settori di business, incrementando la produttività e innovando i rapporti tra aziende e consumatori in ogni settore: nell’agricoltura, nell’industria e nella finanza, nei servizi e negli enti governativi. Ma ha anche creato seri problemi di occupazione e di riconversione di forza lavoro.

Ora le tecnologie digitali si innovano così rapidamente che le istituzioni, le aziende, i mercati e gli individui non riescono a tenere il passo e milioni di persone ne pagano le conseguenze. E’ qui il caso di citare la “legge dei ritorni accelerati” che rileva che la curva dell’evoluzione tecnologica si sviluppa in modo esponenziale: ogni nuovo progresso innesca una catena di ulteriori progressi .

Molti economisti hanno sostenuto che la distruzione di posti di lavoro determinata dall’automazione tecnologica avrebbe comunque creato nuovi posti di lavoro sostitutivi (creative destruction).?Per oltre 200 anni questo è stato vero ma oggi, nella “digital era”,  con l’accelerazione dell’innovazione tecnologica, questo postulato non sembra essere più valido.

Enrico Moretti, laureato in Bocconi, professore di economia all’Università di California, Berkeley, nel suo recente libro “ La nuova geografia del lavoro” basandosi sulle risultanze di una vasta ricerca condotta a livello internazionale,  introduce una visione articolata del mercato del lavoro con enormi disparità geografiche in termini di istruzione scolastica, aspettative di vita, stabilità sociale e remunerazione. ?Ci sono zone ad alto sviluppo, capaci di generare lavoro e ricchezza, dove la creazione di un posto di lavoro Hi Tech genera mediamente cinque posti addizionali nelle industrie di supporto: medici, avvocati, elettricisti, giardinieri ecc.? In queste economie dinamiche, ad alta produttività i salari medi sono più alti di quelli delle zone regressive con cultura più conservatrice dove il fattore moltiplicatore è molto più limitato fino ad essere, in molti casi, inesistente. Nelle zone a basso/zero tasso di sviluppo gli obiettivi sono focalizzati prevalentemente al mantenimento dei settori tradizionali, con scarsa innovazione.

Il problema della persistenza della disoccupazione è diventato un argomento centrale, determinante nella qualificazione delle politiche industriali per l’economia di tutti i paesi dell’occidente industrializzato.  Dobbiamo rilevare che c’è una certa convergenza tra economisti sul fatto che l’innovazione tecnologica è un fattore importante per superare la recessione e rilanciare occupazione e sviluppo.

Nello stesso tempo c’è accordo nel riconoscere che gli investimenti in innovazione tecnologica provocano la sostituzione di forza lavoro con sistemi automatizzati.?E’ altrettanto accertato che i posti lavoro sostituiti dall’automazione vengono difficilmente recuperati.?Siamo di fronte al paradosso della crescita economica: “gli aumenti di produttività abbassano i prezzi al consumo e innalzano i salari ma finiscono per cancellare posti di lavoro”. ?Ora visto che non è pensabile, e neanche sarebbe  giusto, fermare l’innovazione tecnologica e la globalizzazione, ci si deve porre la questione di come risolvere il  problema della disoccupazione indotta.  Certo, una parte dei posti di lavoro saranno riassorbiti per effetto della generazione di attività collaterali o per la creazione di nuovi mercati, ma resterà una porzione di senza lavoro, sempre più crescente, che costituisce già oggi, in certe zone geografiche, un pesante problema sociale, economico e politico.

Una situazione complessa, di difficile soluzione che prima o poi dovrà essere affrontata a livello politico da tutti i paesi per trovare un equilibrio sostenibile.

 

 

Comments

          

           Bruno Lamborghini ?27/03/2014 at 12:24

 

           ??Il tema della disoccupazione tecnologica che ha sempre caratterizzato con crisi la storia dello sviluppo industriale sin dall’800 (si pensi al luddismo) diviene oggi più allarmante, in quanto non sono più solo le fabbriche che sostituiscono braccia con macchine, ma è tutto il terziario che sinora ha rappresentato una valvola di sfogo per l’occupazione espulsa prima dall’agricoltura, poi dall’industria. Le tecnologie digitali entrano pesantemente nelle attività dei servizi, si pensi alla distribuzione retail, non solo i piccoli negozi, ma anche i supermercati che sono spiazzati dall’e.commerce. Amazon diviene il principale concorrente e incubo di WalMart, il più grande gruppo della distribuzione mondiale. Ma anche attività come banche e d assicurazioni sono sempre più coinvolte dalle applicazioni e servizi digitali in rete, con la fine delle barriere all’entrata e l’apertura a nuovi operatori con modelli di business totalmente nuovi e con strutture occupazionali molto limitate.?Alla disoccupazione tecnologica si aggiunge ora con forze ancora maggiori la disoccupazione creata dall’apertura delle frontiere determinata dalla globalizzazione.? Non a caso stanno crescendo movimenti che chiedono la chiusura delle frontiere ed il ritorno a forme di protezionismo autarchico.?Non penso assolutamente che sia questa la risposta. Ma piuttosto seguendo il discorso di Moretti, sviluppare la strada della moltiplicazione delle delle aree di eccellenza dove attirare innovazione, creatività, talenti, nuova imprenditorialità, reddito che fa crescere a fianco anche molto lavoro di supporto. E poi promuovere la formazione delle competenze, della conoscenza diffusa e condivisa, della cultura del cambiamento e dell’innovazione. Ma anche pensare a nuovi modelli di produzione e di consumo uscendo dall’economia del sovraconsumo o consumismo e dello spreco di risorse fisiche e umane come è avvenuto sinora.? E’ una strada che vede l’Italia ancora molto confusa, c’è uno spreco di risorse giovani ed è questo il più grave problema attuale,ma vi sono opportunità da sviluppare e percorsi da seguire. Occorre accelerare, non fermarsi o rinviare.???

          

           achille de tommaso ?31/03/2014 at 09:16

          

           ??Non credo che per il mondo “sviluppato” ci sia una via d’uscita; per due motivi:? 1. Per più di 200 anni siamo stati alla ricerca del poter lavorare di meno, usando le macchine. Nelle prime fabbriche si lavorava 12 ore per sette giorni alla settimana, e ora non è più così. Dobbiamo essere consci che avremmo dovuto aspettarci il risultato che ora vediamo. Il problema non è che la necessità di lavoro umano diminuisce; il problema è che l’uomo vorrebbe essere retribuito in maniera costante (o addirittura crescente) anche se le ore lavorate diminuiscono. Ma ciò non è possibile; e veniamo al secondo punto.?  2. Abbiamo spostato in maniera illogica la produzione del valore. I due settori produttivi sono il Primario (agricoltura) e il Secondario (industria). Abbiamo chiamato Terziario i “servizi”; ma questi sono fatti per “servire” il Primario e il Secondario. Non dovrebbero, i servizi, aver senso per conto loro. E invece ci accorgiamo che ci stiamo “incartando”: i servizi, sempre di piu’, servono coloro che fanno servizi. E ciò è ridicolo, dal punto di vista logico.???

          

           paolo mengoli ?10/04/2014 at 18:49

          

           ??Bello ed interessante l’articolo dell’amico Fabris con il quale ci siamo interrogati fin dalla fine degli anni ’60 sulle tematiche che espone nel suo testo, anche se allora le implicazioni dell’informatizzazione non parevano così drammatiche e urgenti di risposte.?Concordo con l’affermazione “L’inarrestabile evoluzione dell’ICT la sua pervasività in ogni settore di attività hanno determinato nei paesi sviluppati un circolo virtuoso di crescita. e …Molti economisti hanno sostenuto che la distruzione di posti di lavoro determinata dall’automazione tecnologica avrebbe comunque creato nuovi posti di lavoro sostitutivi (creative destruction).” ?Anche in Italia fino a metà degli anni novanta la riduzione di occupazione dovuta allo sviluppo di informatizzazione ed automazione è stata compensata da aumenti:?- dei volumi di beni di scambio che ha richiesto nuovi impieghi ( più magazzinieri, più amministrativi, più progettisti, commerciali, ecc),?- di nuove professionalità quali manager, programmatori, project leader, controller, gestori della qualità, delle macchine operatrici, manutentori di robot, ecc?- dei servizi quali banche, sanità, logistica, gestione del personale?- del terziario ( turismo, ristoranti, hotel, bar, commercio, grande distribuzione, trasporti conseguente ad un incremento della mobilità per il business e per il divertimento?- delle strutture pubbliche ( amministrazione PA centrale e periferica?- degli operatori pubblici istituzionali – dai parlamentari agli amministratori locali e a quelli delle soc pubbliche, ai sindacati e agli operatori del 3° settore.?Tuttavia già negli anni ’80 in Italia si è perso l’equilibrio fra il valore di reale ricchezza generato dalla crescita della produzione di beni e servizi di scambio ( primario e secondari- 20-30% del Pil) e il così detto terziario ( 60% del PIl). Ne è conseguito un aumento drammatico del debito pubblico che né l’alta inflazione né la così detta svalutazione competitiva hanno potuto arrestare.?E non si può non concordare che “… nella “digital era”,  con l’accelerazione dell’innovazione tecnologica, questo postulato (creazione di posti di lavoro sostitutivi -ndr) non sembra essere più valido.?Con la globalizzazione molte aziende che producevano beni di basso valore aggiunto sono state travolte dai produttori dell’estremo oriente che hanno invaso i nostri mercati con i prodotti più performanti e a prezzi stracciati.?La globalizzazione ha però accresciuto il reddito di milioni di persone dei paesi emergenti, creando una borghesia ad alto reddito, destinataria di prodotti di alto valore tecnologico, qualitativo e di servizi d’elite, dominio dei paesi sviluppati, fra i quali l’Italia.?L’Italia infatti nel 2013 ha registrato un livello positivo della bilancia commerciale, il che significa che i suoi prodotti e servizi hanno pagato le importazioni di energia e prodotti esteri di basso costo.?Ma questo sviluppo non è stato sufficiente a compensare la perdita di posti di lavoro?All’interno non si possono fare politiche di aumento della spesa pubblica, né di svalutazione competitiva e anche sulla produttività la manovra è limitata. Su questo ultimo punto si dovrebbe articolare l’analisi, infatti:?- nel manifatturiero il livello di produttività è alto,?- nella PA ci sono spazi nell’amministrazione, ma ad esempio nell’istruzione l’ora di un insegnante non si può ridurla, si può solo aumentare la qualità,?- Nel terziario si può migliorare l’informatizzazione ( modernizzare il turismo con massicce dosi di formazione e informatizzazione e sopratutto con la modernizzazione delle città, ma l’ora del barista o del commesso di negozio non è comprimibile,?- nei servizi si può aumentare la produttività per esempio nelle banche, processo attualmente in corso ma nella sanità l’ora dell’infermiere è difficilmente comprimibile, si possono ridurre gli sprechi, dovuti a troppi ospedali e ad acquisti non omogenei, ecc.?E ancora non si può non essere d’accordo con “Ora visto che non è pensabile, e neanche sarebbe  giusto, fermare l’innovazione tecnologica e la globalizzazione, ci si deve porre la questione di come risolvere il  problema della disoccupazione indotta.” ?Ancora una volta, anche a mio avviso, si deve lavorare con nuovi progetti che facciano leva sulle eccellenze del nostro paese, quali:?- beni industriali di alta gamma?- Agricoltura di alta qualità?- Turismo?l’innovazione in questi settori potrebbe avviare un circolo virtuoso, richiedendo ad esempio:?- sviluppo di energia verde (usiamo il sole e i tetti dei palazzi), e sistemi di accumulo di energia?- Sviluppo di internet, informatizzazione, app,?- ristrutturazione edilizia e del territorio?- prodotti meccanici per l’agricoltura?- nuove competenze ( formazione, marketing, manutenzione, addetti al turismo, ecc.???

 

 

 

 

Inserito il:25/11/2014 16:40:50
Ultimo aggiornamento:22/03/2022 15:54:15
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