Aggiornato al 27/04/2024

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Voltaire
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Lars Henkel (1973 - ) – Konrad Lorenz

Etologia ed Istinti e Sessualità.

 

Prima Parte

 

L’etologia rappresenta un’area di studio biologico che permette di interpretare i comportamenti e le esperienze umane rifacendosi ad un insieme di osservazioni, sperimentazioni ed interpretazioni teoriche che hanno una loro individualità disciplinare ormai da quasi un secolo e che si basano sul comportamento degli animali e degli uomini nell’ambiente che la natura, o loro stessi spontaneamente, hanno creato.

Nonostante le quasi ovvie correlazioni possibili di questi studi con l’antropologia culturale e la psicodinamica, l’attenzione degli psichiatri si è rivolta ad essi in modo complessivamente scarso. Altrimenti denominata ‘biologia del comportamento’, l’etologia, infatti, partendo dagli studi sull’animale, si è sempre basata sull’osservazione dei comportamenti. D’altra parte, l’etologia ha dato allo studio psicologico quelle prospettive evoluzionistiche e quella analisi filogenetica che permettono oggi di affrontare su basi biologiche gli aspetti superiori dell’organizzazione del comportamento e della psiche umana in tutte le sue espressioni funzionali, al di là dell’istinto, mediante intelligenza e cultura.

L’organizzazione del comportamento e, da un certo livello di complessità in su, dell’esperienza, sembra rifarsi sempre ad uno schema che comprende una afferenza dall’ambiente, una elaborazione centrale ed una risposta efferente. Nel corso dell’evoluzione si è passati da un livello all’altro, con ampie sovrapposizioni.

I tipi fondamentali di organizzazione sono:

> cinesi, tassie e tropismi

> riflessi spontanei e condizionati

> istinti e fenomeni di ‘imprinting’

> pensiero e cultura

 

  • I tropismi e le tassie sono delle risposte automatiche di tipo innato che comportano il movimento dell’organismo in rapporto a situazioni stimolanti ambientali. Vi è quindi l’informazione necessaria a dirigere il movimento in senso utile. Ancora più semplici sono i meccanismi quali le cinesi, cioè le accelerazioni o i rallentamenti del moto in rapporto a condizioni mutevoli dell’ambiente.

 

  • Negli organismi dotati di un sistema nervoso centralizzato esistono e sono fissati geneticamente i riflessi, cioè delle connessioni innate tra neuroni, non dipendenti da alcun apprendimento, che presiedono alle risposte fisiologiche più importanti per l’organismo.Si parla di riflesso condizionato, quando uno stimolo, inizialmente inattivo a provocare una determinata risposta fisiologica, diviene attivo essendo stato associato più volte ad uno stimolo che provoca tale risposta per motivi innati. Negli esperimenti di Pavlov diretti a produrre condizionamenti di tipo I un suono di campana associato alla vista del cibo finisce per essere sufficiente di per se stesso a provocare quella secrezione salivare che il cibo abitualmente determina. Si tratta tipicamente di una forma acquisita di regolazione comportamentale e come tale rientra nei fenomeni di apprendimento. Particolare interesse ha suscitato la possibilità di provocare con metodi riflessologici le ‘nevrosisperimentali’. Quando è costretto a discernere tra segnali via via più simili onde avere un premio od una punizione, o quando resta incerto l’ottenimento dell’uno o dell’altro, l’animale manifesta sintomi di insofferenza ed irrequietezza nonché disturbi vegetativi. Già Pavlov notava che la comparsa delle nevrosi sperimentali era relativa anche al temperamento del singolo animale. Tale fenomeno ha suscitato l’interesse degli psichiatri ed è stata, soprattutto, utilizzata in laboratorio per ottenere modelli adatti alla sperimentazione dei farmaci. Più complesso si presenta il problema a proposito del condizionamento del tipo II (strumentale, operante). Nella creazione di un riflesso condizionato classico si parte da un collegamento geneticamente prestabilito di stimolo e risposta (cibo e salivazione). A questo si sostituisce un collegamento tra nuovo stimolo (prima inerte) e risposta medesima. Il condizionamento operante si realizza invece quando l’animale compie un’attività volontaria qualsiasi ed ottiene un premio (ad esempio cibo) a posteriori, senza che vi fosse collegamento in atto tra attività e tale premio. In tal modo si forma un persistente legame tra tale attività e la risposta. Secondo la concezione riflessologica più integrale, il comportamento prima dell’ottenimento del premio dovrebbe essere del tutto casuale. Altre impostazioni teoriche sono possibili se ci si allontana da una visione assolutamente comportamentale, dando spazio sia alla teoria etologica degli istinti preformati, che alle teorie psicologiche volte ad ammettere una elaborazione intellettiva e cosciente a diversi livelli di evoluzione delle specie. Si vede allora che l’animale potrebbe, in realtà, non agire a caso ma essere spinto alla ricerca dello stimolo adatto a liberare quel modulo comportamentale che le condizioni generali del suo organismo (ad esempio denutrizione) mettono in attesa di svolgersi. Secondo Lorenz, nel caso del condizionamento operante, l’animale cerca mediante un’attività esplorativa la segnalazione che può attivare quel comportamento di cui è già istintivamente dotato con una specifica spinta ad attuarsi. La problematica di tipo cognitivo sta nella difficoltà ad ammettere che, almeno per gli uomini e per gli animali superiori, si verifichino comportamenti che restino del tutto casuali in assenza di ogni progettazione intellettiva e cosciente. Anche a condizionamento avvenuto l’elemento cognitivo è difficile da escludere. Nell’organismo vivente ci troviamo sempre di fronte ad un fenomeno complesso ove il condizionamento semplice, l’appetizione istintiva con ricerca del segnale attivante, il bisogno percepito in via propriocettiva, la tendenza esplorativa, la soddisfazione legata all’atto consumatorio, la gratificazione del premio, la progettazione ipotetica di una soluzione ed altri fattori, interferiscono nel risultato globale (Balestrieri A., 1974). I riflessi condizionati costituiscono un meccanismo basilare ed importante nella organizzazione del comportamento, ma risultano ben evidenti in situazioni sperimentali o in animali abbastanza semplici. Lo studio riflessologico ha comunque gettato un ponte tra fisiologia nervosa e psicologia e le “nevrosi sperimentali” hanno fornito un metodo per ricerche farmacologiche e per deduzioni di carattere clinico. D’altra parte, i riflessi sono una parte, non il complesso globale del comportamento (Ploog D., 1964).

 

  • Il modello organizzativo che segue nella filogenesi ai riflessi è quello dell’istinto. Il termine è stato tradizionalmente usato per indicare una regolazione stereotipata del comportamento animale stabilitasi come conseguenza di un ‘apprendimento della specie’ attraverso moltissime generazioni, e quindi a prescindere dall’apprendimento individuale. Il comportamento istintivo appare ‘finalizzato’ ad assicurare la necessità di base dell’individuo e della specie, quindi alimentazione, riproduzione, difesa ed aggressione, migrazione, ecc. Ma tale finalizzazione dell’istinto, in una prospettiva evoluzionistica non lamarkiana, deve escludere la trasmissione degli apprendimenti e può significare solo la conseguenza di una selezione naturale avvenuta a favore di certi comportamenti rivelatisi utili, comparsi per successivi adattamenti mutativi e quindi fissati nel gene. I meccanismi che hanno indotto l’evoluzione restano comunque ancora assai ipotetici e discutibili. Il concetto ed il termine di istinto sono stati, in tempi recenti, differentemente valutati a seconda dei diversi orientamenti di ricerca. I biologi, infatti, hanno preferito riferirsi con maggiore precisione ai diversi meccanismi motivazionali; gli psicologi hanno privilegiato le visioni ambientalistiche e quelle basate sull’apprendimento; tra gli psicoanalisti si è maggiormente focalizzato il concetto di ‘pulsione’.  Il termine ‘istinto’ conserva comunque il suo significato generale per quello che è in noi innato come tendenza, stabile attraverso le generazioni, induttivo verso l’apprendimento e la relazione, con una corrispondenza affettiva che costituisce il vissuto soggettivo delle nostre motivazioni. L’ipotesi fondamentale su cui si basano gli studi etologici è quella che il comportamento esista negli animali come potenzialità innata, selezionatasi nella evoluzione e fissata nel gene, tanto inerente alle caratteristiche della specie da avere valore tassonomico. Le specie e le loro varietà si distinguerebbero dunque anche per il comportamento che è loro proprio, oltre che per la loro morfologia. I segnali ambientali sono indispensabili per liberare le sequenze comportamentali previste. Essi hanno radici istintive ma vengono, in parte, appresi in base a predisposizioni più o meno precise. L’etologia considera animale ed ambiente come complesso inscindibile in un continuo gioco di stimoli e risposte. L’organismo animale ha bisogno di determinati stimoli per dare certe risposte geneticamente prestabilite. Il risultato globale è fatto dall’insieme di moduli comportamentali aventi ciascuno una ‘chiave’ attivatrice che entra nella ‘serratura’ recettiva che la natura ha previsto. Gli animali avrebbero quindi in loro stessi la tendenza congenita ad eseguire comportamenti già determinati che vengono definiti modalità fisse di azione, ognuna dotata di una ‘energia motivazionale specifica’. La regolazione del comportamento mediante i segnali dell’ambiente ha anche significato inibitorio. Ad esempio un modulo comportamentale sessuale o aggressivo viene attivato da certi segnali ma può venire bloccato, anche se già in atto, da altri. E’ molto significativo un fenomeno nel quale la predisposizione genetica si integra direttamente nell’apprendimento. Tale fenomeno, detto imprinting, consiste nel fatto che certi animali, in un periodo della propria vita, e soltanto in quello, fissano un modulo di comportamento su un determinato oggetto. Ad esempio fissano il comportamento sessuale su animali della stessa specie, oppure, in mancanza di questi, su animali di altre specie ai quali si trovino vicino. L’imprinting va quindi considerato come l’apprendimento di un oggetto al quale si applica un modulo comportamentale già previsto nella sua parte pulsionale ed esecutiva (consumatoria) ma per il quale il segnale attivatore deve venire fissato, in un certo momento critico dello sviluppo, tramite esperienza ed apprendimento. La scuola etologica, teorizzando su di un bisogno endogeno a compiere azioni per le quali l’animale cerca nell’ambiente gli stimoli liberatori, adotta inequivocabilmente un modello energetico, il quale prevede pulsioni generali ed energie motivazionali specifiche per i diversi comportamenti. Se l’animale visto dai riflessologi risponde agli stimoli ambientali, quello concepito dagli etologi ha in se stesso la spinta, il bisogno, l’energia, la modalità per l’azione e cerca nell’ambiente soltanto il segnale chiave che ‘libera’ il comportamento disponibile. Anche in psicodinamica si possono concepire tanto energie generali che si specificano di volta in volta nei diversi comportamenti (libido di Freud, aggressività di Lorenz, energia organismica di Ferraro, ecc.), quanto energie più specifiche per comportamenti più o meno determinati (pulsioni di vita e di morte di Freud). L’immagine energetica è diffusa anche nel linguaggio ‘laico’. Ci diciamo ‘esauriti’, ‘pieni di energia’, ‘bloccati’, ‘esplosivi’. Si usano i ‘ricostituenti’ e gli ‘psicostimolanti’... Il comportamento appetitivo sarebbe un atteggiamento dell’organismo che va alla ricerca degli stimoli quando essi mancano, dimostrando così che la pulsione all’attività preme per potersi scaricare. In condizioni nelle quali contemporaneamente stimoli diversi tendono a scatenare azioni tra loro non compatibili, oppure in condizione di inibizione di certi comportamenti che altri stimoli tenderebbero a liberare, si verificherebbero le cosiddette attività sostitutive. L’animale, cioè, si sfogherebbe compiendo atti non congrui alla situazione, apparentemente inutili in quel momento. Molto interessanti sono quindi proprio le indagini dirette a chiarire i meccanismi neurofisiologici e biochimici del comportamento appetitivo, cioè a spiegarci perché un animale dia l’impressione, come rilevano gli etologi, di essere talora pronto a fare qualche cosa di particolare e ad andare in cerca di certi stimoli scatenanti il comportamento in questione, come la lotta, l’alimentazione, l’accoppiamento.

(continua)
Inserito il:24/02/2015 10:17:26
Ultimo aggiornamento:06/03/2015 16:01:29
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