Aggiornato al 26/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Courtney Hatcher (Abstract Artist Based in Flint, Michigan) - Inflation

 

L’inflazione 2021: da dove proviene e come la si affronta

di Bruno Lamborghini

 

A marzo avevo scritto su Nel Futuro un articolo Toh, chi si rivede:l’inflazione!, anticipando  che stava arrivando, dopo anni di prezzi fermi o negativi, una ripresa di inflazione dovuta all’aumento della domanda dopo il lockdown con possibili fattori speculativi  e  poi a giugno ho scritto un nuovo articolo Il New Deal di Biden rischia inflazione, in cui si esprimeva il timore che  gli ingenti sussidi pandemici e i piani di grandi investimenti infrastrutturali presentati in USA dall’amministrazione Biden producessero spinte inflazionistiche, manifestate già a maggio con il +4% dei prezzi al consumo.

Ora a fine anno l’ondata inflazionistica è divenuta realtà in tutto il mondo. Nella seconda parte del 2021 i prezzi al consumo negli USA hanno superato il +6% ed in Europa il +4% (oltre il +5% in Germania ed in Italia a novembre il +3.7%, ma la core inflation al netto di carburanti e trasporti è il +1,3%) e i prezzi dei prodotti industriali sono saliti in Italia oltre il 10%. Le domande ora sono quali le cause dell’inflazione, quali prospettive avrà e come la si affronta.

Gli analisti hanno dato alcune risposte relativamente alle cause, partendo dal processo di rimbalzo dell’economia dopo la grande crisi pandemica del 2020 in cui si erano manifestati sia un pesante calo del PIL che un calo dei prezzi (a gennaio 2021 in Europa i prezzi al consumo segnavano -0.5%). Come ha spiegato Keynes un secolo fa, i prezzi salgono quando la crescita della domanda aggregata non riesce a trovare risposta sufficiente da parte dell’offerta, ma poi la situazione si riequilibra. E’normale che vi sia una “inflazione buona” (generalmente collocata attorno al +2%) che costituisce la benzina per muovere una economia in crescita. La maggiore inflazione del 2021 risulterebbe prodotta in primis dalla forte ripresa della domanda, ma soprattutto da uno “shock di offerta” a causa di ritardi o carenze nelle forniture.

Questa spiegazione tuttavia non appare ancora sufficiente e quindi si sono cercate altre ragioni per spiegare la cosiddetta “inflazione cattiva”:

  1. Una prima spiegazione dell’origine dell’ “inflazione cattiva” si può individuare nella  crescita straordinaria dei prezzi energetici, dal petrolio al gas, frutto in gran parte della riduzione  di forniture e aumento prezzi da parte della Russia od altri per ragioni che si possono definire di carattere geopolitico o nel caso di materie prime fondamentali o dei noli marittimi che hanno registrato aumenti pari sino a cinque o sei volte il valore praticato nel 2020 o precrisi, vi sono certamente fattori speculativi. Si ritiene che, probabilmente, le ragioni geopolitiche e speculative potranno ridursi nel corso del 2022 o si cercheranno forniture alternative in particolare per le fonti energetiche, limitando la rincorsa dei prezzi. Peraltro i piani di riduzione delle emissioni di gas serra potranno invece tenere alti i costi.    
  2. Sulla base delle teorie monetaristiche di Friedman, l’inflazione cresce in relazione alla crescita della massa monetaria ovvero della liquidità immessa nel sistema economico e non interamente utilizzata per investimenti. Occorre ricordare che le grandi banche centrali, BCE e Federal Reserve, per combattere la recessione mondiale nata dalla crisi finanziaria (Lehman Bros.nel 2008/09), hanno pompato in questi anni una straordinaria quantità di liquidità, attraverso il processo di Quantitative Easing cioè acquisto massiccio di titoli pubblici che significa stampa di moneta. Tutto questa massa monetaria tende a produrre quella che gli economisti chiamano la “trappola della liquidità” cioè riduzione dei tassi di interesse e utilizzo della liquidità a fini non produttivi, creando possibili bolle finanziarie con effetti inflazionistici. Non a caso ora le banche centrali, il cui obiettivo è cercare di mantenere l’inflazione entro il +2%, stanno ora modificando il QE con il cosiddetto “tapering” cioè la riduzione degli acquisti di titoli e l’aumento dei tassi di interesse per raffreddare le spinte inflazionistiche, pur cercando di evitare che ciò possa rallentare la crescita economica. In tale direzione, la Fed appare più decisa, mentre la BCE sarebbe più accomodante. Quindi, se parte della crescita inflazionistica è causata dalla crescita della moneta in circolazione, una azione efficace delle banche centrali potrà raffreddarla.
  3. Negli USA si riscontra un mercato del lavoro in tensione a causa, oltre che per il perdurare dei contagi, di una carenza di competenze, una diminuzione della partecipazione al lavoro (anche in conseguenza degli elevati sussidi per la crisi pandemica che costituiscono spesso un’alternativa alla ricerca di lavoro), una crescita del naturale turnover dei dipendenti, in una situazione non lontana dalla piena occupazione. Ne consegue, per molte imprese, la necessità di aumentare le retribuzioni di fronte alla difficoltà di reperire lavoro, non solo nelle fasce alte, ma a tutti i livelli. Amazon ad esempio per attirare lavoro ha aumentato in USA la paga oraria a 18 dollari. Si sta quindi manifestando un trasferimento dell’inflazione di base verso le retribuzioni, determinando così il rischio di una stabilizzazione strutturale della crescita inflazionistica. Inoltre, la crisi dell’offerta di lavoro, assieme alla mancanza di forniture strategiche quali i componenti elettronici, a fronte di una domanda fortemente crescente, frena la produzione, creando ulteriore squilibrio tra domanda e offerta. Il rischio di ridotta disponibilità di forza lavoro appare crescere nel medio termine non solo in USA, ma anche in forma più problematica in Europa, per la futura uscita dal mercato del lavoro della generazione dei baby boomers.  
  4. In Europa la crescita inflazionistica, relativamente più contenuta rispetto agli USA, risulta particolarmente determinata dai prezzi dell’energia, tenuto conto della maggiore dipendenza dell’Europa da forniture esterne (salvo la fonte nucleare per la Francia), con un ulteriore appesantimento dai costi indotti dagli ambiziosi obiettivi UE per la sostenibilità ambientale e riduzione delle emissioni dei gas serra. L’aumento dei costi industriali è generato anche dai prezzi delle materie prime, in specie in campo siderurgico e nei trasporti marittimi, con impatto sui costi delle imprese a fronte di una domanda internazionale in netto sviluppo. Per ora, i maggiori costi industriali non si sono scaricati sui prezzi al consumo con rischio di riduzione dei margini e ci si augura che i costi energetici ed i tempi delle forniture possano normalizzarsi nel corso del 2022.
  5. In Germania la crescita dei prezzi al consumo (sino alla punta di oltre il +5%) sta determinando reazioni particolarmente preoccupate e preoccupanti, tenuto conto del ricordo e della paura (angst) permanente dei tedeschi per l’iperinflazione avvenuta tra gli anni 1919 e 1923, dopo la perdita della guerra e per l’enorme indebitamento bellico durante la Repubblica di Weimar con aumento prezzi del 700% all’anno  e la circolazione delle banconote Papiermark sino ad un singolo valore di 10 milioni di miliardi e con il valore di un francobollo  per 50 miliardi; per cui gli stipendi  venivano fissati quotidianamente. Per i tedeschi la paura dell’iperinflazione, con la successiva nascita del nazismo, rimane costante, con effetti sui comportamenti tesi sempre al controllo dei conti e dei debiti.  L’attuale ripresa dell’inflazione favorisce i falchi tedeschi e olandesi verso una politica europea troppo espansiva e si teme che questi atteggiamenti possano avere effetti nei confronti della UEM, con la possibile riattivazione delle regole comunitarie sospese durante la pandemia circa i parametri di deficit e di debito pubblico dei paesi membri ed in specie dell’Italia. Vi saranno probabilmente maggiori controlli su contenuti e risultati dei programmi NGEU in particolare verso l’Italia che ha ricevuto più sostegni ed è la più indebitata, per cui appare ancora più importante la continuità della “garanzia Draghi”. 
  6. Al contrario di USA ed Europa, la Cina sembra non risentire di forti impatti inflazionistici (prezzi al consumo attorno al +’1% e nel 2022 verso l’1.8%), mentre invece essa presenta nel 2021 un rallentamento della crescita industriale e delle costruzioni in parte per effetto di interventi governativi. Si manifestano significativi effetti inflazionistici in Russia, Turchia e paesi emergenti con accentuate svalutazioni.

Tenendo conto delle precedenti considerazioni, gli analisti economici hanno sviluppato alcune prospettive circa la possibile evoluzione dell’inflazione. Le previsioni di Prometeia di dicembre 2021 indicano un progressivo raffreddamento dei prezzi energetici nel corso del 2022, a cominciare dal petrolio, poi più lentamente dal gas, con effetti sul contenimento dell’inflazione in Europa, in cui i prezzi al consumo previsti si collocano al +2,5% nel 2021 ed al +2,4% nel 2022 per scendere al +1,9% nel 2023; per l’Italia i dati corrispondenti sono: +1,8% nella media 2021, +2,3% nel 2022 e + 1,9% nel 2023. La Germania presenta una inflazione più elevata: dal +3,1% nel 2021 (verso il +6% a fine anno) al +2,6% nel 2022 e +2% nel 2023.  Fuori dell’Europa, gli USA presentano una persistente e maggiore inflazione: +4,7% nel 2021, + 4,6% nel 2022, scendendo al +2,2% solo nel 2023. Non molto diverse o più orientate al raffreddamento delle spinte inflazionistiche sono le previsioni di Oxford Economics sempre a dicembre 2021: per l’UEM e per l’Italia dal picco 2021 del +4% si scenderebbe a fine 2022 al +1.5%. Certamente molto dipende dalla possibilità in Europa di proseguire un positivo sviluppo dell’economia nel corso del decennio, oltre l’attuale rimbalzo. Prometeia prospetta per il PIL dell’Italia, dopo il + 6.3% del 2021, un +4% nel 2022 e + 2,9% nel 2023, trainati da investimenti, export e consumi nell’ambito di una crescita mondiale di oltre il +4% annuo.

La preoccupazione sulla crescita quest’anno dell’inflazione non ci deve far dimenticare l’impatto economico determinato dal variare dei prezzi in più o in meno. Abbiamo sperimentato nel corso dell’ultimo decennio gli effetti negativi del contrario dell’inflazione e cioè la deflazione in cui si manifesta una spirale negativa tra recessione della domanda e riduzione dei prezzi con effetti reciprocamente negativi, oppure, come si è verificato negli anni 70 con  il fenomeno della stagflazione ovvero una crescita straordinaria dell’inflazione (con prezzi al consumo al +20% e oltre) per ragioni anche allora geopolitiche causa il petrolio arabo, in presenza di stagnazione economica durata per lungo tempo.

Oggi per affrontare sia una eccessiva inflazione che la deflazione o la stagflation vi sono strumenti di intervento più avanzati come il maggiore coordinamento tra le banche centrali o la possibilità di lancio di programmi estesi di investimento e di sostegno ai redditi con politiche proattive in caso di recessione e di crisi pandemiche o finanziarie come avvenuto con l’introduzione del NGEU che dovrebbe divenire strutturale nella UEM al posto delle dannose politiche regolatorie, così come l’attuazione degli interventi New Deal di Biden. 

Peraltro, occorre anche considerare che il pianeta si è ristretto e che qualsiasi azione si ripercuote rapidissimamente in tutti i paesi, come si diceva in passato che per il muovere delle ali di una farfalla a grande distanza si generano cicloni in altre parti del globo o purtroppo, come stiamo sperimentando oggi con la diffusione istantanea in tutto il mondo della variante Omicron, con effetti imprevedibili e per cui si richiede sempre più uno stretto coordinamento e intervento da parte di tutti gli attori del pianeta.   

 

Inserito il:22/12/2021 10:58:02
Ultimo aggiornamento:22/12/2021 11:06:44
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