Aggiornato al 02/05/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

21 dicembre 2016

La storia non è una bufala.

La storia insegna che un partito dilaniato da correnti interne, senza una strategia che sia coerente con la evoluzione dei tempi nel bene o nel male, con idee statiche che piano piano sono diventate utopistiche non tanto per i valori che predicano quanto per l’incompatibilità con la società nazionale e internazionale, è destinato a sparire. Il come e l’occasione sono irrilevanti. La Democrazia Cristiana, per esempio, ha avuto una vita lunga per il ruolo giocato dopo la seconda guerra mondiale, per il suo radicamento sociale e l’appoggio forte e manifesto della organizzazione ecclesiastica nel nostro paese, ma alla fine è scomparsa proprio perché aveva perso il connotato di partito, cioè un luogo fisico e ideologico dove gente che la pensa allo stesso modo opera insieme per portare avanti le istanze definite. Praticamente possiamo dire la stessa cosa del Partito Democratico che non esiste più a prescindere se sul piano formale chiuderà i battenti tra un giorno, un mese o un anno. La fine del Partito Democratico chiude una epoca nel nostro paese anche se sarà faticoso per vecchi militanti e sognatori ammetterlo e conformarsi. Ma la storia è maestra di vita e indica le uniche alternative possibili per il futuro. Poi l’errore è non darle retta!

23 dicembre 2016

Non si possono raddrizzare le gambe ai cani.

Un proverbio popolare, antico per dire che non si può costringere qualcuno a fare quello che non vuole fare o non sa fare. Parliamo del capitalismo italiano. In questo paese esistono, come ovunque più o meno, tante persone che dispongono di tanti denari e che cercano di investirli per fare in modo che producano altri denari. Queste persone sono i capitalisti e cioè quelli che hanno i soldi. La cultura di questo paese spinge questi capitalisti a investire i loro beni per acquistare beni solidi o immobili come case e terreni, magazzini o garage oppure ad acquistare beni rifugio come oro e gioielli, quadri o altre cose che si possono toccare. Molti naturalmente spostano fuori dal paese questi loro averi per depositarli  in paradisi fiscali o in zone franche che sono presenti in tante parti del mondo malgrado il tanto parlare di politici velleitari. Qualcuno consegna i soldi alla Chiesa cattolica sperando in un benessere nell’aldilà. La cultura di altri paesi è diversa, spinge i capitalisti ad investire nelle imprese o in attività sociali che producono reddito ma che sono il motore della evoluzione della società perché producono lavoro, conoscenza, relazioni, fantasia, impegno. A questo punto i problemi sono due. Da una parte per fare evolvere la società, per creare lavoro e benessere se i capitalisti italiani non vogliono investire nelle imprese bisogna solo sperare che quelli stranieri decidano di venire ad investire nel nostro paese e quindi non ci dobbiamo o possiamo lamentare se le aziende italiane sono acquistate da stranieri perché questi arrivano a dare una mano alla nostra economia e certo non possiamo pretendere quello che vogliamo noi con i soldi degli altri. L’altro problema è come riusciamo a convincere i capitalisti italiani ad investire nella società, nelle imprese? E questo è un aspetto che richiede tempo e sensibilizzazione perché è un problema culturale, per questo sarebbe utile cominciare al più presto perché la strada è lunga e difficile ma anche obbligata per il futuro.

24 dicembre 2016

Il caso Mediaset.

Si sta scrivendo e parlando molto di questo caso che, in realtà, è molto semplice se liberato da tutti gli aspetti politici che sono a lui attaccati per fare ammoino. Un gruppo forte, in espansione, dotato di capitali che ha deciso di investire, già maggiore azionista della più importante azienda di telecomunicazioni del nostro paese vuole acquisire il gruppo Mediaset per farne un centro di sviluppo di contenuti a livello europeo da fa circolare successivamente su vari canali. Evidentemente riconoscono a Mediaset una cultura che se pur non al massimo è tuttavia capace di sviluppi interessanti e comunque ritengono sia dotata dei requisiti di base per diventare una impresa europea competitiva in questo specifico settore. Di contro la famiglia Berlusconi che è il maggior azionista del gruppo, peraltro quotato in Borsa, non ha i soldi per investire o non vuole farlo per motivi suoi e comunque legittimi. Il gruppo Mediaset così come è senza investimenti e senza alleanze e senza strategie che possono renderlo compatibile con il futuro che ogni giorno diventa più chiaro, potrebbe essere in grande difficoltà e i sintomi   ci sono già tutti. Ed allora? Difendere l’italianità della azienda può significare condannarla nel giro di pochi anni ad una sorte poco allegra trascinando anche gli investitori e gli altri soci visto l’atteggiamento del maggior azionista attuale, mentre favorire l’ingresso di capitali anche stranieri e con una strategia precisa può essere una buona opportunità per gli investitori, i soci, i lavoratori e i clienti. Tenendo anche conto che l’azionista straniero affrancherebbe l’azienda da condizionamenti politici più o meno accesi, l’operazione sembra essere solo positiva. La stessa famiglia Berlusconi comunque resterebbe senza l’azienda ma con una montagna di soldi. Perché allora tanti strillano e dichiarano che bisogna cercare di difendere l’italianità dell’azienda? Il maggiore azionista attuale magari strilla per alzare il prezzo ed è comprensibile, il sindacato e il mondo politico strillano perché capiscono che nel futuro la forza di condizionamento che possono esercitare sul gruppo diminuisce e i media lo fanno solo perché sono utili idioti o perché non capiscono o perché lo fanno per conto di mandanti come tutto ciò che fanno? Certamente il caso Mediaset è molto indicativo per far capire la logica del sistema imprenditoriale e politico del nostro paese.

27 dicembre 2016

I francesi comprano di più da noi.

L’economia francese è forte, la sua cultura internazionale è radicata anche per la storia del paese, così come è radicata la loro abitudine ad investire. L’imprenditore francese sa, a differenza di quello italiano, che continuare ad investire significa fare il proprio mestiere, far crescere la impresa, ricercare sempre nuove opportunità e attraverso le fusioni e acquisizioni integrare le proprie esperienze, progettarne di nuove, fare marketing e creare effetto eco anche su tutta la propria attività. Ma l’economia francese non è l’unica forte perché c’è quella tedesca, quella inglese anche se in un momento non felice per le incertezze politiche connesse a Brexit, quella americana tanto per citarne qualcuna e senza andare verso oriente. Ma perché allora le nostre imprese incuriosiscono e attirano di più l’economia francese rispetto alle altre? Certamente ci possono essere vari motivi. Intanto, e non è cosa da poco, come si diceva la cultura del sistema economico e imprenditoriale francese, la vicinanza tra i nostri due paesi con le nostre storie che si sono da sempre intrecciate, la mentalità loro e nostra che si intendono anche nella diversità, le opportunità che offre il mercato italiano per la necessità di crescita e di capitalizzazione che hanno le nostre imprese prive del sostegno dei capitalisti italiani alieni dall’investire abituati come sono a farlo o con i soldi delle banche o con quelli dello Stato, il valore di molte nostre imprese  e di molti nostri addetti che hanno potenzialità superiori rispetto a quello che riescono ad esprimere e che i francesi hanno perfettamente capito, la loro capacità finanziaria e la loro abitudine a muoversi a livello internazionale ed infine la loro abitudine ad assumersi rischi di impresa che non ha riscontro per esempio in Germania o in Gran Bretagna e forse neanche negli Stati Uniti. Magari la loro convinzione a considerare il nostro mercato un loro secondo mercato per le affinità anche nei gusti e per le dimensioni.  Il fatto è che molte imprese italiane sono andate ad arricchire gruppi internazionali francesi della moda e dei prodotti di alto livello, ma anche della tecnologia, della distribuzione e in altri settori. Naturalmente più imprese francesi sono presenti più imprese francesi è prevedibile che possano arrivare con i loro prodotti e servizi comprando aziende italiane perché, come è evidente, si crea un network, un sistema che tende a moltiplicarsi e vicendevolmente a sostenersi.

29 dicembre 2016

La riforma della tv.

Da un po’ di tempo la televisione italiana pubblica, quella rappresentata dalla RAI per intenderci, ha un nuovo management che cerca di innovare pur con molta prudenza e in modo quasi scarsamente avvertibile per occhi non esperti o disattenti. Sarebbe interessante se i media e altri osservatori sociali come sindacati, centri di studio o di consulenza sulla comunicazione, politici colti e moderatamente sinceri, esprimessero le loro opinioni su questi cambiamenti. Magari suggerendo, indicando esempi e modelli, segnalando temi e possibili protagonisti. E sarebbe altresì interessante se la RAI in questo sforzo che pare stia facendo di adeguarsi a nuove realtà sociali e tecnologiche cercasse in qualche modo un coinvolgimento più largo della società e di suoi rappresentanti significativi per il ruolo e per la capacità di contribuzione intellettuale. In altri termini questo sforzo che la RAI compie può essere interessante ed importante per il paese, non bisognerebbe sprecarlo e potrebbe essere anche la occasione per reimpostare il rapporto tra questi centri culturali della società e i cittadini. Probabilmente in questo paese la gente a tutti i livelli e ruoli è impegnata a combattersi ed odiarsi per sostenere qualcuno, per conquistare o mantenere potere, per cercare di guadagnare e non ha tempo per partecipare civilmente ad un dibattito sociale in modo libero e laico, mentre gli addetti ai lavori fanno cose anche per compiacere e per ottenere personale consenso da spendere dopo nei vari canali della comunità e soprattutto in quelli controllati dalla politica, anche quella stupida, inutile e volgare.

30 dicembre 2016

L’odio sociale.

Non si può negare che l’odio pervade e divide la nostra società. Non solo la nostra, ma altre tuttavia trovano o possono trovare momenti o punti di convergenza come da noi mai è successo con eccezione nel caso di un paio di vittorie della nostra nazionale di calcio ai campionati mondiali. L’odio sociale nel nostro paese si manifesta ogni giorno di più nella politica, nella famiglia, nel mercato, nella società, nello sport. Viene da lontano, dalle origini della nostra nazione, dal modo come è stata costituita, ed è stato alimentato dal secondo dopoguerra in poi da un management politico che, non abituato alla democrazia, lo ha fomentato a scopo di potere dividendo sempre più la società in caste. Naturalmente negli ultimi anni grazie ai fenomeni mondiali della globalizzazione e della diffusione della tecnologia questa divisione si è accentuata, creando diversificazioni sociali difficilmente sanabili e caste privilegiate oggetto dell’invidia delle altre categorie, alcune delle quali sempre più vicine ai livelli di miseria. In queste condizioni l’odio è cresciuto, ha persino cambiato i rapporti tra le persone, il linguaggio, la morale, i comportamenti.  Oggi l’odio sociale rappresenta un macigno sulla strada dello sviluppo e, se non si riuscirà a rimuoverlo, il futuro che ci aspetta, al di là di qualsiasi sia la soluzione politica che prevarrà, sarà veramente difficile riuscire a prenderlo.

Inserito il:21/01/2017 11:45:58
Ultimo aggiornamento:21/01/2017 11:57:28
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