Aggiornato al 02/05/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

1 febbraio 2017

Il candidato.

È un narcisista che si ritiene molto esperto e preparato, molto intelligente e con tutti i titoli per svolgere qualsiasi lavoro in azienda a qualsiasi livello o qualsiasi attività professionale o politica come conseguenza appunto della sua alta personalità che lui ritiene riconosciuta da tutti. Costui quindi per ogni posizione che si rende libera nel paese si propone come candidato inviando il proprio corposo curriculum e invitando amici e conoscenti a far girare la voce il più possibile sulla sua disponibilità. Costui passa la vita, anche mentre fa altri lavori, a inviare curricula ed a competere per tutto a qualsiasi livello in qualsiasi condizione. Naturalmente questi personaggi in genere non sono all’altezza di quello che pensano e solo una alta ed errata valutazione di sé li spinge verso questa competizione che si svolge durante tutta la loro vita attiva. Ogni mancato successo provoca ovviamente aspre reazioni contro tutto e contro coloro che hanno deciso, per quel che si sa, da parte del nostro candidato. Accumulandosi questi mancati successi provocano nel soggetto in questione altresì una reazione di tipo nevrastenico che produce una mania ossessiva contro tanti e che gli rende la vita impossibile nel senso che perde ogni equilibrio per buttarsi fanaticamente a lottare contro alcuni adottati come simboli della ingiustizia che ha dovuto secondo lui patire tutta la vita. Il mondo è pieno di candidati che pontificano, intervengono, cercano, si insinuano per tentare un riscatto del loro insuccesso attraverso la spiegazione della disonestà di chi avrebbe dovuto riconoscere e l’ingiustizia che, dicono loro, si manifesta in genere su chi vale. Purtroppo in ogni società i candidati con le loro dirompenti e pericolose socialmente manie ossessive sono tanti, incontrarne qualcuno è un problema. Come dialogare con chi si crede Napoleone senza esserlo e dovendo accettare questo triste gioco della vita.

2 febbraio 2017

L’intervista.

Evidentemente non esistono più le scuole di giornalismo e pure con evidenza nessun giovane che intraprenda la carriera di giornalista assiste a conferenze, fa stage o partecipa a qualche tirocinio, così come la iscrizione all’albo viene rilasciata a chiunque abbia il tempo di presentare una domanda con i propri dati anagrafici per l’archivio. Lo si vede da questi giovani mandati nei luoghi dove succedono disastri o fattacci per riportare e dare notizie che puntualmente fanno leggendo qualche comunicato e poi arricchiscono questo loro servizio intervistando gente che passa, cittadini cercando di scegliere, se riescono, qualche disgraziato perché ritengono, o hanno loro spiegato, che la disgrazia nella disgrazia fa audience. Ecco l’intervista! Era il massimo delle capacità del giornalista, instaurare un rapporto di fiducia e formulare domande in modo tale da apparire normali e quasi banali, ma che insieme davano un quadro completo del personaggio e del suo rapporto con il fatto o con i fatti. L’intervista è stata sempre il cavallo di battaglia dei grandi nomi del giornalismo e nel nostro paese e non si possono non ricordare nomi come Enzo Biagi, Indro Montanelli tanto per citare qualche grande. Anche quando vengono presentate interviste televisive, il giornalista si mostra o troppo remissivo o troppo aggressivo per far vedere che è cattivo, ma le domande sono in qualche modo o addomesticate o sbagliate oppure ancora banali. La mancanza di interviste degne di questo nome è il termometro più indicativo del degrado professionale di questa affascinante professione e che oggi viene svolta senza anima e senza competenza, almeno nella maggioranza dei casi.

3 febbraio 2017

L’economista stregone.

Negli ultimi venti anni è stato il padrone del mondo. Lo studioso, l’esperto, lo scienziato, l’accademico esperto di economia, una scienza che non è una scienza, che interpretava le statistiche e ipotizzava il futuro. Un po’ come facevano gli stregoni del passato non utilizzando statistiche per comunicare il responso dell’oracolo, ma pietre di fiume o altri pezzi della natura. Il suo potere è stato immenso, suggeriva, meglio dire ordinava, a capi di Stato quali politiche, cosa fare, come gestire la società, la ricchezza del paese e la sua distribuzione. Quello che è successo nel mondo negli ultimi due decenni lo dobbiamo agli economisti che hanno anche deciso direttamente o indirettamente guerre, colpi di Stato, favorito fazioni e aziende, inventato la globalizzazione finanziaria, ridotto la Unione Europea a un gruppo per la gestione delle monete senza politica e senza visione. Naturalmente la responsabilità principale di questa situazione è del mondo politico in tutto il mondo che per pochezza umana e professionale, per paura, per interesse ha abdicato alla sua funzione principale ed ha consentito a questa ambiziosa categoria di prendere il potere e determinare il futuro. Un progetto sociale non può essere basato solo sulla economia così come qualsiasi alleanza o unione, se privo di una visione, di principi quali che siano. Adesso il tema è come si fa a togliere il potere a questi economisti che nel frattempo si sono distribuiti premi e riconoscimenti, cattedre e consulenze, Presidenze e posti in prima fila in tutte le librerie? E quali uomini politici avranno il coraggio di farlo?  Potrebbe succedere che saranno uomini politici che hanno una visione dittatoriale del loro potere a farlo perchè non sopporteranno condizionatori di qualsiasi tipo, ma il mondo a questo punto potrebbe cadere dalla padella nella brace. Questi economisti ci stanno facendo vivere male e ci faranno vivere male ancora per molto tempo almeno alla maggioranza di noi.

 4 febbraio 2017

Democrazia: molto citata e spesso poco praticata.

L’episodio è buffo in un paese che si dice democratico, in un partito che dichiara anche lui di essere democratico e che sviluppa la sua azione politica dicendo che combatte per la democrazia. L’episodio riguarda il Sindaco della capitale coinvolto in affari difficili da capire, tutti da provare, e di cui si sta occupando la magistratura. Hanno chiesto al sindaco se pensava di dimettersi e lei ha dichiarato che non ci pensa proprio perché ha la fiducia di Grillo. Non ha detto che ha la fiducia della Giunta, del Consiglio Comunale, di qualche altro organo istituzionale, dei cittadini, della stampa, no! ha proprio detto che ha la fiducia di Grillo, che è l’interfaccia del suo movimento verso la popolazione del paese, nonché il proprietario legale dei marchi e del patrimonio dello stesso. Ora evidentemente si può affermare di conseguenza che il nostro paese non è democratico, almeno non del tutto proprio perché al vertice di un organo istituzionale importante mantiene un rappresentante popolare con un’ idea distorta di democrazia. Ed ancora che il partito cui appartiene il Sindaco ha forse idee strane sul concetto di democrazia e sul suo funzionamento. Forse pensa che non importa come si forma e chi prende ogni decisione, non importa se ogni decisione è di tipo autoritario, perché se poi la si sottopone al giudizio dei cittadini questa decisione diventa democratica come per miracolo. Senza contare che il giudizio dei cittadini non significa giudizio libero del popolo, ma, nella loro consuetudine, consultazione di un numero di persone registrato su un data base riservato con una media di partecipazione inferiore alle 50 mila unità per via telematica. Secondo questo partito queste 50 mila persone schedate sono rappresentative di tutta la popolazione italiana costituita da 60 milioni di persone e questa si chiama democrazia diretta, una forma, secondo loro, addirittura più elevata di democrazia. In aggiunta l’ elaborazione dei risultati è affidata a software e a operazioni controllate non da organi terzi, ma da una società privata direttamente coinvolta nella gestione del partito o movimento che dir si voglia. La democrazia è una cosa seria e non basta dire di volerla per dimostrare che veramente la si vuole, è utile altresì, anche se ad alcuni può apparire ridicolo, dimostrare nei fatti che la si vuole.

  5 febbraio 2017

Gli esperti.

Ormai è diffusa l’abitudine in molte trasmissioni televisive di fare intervenire sui vari temi che vengono trattati oltre a degli ospiti in studio anche degli esperti via telefono o in collegamento veloce per video. Salvo casi particolari, quasi sempre intervengono persone assolutamente sconosciute che hanno funzioni di secondo piano in qualche istituzione pubblica o para pubblica. L’abitudine è deleteria perché si cerca di convincere molti sprovveduti di una tesi che si vuole sostenere senza che il parere espresso da questi esperti abbia alcuna autorevolezza. È un degrado del dibattito ed anche una scorrettezza nei confronti del pubblico. Naturalmente gli esperti chiamati a dire la loro opinione sono tutti contenti perché comparendo in televisione al di là del prestigio familiare che pensano di acquisire, soddisfano il desiderio che gli italiani amano da sempre a prescindere dalla posizione sociale e dal ruolo e cioè comparire in televisione. In fondo una forma di narcisismo su cui contano questi programmi sgangherati e superficiali che le reti televisive trasmettono con molta spudoratezza contribuendo alla formazione distorta di una opinione pubblica.

  6 febbraio 2017

Un certo numero di personaggi politici sia singolarmente attraverso interviste e manifestazioni e sia attraverso i partiti cui appartengono, grandi o piccoli che siano nel senso di influenti o irrilevanti, strillano a più non posso perché vogliono che il Presidente della Repubblica sciolga le Camere al più presto e mandi tutti i cittadini a votare. Dicono loro con qualsiasi legge elettorale perché il popolo saprà capire e saprà scegliere e in ogni caso è sovrano. In realtà alcuni pensano di vincere come quelli del movimento 5 stelle e tanti altri pensano che fare un po’ di confusione può aiutarli per aumentare il consenso della gente. Altri personaggi invitano alla calma, dicono che bisogna armonizzare le due leggi elettorali relative alla Camera e al Senato oggi diverse (come se nel nostro paese avessimo sempre votato con la stessa legge per le due Camere), dicono che il Governo ha compiti urgenti che bisogna svolgere prima di andare al voto. In realtà non vogliono andare a votare perché sono penalizzati dai sondaggi o perché non hanno ancora definito una strategia elettorale e temono una cocente sconfitta. La verità è che dietro queste richieste di chi vuole e di chi non vuole le elezioni sempre in nome del popolo, c’è un enorme disinteresse per il popolo e per il paese e solo il desiderio di conquistare più potere, avere un ruolo di primo piano, spesso senza avere idea di come risolvere i problemi. Qualche volta alcuni dichiarano di come si possono risolvere e fanno rizzare i capelli in testa a chi ha qualche competenza o doti di buon senso. La maggior parte di queste persone e di questi partiti non vogliono andare al potere (sissignora), vogliono continuare a contare, a influenzare, a portare avanti   interessi di amici e continuare a godere di situazioni economiche e di prestigio personali privilegiate alla faccia di chi soffre e continuerà a soffrire. Insomma si parla e si litiga per le elezioni e intanto si fa quello che si vuole e cioè l’ammoino, secondo le migliori tradizioni della marineria napoletana ai tempi dei Borboni.

  7 febbraio 2017

Due o tre cose sul populismo.

 Il populismo non è una ideologia, ma è una strategia per conquistare e conservare il potere e che è sempre esistito anche se negli ultimi tempi è riapparso con forza grazie a internet. La sua forza e la sua diffusione si deve principalmente alle condizioni delle società stravolte dai fenomeni di cambiamento, dalla precarietà economica e dalla minaccia della insicurezza del futuro. Una regola del populismo è divide ed impera, i populisti si ergono come difensori del popolo contro le caste. In questa opera tendono ad esasperare le divisioni e il conflitto sociale tra classi, razze, religioni, nazionalismi e qualsiasi altra cosa può diventare indignazione e furia politica. I populisti non hanno paura di giocare con il fuoco e ravvivare ogni forma di odio sociale. Altra regola del populismo è delegittimare e criminalizzare la opposizione. Esagerare la cattiva situazione del paese è fondamentale per il populista che tende a dire che tutto ciò che è stato fatto dai governi precedenti è negativo, corrotto e inaccettabile. Perché questo richiede un cambio drastico che è quello che promette il populista. Altra regola è immaginare una cospirazione internazionale che appoggia l’opposizione. Questo è un vecchio trucco che contribuisce alla divisione interna e che può finire in tragedia. Il nemico esterno può essere un paese, un gruppo etnico, od organismi internazionali. Infine, l’ultima regola fondamentale è disprezzare giornalisti ed esperti che rischiano di raccontare la verità e di scoprire gli altarini del populista (rischio che non si corre nel nostro paese). Ma rischio che è reale in tante parti del mondo e basta osservare il comportamento di Donald Trump con la stampa del suo paese e quello che sta facendo Erdogan in Turchia (il carcere più grande per intellettuali). Nessuna di queste regole è nuova, si sperava che la democrazia, la educazione, la tecnologia, la comunicazione e il progresso sociale avrebbero opposto una importante diga alla diffusione del populismo, inteso come crisi della società. Ma non è stato così!

  8 febbraio 2017

Sono passati quasi cinquanta anni.

Dal 68, l’anno chiave per capire il percorso del nostro paese. E’ ora di festeggiare come al solito si usa fare dalle nostre parti con qualche cerimonia e qualche testimonianza di reduci di successo o forse finalmente sarebbe ora di fare una analisi concreta e sincera senza pregiudizi sul suo significato e sulla sua influenza nella storia politica, culturale ed economica di questo nostro difficile ed angustiato paese? In altri termini, dobbiamo continuare a considerare il 68 un dogma o possiamo scoprire ciò che veramente vi è dietro quello che per anni ci hanno fatto credere ed hanno esaltato? Le tesi finalmente cominciano ad incrociarsi e forse la speranza di avvinarci alla verità storica entro la fine del prossimo anno la possiamo coltivare. Per alcuni, che però crescono di numero e di qualità, il 68 fu il modo di conservare il potere culturale e politico dei figli della borghesia e delle elite italiane, pressate da nuovi ceti sociali più umili ma potenzialmente più preparati e motivati. La conservazione del potere è avvenuta fondamentalmente attraverso la abolizione della meritocrazia proprio per non far vincere i meriti contro le rendite di posizione. La prova? I sessantottini borghesi e ricchi hanno occupato le cattedre, i giornali e i posti di potere. Mentre le classi intellettuali emergenti si sono dovute accontentare di ruoli minori e privi di importanza. La cosa buffa che tutta questa operazione è stata connotata come di sinistra e sempre difesa appunto dalla sinistra italiana che forse non ha capito non volendo pensare ad un piano di collusione, cosa che sarebbe ancora più grave. Le conseguenze arrivano sino ad oggi, nel dilagare di un populismo ideologico, giacobino, nella radicalizzazione di un clima contrapposizione che continua a generare danni. Allora, in sintesi il 68 è stato l’evento che ha interrotto il boom culturale, politico ed economico del paese come è dimostrabile dai dati storici sino al 67, ha provocato dei danni culturali enormi come lo sfascio di tutto il sistema di formazione del paese, è stato la base del terrorismo, ha cancellato il merito e ha ipotecato un futuro di odio, quello che oggi sta scorrendo sotto i nostri occhi. Un tema che varrà riprendere più e più volte per provocare e per sensibilizzare, per chiarire e per smentire, soprattutto per capire.

 

  9 febbraio 2017

Le due velocità.

Angela Merkel ha detto che forse questa Unione Europea può essere divisa in due in modo da stabilire due velocità di cammino in cui raggruppare i paesi aderenti e non costringere chi non può correre ad inseguire chi lo sa fare e non può fermarsi. Poi tra i due gruppi possono essere stabilite pure delle regole di buon vicinato, ma questo può venire dopo ed è normale. Il fatto innegabile però è che questa divisione se si dovesse fare, ma forse già basta che se ne parli, dimostra come la attuale configurazione della Unione Europea è sbagliata nella forma e nella sostanza e che coloro che la hanno pensata e realizzata sono stati come minimo imprevidenti e poco lungimiranti politicamente. Considerato il prestigio di Angela Merkel e il ruolo della Germania che lei rappresenta adesso la discussione si farà e le probabilità che arrivi a buon fine questa spaccatura sono molto alte. Una constatazione da fare è che i politici che hanno sbagliato, e non sono stati capaci di prevedere, adesso applaudono alla Merkel invece di fare il mea culpa e tra questi il nostro illustre Romano Prodi che è un politico famoso anche se nessuno ha ancora spiegato perché lo è o dovrebbe esserlo. La considerazione più importante tuttavia è che di fatto la Unione Europea non esiste e soprattutto non esisterà quasi certamente e che ci saranno esclusivamente alcuni gruppi di paesi che stabiliranno accordi di collaborazione commerciale. Giusto dire gruppi di paesi perché non è detto che le velocità proposte dalla Unione siano due, infatti potrebbero anche essere tre o più. La Unione non esiste perché non è basata su valori e su politiche comuni, ma solo su aspetti economici e gli accordi quando sono solo economici prima o dopo si rompono, perché ciascun paese cammina con il suo passo, ha obbiettivi che possono non essere coincidenti.  La Unione non esisterà formalmente quando si prenderà atto ufficialmente della sua non esistenza reale, ma del fatto che il suo è un ruolo burocratico formale di importanza solo per avere un fido bancario internazionale. Per questo quando la Merkel ha detto che nell’Unione Europea le velocità possono essere anche due, di fatto ha lanciato una specie di parola simbolica, ha decretato la fine della stessa Unione anche se le diplomazie e gli interessi adesso si prenderanno il loro tempo per smantellare le montagne burocratiche messe in piedi e che saranno ovviamente inservibili.

 10 febbraio 2017

E allora la Brexit va.

La Camera dei Comuni ha dato il via libera al Premier Theresa May per iniziare le trattative con l’Unione Europea allo scopo di uscire dalla organizzazione appena possibile. Manca ancora l’approvazione della Camera dei Lord, ma le previsioni dicono che non dovrebbero esserci ostacoli. Così la Gran Bretagna esce dalla Unione Europea con tutti i crismi costituzionali, dal referendum alla approvazione parlamentare. Adesso vedremo come saranno queste trattative e come la Unione riuscirà a mantenere un rapporto con la Gran Bretagna, che in definitiva non lascia l’Europa. Naturalmente l’operazione Brexit si porta dietro non solo l’interesse di tanti paesi ma anche la loro curiosità perché dipende dall’esito di questa operazione se qualche altro paese la vorrà fare per conto proprio, come cominciano a voce alta a chiedere alcuni partiti populisti in vari paesi. Ma l’aspetto più in un certo senso curioso per noi italiani è il fatto che alla Camera dei Comuni quando si è trattato di votare se appoggiare la proposta del Governo o meno non solo i conservatori, come era ovvio, hanno approvato, ma anche i laburisti che sono fortemente alla opposizione hanno votato sì. La motivazione? Il fatto che si trattava di dare all’estero una immagine di compattezza del paese, ha detto il segretario dei laburisti. Questo vuol dire avere senso dello Stato, vuol dire senso di appartenenza ad una comunità al di sopra delle fazioni partitiche, vuol dire infine che la lotta politica in quel paese non è piena di odio e che di fronte al mondo tutti sono uniti. Ecco cosa è veramente la democrazia!

Inserito il:01/02/2017 08:21:50
Ultimo aggiornamento:10/02/2017 08:15:28
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