Aggiornato al 02/05/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

01 marzo 2017

Le aziende e il territorio.

Molti studi in tanti paesi anche europei stanno rilevando che le grandi aziende, anche multinazionali, che hanno sede in piccoli paesi riescono ad avere successo in misura maggiore e in modo più duraturo. È un dato interessante che giustifica i centri in cui convivono molte iniziative imprenditoriali perché possono usufruire di servizi comuni e di costi più bassi esclusivamente nel caso di avviamento (oggi questi centri stanno nascendo in particolare con attenzione al fenomeno delle start up). Ma l’azienda che costruisce la sua fabbrica e la sua attività in modo quasi integrato identificandosi con il territorio in cui è radicata finisce per avere motivazioni, stimoli, dedicazioni, fedeltà e impegni di gran lunga maggiore di altre sparse in siti apparentemente più convenienti, perché magari più serviti o più accessibili. Perché la radicazione in un paese piccolo o medio finisce per favorire la creazione di un’anima aziendale che diventa il vero strumento di diversificazione e di successo. Sono interessanti questi rilievi che peraltro trovano gli agganci nella storia della impresa del novecento anche del nostro paese, tra i quali spicca ovviamente l’esperienza di Adriano Olivetti, che aveva studiato a fondo il legame tra azienda e territorio, sostenendo che proprio quest’ultimo riesce a dare quella spinta per un successo significativo, come peraltro era avvenuto per la sua azienda. Naturalmente non solo Olivetti, ma Marzotto, Necchi e tantissime altre. Ed ancora oggi è così nel nostro paese come in Europa ed anche negli Stati Uniti. Un rilievo di cui si parla poco e che invece è fondamentale per definire qualsiasi iniziativa industriale e per definire le caratteristiche dell’impresa. Un modo per valorizzare il territorio, per evitare concentrazioni e agglomerati, per fidelizzare il personale e ottimizzare le condizioni e i costi, per sviluppare servizi e formazione per tutti. Il rapporto tra azienda e territorio, in altri termini, è motivo di successo della impresa, il miglior modo da parte di questa per esprimere la sua socialità, la risposta a coloro che pensano che l’impresa è solo una operazione industriale o commerciale, mentre è una espressione più complessa della creatività e dell’ambizione dell’uomo.

02 marzo 2017

In nome della gente.

In nome della gente, o del popolo come si dice di più e meglio, molti parlano, indicano, fanno sapere che quello che vogliono fare o fanno non è perché lo pensano loro o perché lo ritengono opportuno e giusto, ma perché è il popolo che lo vuole, è il popolo che decide. E quando decide il popolo bisogna inchinarsi senza indagare oltre sul come questo consenso è stato ottenuto o è stato in qualche modo pilotato. Molti pensano che fare quello che dice il popolo o che si rileva interpellando o interpretando il pensiero del popolo è la vera democrazia. Costoro non sono al corrente del fatto che la democrazia da sempre, da quando è stata inventata, significa delega e controllo. Delega a tempo a qualcuno per operare, possibilmente scegliendo in modo da potersi garantire esperienza e capacità e controllo per evitare che costui non tracimi dai limiti che sono imposti dalle leggi e dagli interessi collettivi. Se si lasciasse il governo di uno Stato a comitati popolari e si sottoponessero tutte le decisioni a referendum popolari, il rischio di una gran confusione ci sarebbe insieme a decisioni inappropriate perché prese senza conoscenza e senza valutazioni che, soprattutto nella epoca della globalizzazione di fatto e della tecnologia, richiedono particolare competenza. Però in nome del popolo esistono le religioni, sono state fatte tutte le rivoluzioni. E al nome del popolo si ricorre quando, in altri termini, si vuole conquistare il potere e non si hanno programmi o progetti da sottoporre alla volontà popolare, per cui è più facile e più produttivo ai fini che si vogliono raggiungere, sostenere che si vuole fare quello che il popolo vuole e facendo credere al popolo stesso quello che lui non sa di credere. La esistenza di religioni che esercitano potere temporale o leader e partiti che dicono di operare in nome del popolo è tipica dei periodi di crisi, quando la gente si attacca a tutto nella speranza di andare verso un miglioramento del proprio modo di vivere. In nome del popolo sono stati commessi misfatti spaventosi nella storia della umanità e in nome del popolo hanno parlato i grandi dittatori della storia, tra cui i grandi del secolo scorso come Hitler (peraltro eletto in una regolare elezione democratica), Stalin, Mussolini e Franco. Diffidare di chi pretende di parlare in nome del popolo o che si serve del popolo a scopo di potere è difficile e in un sistema democratico aperto la possibilità per uomini di pochi scrupoli o dediti alla ciarlataneria è facile perché l’ingenuità popolare, anche se più volte frustata, miracolosamente si ricostruisce sempre e abbocca con facilità verso coloro che promettono e lusingano. I cicli della storia di cui parlava un grande anche per questo rappresentano una grande realtà.

03 marzo 2017

Perché ci sono a fare i capi più uomini che donne.

La marcia delle donne verso la giusta e inevitabile parità negli ultimi tempi ha effettivamente fatto molti passi avanti. Ma nelle strutture direttive statali soprattutto, come nei consigli di amministrazione delle società ed ancora nei ruoli politici e diplomatici, cioè nelle stanze del potere sono ancora gli uomini a prevalere, ad essere in maggioranza. Naturalmente parliamo del mondo occidentale e non di tutto, perché nella maggior parte del mondo la donna per motivi religiosi o economici conduce una vita subordinata senza speranze almeno a breve termine. Ma nel mondo occidentale e in quella parte di esso dove la donna ha fatto un po’ di passi avanti perché, pur avendo ormai accesso a tutte le professioni, anche le più pericolose, non riesce ad accedere ai posti di potere? Certamente si può legittimamente pensare che gli uomini in modo cosciente o incosciente cercano di difendere strenuamente le loro posizioni, ma perché ci riescono? Dipende solo dalle norme e dalle condizioni che sono pensate per il genere maschile e che non si riesce a cambiare o ci sono anche altre caratteristiche che influiscono? Sicuramente il fatto che la donna   gioca diversi ruoli (lavoro, famiglia, cultura, società) la penalizza in termini di determinazione e di spregiudicatezza nella lotta per prevalere in ogni singolo ruolo ricoperto, ma la donna d’altra parte è felice di giocare vari ruoli e quindi cosa si può e si deve fare? Cambiare il significato di molte funzioni, fare evolvere il modo di lavorare, pensare ad un futuro che abbia spazio nella vita per cose diverse e paritetiche, privilegiare sempre il merito. Sino a che la lotta per il potere è riservata solo a coloro che dedicano a questo tutta la loro vita senza occuparsi di altro vinceranno sempre gli uomini o le donne che imiteranno gli uomini, perché appunto le donne giocano vari ruoli e non intendono rinunciare a questa loro interpretazione della vita. In altri termini non ci sono leggi o situazioni che possono fare prevalere le donne se non casualmente ed in via eccezionale. Il problema è, come direbbe qualche professore ad Harvard, cambiare il business model della nostra società.

04 marzo 2017

In nome della legge.

La legge è uguale per tutti è scritto nei codici e in tutte le aule dove si amministra la giustizia, ma la legge è interpretata da uomini, amministrata da uomini che sono come tutti gli altri con i loro difetti, i loro pregi e i loro problemi. Per questo la legge non può essere uguale per tutti perché le interpretazioni di due uomini diversi, pur se con la stessa preparazione, della stessa norma non sarà mai uguale. E questo in condizione di totale buona fede e di comportamenti assolutamente corretti e specchiati. Ma la storia ci suggerisce che spesso il corpo dei magistrati che hanno avuto la responsabilità di amministrare la legge ha avuto deviazioni o perché costretto da qualche tiranno o perché si è considerato minacciato nella sua autonomia o per difendere e coprire comportamenti di propri settori forse un po’ troppo spericolati. È successo ed anche in tempi recenti un po’ in tutto il mondo, in modo più o meno palese. Anche nel nostro paese è successo in modo eclatante con l’operazione che si chiamò mani pulite quando tra le altre cose si mettevano in galera le persone per estorcere o comunque favorire confessioni e delazioni come ai tempi di alcuni secoli fa. Da quel momento, sempre nel nostro paese, la magistratura o quanto meno un gruppo   di essa ha capito la sua forza, ha preso coscienza che il suo potere era di gran lunga più forte degli altri poteri previsti dalla costituzione soprattutto perché aveva una possibilità di condizionamento sena lasciare traccia e senza alcuna presa di posizione ufficiale. Le leggi, in altri termini, si possono fare e rifare se non funzionano o se la società evolve o cambiano le condizioni di vita, l’amministrazione delle leggi è ancora più importante ed è affidata agli uomini e quindi ingiusta per principio e spesso fraudolenta per motivi di potere. Come può svilupparsi in questo contesto ideologico e umano una società giusta ed equilibrata?

05 marzo 2017

La competizione.

È una delle parole oggi più diffuse. Il tale è bravo ma non è competitivo, quella azienda ha scarsa competitività, la scuola non insegna la competitività, il paese è scarsamente competitivo. Perché oggi bisogna essere competitivi, gareggiare, combattere, vincere e ricominciare. Coloro che non gareggiano non hanno diritto al successo come coloro che perdono. E quelli che non hanno diritto al successo possono anche vivere una vita da subalterni, da miserabili, si devono accontentare di servire i vincitori, quelli che sono competitivi. Così è sempre stato il mondo, ma oggi tutto è più veloce, i recuperi sono impossibili e i perdenti lo sono per sempre, le opportunità non si ripetono, la pietà è scomparsa. Il mondo dunque è diviso in due nettamente e cioè quelli che hanno successo a prescindere dal merito e che sono pochi, ricchi e belli e quelli che perdono, che hanno perso e che sono tanti, poveri e brutti. Questa forma di razzismo ha superato ormai quello verso il diverso per il colore della pelle, le tendenze sessuali e ancora in tanti posti del mondo anche occidentali, per il genere. La competizione spinge il grande razzismo nel mondo, cancella la pietà, aumenta la violenza e gli orrori, esalta gli aspetti più selvaggi dell’uomo. Le teorie dicono che la competizione consente l’evoluzione della società e forse è vero, come è vero altresì che nello stesso tempo la divide.

06 marzo 2017

La rivoluzione.

I grandi rivolgimenti sociali, le ribellioni di popolo che rovesciano regimi e governi, le rivoluzioni insomma rimangono nei libri di storia e nell’immaginario collettivo come popoli in marcia verso il cambiamento, lotte di popolo e simili. Salvo qualche caso che nel passato ha visto il coinvolgimento di un intero popolo per davvero, le altre rivoluzioni e le altre lotte contro tiranni e dittature in genere sono organizzate, condotte e portate a termine da gruppi sparuti di popolo. Piccoli gruppi che cambiano le cose e che dopo la vittoria diventano più consistenti perché si scoprono sempre persone che hanno partecipato magari solo con un casuale contatto o magari con una involontaria manifestazione. La cosa più bizzarra è che dopo anche a distanza di decenni i reduci di queste rivoluzioni sembrano tanti e parlano e pontificano in nome di quello che dicono di aver fatto o più probabilmente sognato. Persino gli eredi di questi reduci si sentono autorizzati a parlare in nome di coloro che hanno fatto una rivoluzione anche se non hanno la minima idea di cosa passava nella testa di quei protagonisti se non per sentito dire o per costruzioni artefatte di qualche struttura politica di tipo partitico per motivi di influenza sul popolo. In altri termini, le rivoluzioni sono il frutto di piccoli gruppi di facinorosi e di coraggiosi e hanno sempre molti padri di pensiero e protagonisti dell’azione e continuano nel tempo con gli eredi di questi e qualche volta, come succede anche nella vita, con eredità usurpate e immeritate.

07 marzo 2017

L’amore ai tempi del pilates.

Il metodo pilates è effettivamente rappresentativo di questa epoca tecnologica che tende a rivedere ogni cosa faccia parte del passato e trasformarla imponendo l’uso di macchine e in una prospettiva che pare completamente diversa. Una volta si faceva ginnastica perché faceva bene al fisico e basta, oggi si deve fare coinvolgendo la mente e quindi con un impegno maggiore fisico e mentale e sempre con l’uso di apparecchiature più o meno sofisticate. Il pilates è il simbolo della tecnologia per fare le cose che si facevano una volta probabilmente con lo stesso risultato nella pratica ma con la sensazione di una straordinaria evoluzione. Questo vale, entrando nel mondo intimo delle persone, per molti sentimenti come l’amicizia che subiscono i condizionamenti della tecnologia che suggerisce di sostituire la quantità alla qualità come si conviene al mondo di oggi in ogni cosa. Naturalmente vale per altri sentimenti come l’odio che forse è più diffuso della amicizia perché una conseguenza della competitività e della lotta che ognuno impegna con tutti per arrivare dove bisogna arrivare perché così sono i percorsi stabiliti.  Anche l'amore? L’amore, che è il sentimento più coinvolgente, più umano, più forte, più esclusivo, più determinante nella vita degli uomini, non è più come una volta infatti. Nell’era della tecnologia, del pilates, ha regole, metodi, durata soprattutto, protocolli, direbbero i tecnici, molto diversi dal passato anche se in alcuni momenti, ma che sono pochi, sembra quasi il passato. L’amore ora è meno intimo, dura poco anche perché la società tende a favorire i continui movimenti, o turnover come direbbero i tecnici, per motivi commerciali e per creare bisogni, tendenze che possano offrire sempre nuovi stimoli per fare e per vivere. Perché l’amore è definito da uno standard, se si affievolisce o incontra ostacoli va subito sostituito con un altro amore, non è previsto un amore trasformato, non ci sono vie alternative per capitalizzare un sentimento come l’amore da parte di chi ne ha potuto godere per un certo tempo. L’amore è come il pilates, in altri termini, bisogna concentrarsi, attaccarsi alla macchina che guida i movimenti e i pensieri e poi quando si finisce saltellare contenti e andare per il mondo a cercare. Una volta l’amore dava la sensazione della fine di una ricerca, oggi è solo una tappa di un percorso che non finisce mai.

08 marzo 2017

Il muro.

E’ il simbolo della divisione, si costruisce per difendersi ed isolarsi, per evitare contaminazioni con altri e si costruisce anche per controllare chi e che cosa esce. È comunque un gran simbolo e si ricorre al muro per affermare una politica, una volontà strategica. Così è stato per il muro più famoso del mondo e cioè la Muraglia Cinese. Così è per il muro tra Israele e la Palestina, per quello che il Presidente Donald Trump vuole costruire con il Messico per evitare che possano entrare nel suo paese quei cittadini, così è per tutti coloro che un muro lo stanno costruendo od hanno annunciato che lo vogliono costruire, in Europa e altre parti del mondo. Naturalmente dietro alla costruzione di un muro sempre c’è una incapacità politica di gestire fenomeni di relazioni e di integrazione, c’è spesso un odio profondo verso chi si vuole lasciare dall’altra parte, c’è l’egoismo della difesa di privilegi, c’è la paura di perdere, di non riuscire a competere, di non possedere le abilità necessarie per affrontare un futuro diverso dal passato. La filosofia del muro si diffonde e mette in pericolo le faticose politiche e i contatti del secolo scorso per avvicinare paesi e cittadini, per costruire relazioni che possano garantire la pace, base necessaria di una prosperità qualsivoglia. In questo contesto tuttavia fa più spavento la costruzione di muri che tanti, troppi stanno costruendo dentro se stessi spinti da esasperate forme di egoismo, di odio, di difesa di privilegi o, al contrario, di paura di non avere la capacità di difendersi, di competere, di convivere. Un muro che isola tanta gente dal mondo, spinge la solitudine e la follia pur se lucida, soffoca sentimenti ed emozioni e crea virtuali fortini dove gli unici contatti veri finiscono per essere veicolati dalla tecnologia e nei quali rifugiarsi per sempre. Il muro rischia dunque di diventare il simbolo di questi anni oscuri nei quali siamo andati avanti perché ci ha portati la tecnologia, ma siamo tornati indietro nei diritti conquistati, nelle speranze e nella avventura di costruire una vita senza necessariamente seguire le regole e i ritmi che un sistemista californiano ha deciso si debbano seguire se non si vuole andare ai margini della società e del futuro.

09 marzo 2017

La bellezza.

La domanda di un ragazzo giovane in una trasmissione televisiva è stata: ma quando la società decade, quando il mondo è in preda a bande spregiudicate che si combattono distruggendo valori e tentativi di concordia faticosamente conquistati, l’uomo smette di cercare la bellezza? In altri termini l’uomo cerca la bellezza solo quando vive in condizioni di serenità, di pace e di benessere? Una domanda bellissima e difficilissima. Penso che l’uomo in ogni condizione, anche la più disagiata e la più degradata, istintivamente vada sempre alla ricerca della bellezza. Perché la bellezza è la natura, è l’istinto prevalente dell’uomo, è la vita! Le donne per esempio che sono la più significativa identificazione umana con la natura anche durante le guerre e in ogni condizione tendono a curare la propria persona, amano vedere la bellezza ovunque in una poesia, un panorama, una storia, nella crescita di una pianta. Ma anche l’uomo, pur nelle condizioni più miserabili, in modo cosciente o meno, tende a cercare la bellezza o quantomeno quello che per lui rappresenta la bellezza. Perché solo la bellezza gli dà il senso della vita, giustifica ogni suo atto ed anche la voglia di trascendenza. La storia della umanità ci dice che nelle situazioni più primitive ed essenziali l’uomo è sempre andato alla ricerca del colore, della luce, dello splendore, si è sempre ricoperto lui stesso di colori, di collane per abbellire appunto la propria persona e il proprio ambiente. L’uomo tende alla bellezza sempre dunque come una pianta tende alla luce.

10 marzo 2017

La rabbia.

Si diventa vecchi quando si prende coscienza di essere vecchi. Si prende coscienza di alcune difficoltà fisiche e si cominciano a programmare controlli e diagnosi, si contano gli amici che non ci sono più o quelli che sono impediti fisicamente, si capisce che i propri sentimenti non hanno più il calore di una volta e le emozioni sono attutite, non si ha più credibilità se si parla di futuro o di tendenze, giovani e signore di mezza età cedono il posto negli autobus e si può godere degli sconti riservati agli anziani (basta andare quando non ci vanno le persone attive e soprattutto nelle ore in cui i locali sono vuoti come nei cinema). Allora si prende coscienza di essere vecchi e il sentimento che si sente in maniera forte è la rabbia. La rabbia di non potere, di non sapere più fare, di non progettare, di non competere più. E l’invidia verso i giovani che hanno ancora tutte le forze e tutti i sentimenti disponibili. Si comincia a passare il tempo ricordando nostalgie, rimpianti e, per chi può, successi e momenti belli che però diventano sempre più opachi come in una dissolvenza lenta e continua, persino i sogni si affievoliscono e diventano più rari, meno precisi, meno fantastici, più incomprensibili. Qualcuno diventa prigioniero della paura di quello che può accadere e che nessuno conosce e in questo caso si moltiplica la rabbia, che può essere addolcita solo dal piacere di sentimenti senza tempo come l’amicizia. E da qualche residua illusione insieme a qualche piccolo piacere.

Inserito il:01/03/2017 09:55:04
Ultimo aggiornamento:10/03/2017 08:13:24
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