News: Ecco il gene della sazietà che fa passare la voglia di abbuffarsi
La troppa fame è questione di geni. Lo hanno riconfermato (la notizia era in parte già nota) un gruppo di ricercatori australiani della Monash University di Melbourne e svedesi dell’Università di Copenaghen. I quali però hanno aggiunto qualche dettaglio in più, dopo uno studio che ha isolato nel cervello di specifici vermi cilindrici – della famiglia dei nematodi – il gene responsabile della trasmissione dei segnali di stimolo della fame tra cervello e intestino, ormai definito il nostro secondo cervello, in diretta corrispondenza con quello ‘ufficiale’. La scoperta, pubblicata sulla rivista internazionale Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences), promette una futura via terapeutica: ovvero la creazione di farmaci capaci da un lato di ridurre l’appetito e dall’altro di stimolare il desiderio di attività fisica, che cala quando lo stomaco è pieno.
La scelta dei nematodi non è casuale; infatti nonostante essi siano dotati solo di 302 neuroni cerebrali e 8 mila sinapsi, le connessione tra i neuroni, contro i miliardi e 100 miliardi rispettivamente presenti nell’uomo, condividerebbero con la nostra specie l’80% dei geni. Fatto che rende più facile studiare e comprendere alcuni processi umani, fra cui il metabolismo appunto e possibili patologie a esso associate.
Studiando questi vermi cilindrici e i loro geni, gli scienziati sarebbero così arrivati a scoprire che in particolare uno di loro agisce a livello intestinale, controllando l’accumulo di grasso in questa sede, e a livello cerebrale inibendo il desiderio di abbioccarsi dopo aver mangiato, specie se il pasto è stato lauto, eccessivo o troppo ricco di grassi. Questo gene, il cui ruolo è determinante sull'istinto della sazietà, potrebbe essere la chiave di volta per studi a scopo farmaco-terapeutico: «Questo gene – conclude Robert Pocock, fra gli autori australiani dello studio - che controlla l'ingestione di cibo attraverso un sistema di segnalazione al cervello, potrebbe rappresentare un ‘bersaglio farmacologico’ contro l'obesità».