Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Mark Ashkenazy (Meitar, Israel) – Monster Dragon

 

Acrobazie del drago cinese lungo la Via della Seta (3)

di Vincenzo Rampolla

 

(seguito)

 

E l’orso russo? Non scuote certo la coda come il dragone cinese. Volge la testa bruna a destra e a manca, dalla Siberia orientale alla Cina. Si crogiola alla vista dei 3.000 km del nuovo oleodotto Power of Siberia e a piene mani rimpinza di yuan le casse di una Pechino sempre più ingorda di energia. $55 miliardi non solo rappresentano in assoluto il più grande investimento di Mosca nelle province orientali povere e sottosviluppate, ma cementano i rapporti sino-sovietici in chiave energetica e frenano lo sfoggio di stelle e strisce dal pennone della Casa Bianca.

Appare chiaro il forte sostegno che Xi dà al potere strategico di Vladimir nella partita con Donald e di rimando Mosca sa di poter contare sulla potenza economica del drago.

Nella sfera militare e politica, Vladimir non ha più bisogno di parate militari, è autonomo, da tempo è Dominus, senza rivali, non però in campo tecnologico e informatico, dove ha fame di mercati e partner esterni. Li cerca, li studia, li sceglie. Putin pensa a preservare perfettamente la sua indipendenza contro chi va in cerca di egemonia globale o locale e dalla raffinata convivenza costruita con la Cina, non può uscire vincente, solo favorito. Si è investito del ruolo di garante tra Cina e Usa, grazie alla sua ineguagliabile abilità di Magister di una nuova unione tra nazioni non allineate - secondo l’esame dei suoi strateghi -. Non è solo. I suoi grandi alleati: Serbia l’infida, Bulgaria la succube, Ungheria la boriosa. Un inimmaginabile intreccio con Bri è in gestazione. Con la selvaggia astuzia dell’orso, Putin sa sfruttare la potenza del suo potere proprio sugli ex Paesi dell’Europa dell’Est, grazie a un legame storico, di lingua - guarda caso tutti sanno il russo dalle scuole del proprio Paese -, carismatico, di antiche diatribe e intese sottobanco, di perfidie macchinate e ingoiate, di terrore e solidarietà tra ex compagni del Kgb e neo dirigenti di Gazprom, nuova nomenclatura eruttata da pozzi e oleodotti, appassita e screditata quella della Duma.

E la Russia si muove e a modo suo ha preso a disegnare una chiara strategia geopolitica volta a collocare la Serbia all’interno della sua sfera d’influenza. Per le forniture di gas naturale, la compagnia statale petrolifera serba Naftna Industrija Srbije è di proprietà di Gazprom e quindi la Serbia energeticamente è schiava della Russia. Ciò detto, il dato di maggiore rilievo è la sinergia tra Cina e Serbia, il grande amore stimolo delle scelte politiche serbe e sbocciato nella ricerca di un delicato equilibrio tra UE, Cina e Russia,.

È noto che la Cina sfrutti le relazioni con la Serbia per aprirsi le porte dell’Europa e marcare nettamente la sua presenza. La partnership strategica tra Serbia e Cina è iniziata nel 2013 con le opere per la ferrovia Belgrado-Budapest. Nel 2014 si è rafforzata attraverso la vendita di sistemi di sorveglianza prodotti da Huawei per il progetto Città intelligenti, nell’aprile 2016 ha acquisito le acciaierie serbe Zelezara di Smederevo svendute a €46 M e a Belgrado ha aperto la filiale della Bank of China. A aprile 2019 ha raggiunto l’apice quando il presidente serbo Aleksandar Vucic ha firmato a Pechino un contratto per l’autostrada Preljina-Pozega, porzione del cosiddetto Corridoio 11, 30,9 km di asfalto con finanziamento per €450 M. Poi a novembre 2019 arriva la zampata dell’orso sotto il velo della stella rossa e un salto indietro di 25 anni ci fa capire. In chiave politico-finanziaria, con investimenti di tale portata, mano nella mano con la Russia, la Cina ha potuto difendere le ragioni dell’indipendenza serba presso il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. In chiave squisitamente politica, va rammentato che Russia e Cina furono i più risoluti oppositori all’intervento della Nato in Kosovo contro i serbi di Bosnia nel 1995 e contro la Serbia nel 1999 in sostegno degli albanesi kosovari - lavoravo a Belgrado in quegli anni -. Serbia e Russia non riconobbero entrambe la dichiarazione di indipendenza del Kosovo del 2008. Oggi la Serbia ha aderito al programma Partnership for Peace della Nato senza esserne membro, ha dichiarato la propria neutralità militare nel 2006 e bussa alla porta dell’UE. Una forte presenza russo-cinese nei Balcani può essere interpretata come un conato per limitare o contenere, diciamo pure controllare, i guizzi della Nato verso Est. E qui c’è la ressa al tavolo da gioco. Si fa duro. E la Serbia si fa avanti, arrogante. Esige. E la Russia indossa la maschera nel pesante compito di modernizzare le forze armate serbe, di vendere armi e di garantire l’addestramento a tutti i livelli dell’esercito serbo: €830 M a partire da dicembre 2016, €356,25 M a ottobre 2019 e la fattura finale, calcolati i fondi per la modernizzazione sorpassa il miliardo. L’esercito serbo intende porre in essere ricostruzione e modernizzazione. Vera, fanatica. L’ha chiesta la Serbia o l’ha suggerita Vladimir? Qualche dettaglio? Sei velivoli da caccia MiG-29, con missili aria-aria R-77 dotazione indispensabile per i Mig, costo di $1 M; 3 elicotteri Mi-17V-5 multiuso di trasporto medio, prezzo tra $14 - 22 M seconda la versione e pacchetto con addestramento, equipaggiamento, armamento e logistica; 4 elicotteri d’assalto Mi-35M, da $20 M a oltre $30 M; 30 carri armati T-72; 30 veicoli corazzati da ricognizione BRDM-2; sistemi missilistici terra-aria a medio raggio Panstir-S1 (costo di un sistema $15 M più costi di addestramento, logistica e ricambi). L’esercito serbo per finire, si è allenato sul sistema S-400 Triumph, il più potente sistema di difesa aerea a lungo raggio del mondo. Sorpresi? Niente affatto. Solo un forte esercito serbo può garantire la pace a una nazione con la collocazione geopolitica della Serbia. Non l’ha abbaiato Vucic in pubblico? Gli Usa hanno avuto da dire, potrebbero rivedere le sanzioni contro la Serbia. Il bello deve ancora arrivare, si è detto.

E la Bri, dov’è finita? Nelle mani della partita in corso tra Cina, Russia, Serbia e Nato la seta cinese della Nuova Via ben si sposa con il velluto dei guanti dell’orso. Gli oleodotti di Gazprom si toccano, si sovrappongono, si intrecciano. Si fondono con i tracciati della Bri, orso e dragone a braccetto, verso il grande talamo della Nuova Via della Seta.

Il collegamento ferroviario Belgrado-Budapest porta l’interesse dalla Serbia all’Ungheria.

La Cina è decisa a convertire l’Ungheria in uno dei più importanti centri di distribuzione di prodotti cinesi nell’Europa centro-orientale, aprendo nuove attività di commercio estero in Europa e facendo leva sulle debolezze UE. A maggio 2020 Ungheria e Cina hanno firmato un accordo per un prestito ventennale di $1,9 miliardi a un tasso del 2,5% con 85% dei costi di costruzione coperti da Exim Bank of China. I notevoli ritardi causati dalla pandemia hanno indotto il Governo a stanziare $56 M tra le attività 2020. Il tratto ungherese di 150 km della ferrovia sarà realizzato dal consorzio CRE che comprende la holding Opus Global di Lorinc Meszaros, socio di Viktor Orban, Primo Ministro. Dopo l'espansione della centrale nucleare di Paks (Ungheria centrale), la ferrovia è il secondo progetto più costoso del Paese.

A Sofia, V.Sedlarski, noto analista bulgaro, ha detto che l'iniziativa Bri è un'opportunità molto apprezzata per la realizzazione di grandi progetti di infrastrutture e per dare alla Bulgaria un ruolo centrale nella mappa logistica mondiale. Sofia, Plovdiv, Burgas, Varna e Rousse città che potrebbero servire da centri logistici della moderna Via della Seta. G.Chobanov docente al Center for China Economy and Politics dell'Università di Sofia ha lanciato l'idea della cosiddetta Strada delle rose; Bulgaria e Cina erano storicamente collegate con la Rose Road ramo sud della Via che attraversava la Bulgaria ponendola tra i paesi leader nella produzione di olio di rose. Fantasie. Sogni e profumi. Geo-politicamente la Bulgaria può essere considerata una porta sud-est dell'UE con i porti di Burgas e Varna nel Mar Nero collegati con grandi porti cinesi come Ningbo. A marzo 2020 il gruppo cinese HNA ha messo le mani sulla concessione di 35 anni per gestire l'aeroporto di Plovdiv, inizio di una rapida penetrazione di SOE (State Owned Enterprises) cinesi nel mercato bulgaro e premessa per esportazioni bulgare in Cina. Accanto ai progetti Bri entro il 2020 la Russia conta su Turkstream infrastruttura con capacità di 31 miliardi di m³; passa il Mar Nero, collega la Russia meridionale con la Turchia e attraversa Bulgaria, Serbia e Ungheria. Tessera mancante nel mosaico Bri.

Tra i progetti che consentono alla Cina di raggiungere il Centro Europa, l’acquisizione e il potenziamento del Porto del Pireo in Grecia rappresenta il punto di ingresso in una delle maggiori reti di infrastrutture ferroviarie e stradali. Nel 2016 la cinese Cosco Shipping ha preso il controllo del primo porto greco, acquisendo inizialmente con $368,5 M il 51% del capitale di Piraeus Port Authority. In un secondo tempo è prevista la cessione di un ulteriore 16 % per un totale di €477,8 M. Obiettivo è collegare il Pireo all’Europa Centrale, attraverso i Balcani occidentali. Il Governo greco ha approvato i $670 M del piano di investimento per costruire un nuovo porto, quattro hotel, un terminal automobilistico e per potenziare le infrastrutture e la manutenzione del porto. Due altri progetti per $300 M, l’estensione di un terminal auto e di un terminal container sono stati bloccati dopo la visita a Atene di Mike Pompeo Segretario di Stato Usa che ha fortemente messo in guardia il Governo greco dalla minacciosa e incisiva influenza cinese. Temeva che Xi inserisse il Partenone nella Bri?

Al porto del Pireo va aggiunta nel 2018 l’acquisizione del terminal di Zeebrugge, secondo maggior porto del Belgio oltre a strutture portuali in Spagna e Italia, mettendo lo zampino su circa un decimo dell’intera capacità portuale europea. Il porto del Pireo ha assorbito globalmente un rilevante numero di investimenti di grandi società cinesi per un totale di $1,6 miliardi e ha un alto valore strategico: circa il 50% del PIL cinese e il 90% del commercio estero cinese con l’UE dipendono dalle spedizioni marittime. Sempre nell’ottica di espansione capillare del suo potere economico la Cina ha firmato un accordo per la costruzione di una rete ferroviaria ad alta velocità per collegare tre porti in Grecia - Salonicco, Kavala, Alexandroupolis - con tre porti in Bulgaria - Burgas e Varna sul Mar Nero e Ruse sul Danubio.

E Bruxelles? Come reagisce alla dilagante espansione economica cinese. Esiste? Che fa?

Bruxelles si è mossa. Per la prima volta ha imposto dazi a società cinesi al di fuori della Cina. Ha toccato la zona economica speciale di Suez. L’UE ha lanciato un primo avvertimento al drago e alle sue ambizioni commerciali globali. Si tratta di produttori di tessuti in fibra di vetro utilizzati dalle turbine eoliche alle attrezzature sportive, prodotti non sovvenzionati dal paese d'origine (Egitto) ma indirettamente da un paese terzo (Cina). Non sono ammessi sul mercato europeo. Il dragone reagisce e accusa l'UE di violare le regole.

Margrethe Vestager, Commissaria europea alla concorrenza, il 17 giugno reagisce: Il ruolo della Commissione è quello di sostenere il mercato unico e agire quando i sussidi ad imprese da parte di paesi terzi fanno venire meno le condizioni di parità all'interno dell’Unione. Ma dopo una serie di fallimenti da parte delle società europee comprate dalla Cina, quest’ultima ha drasticamente ridotto gli investimenti diretti: il picco è stato nel 2016 con €37 miliardi, crollato a €12 l'anno scorso. Tendenza tuttora in essere, aggravata dalla crisi sanitaria. C’è un crollo totale degli investimenti cinesi in generale. Pochissime le attività di acquisizione da parte di investitori cinesi nel resto del mondo in particolare in Europa e stranamente ci sono acquisti molto più elevati in Cina.

Quando torneranno alla carica gli investitori cinesi? E ci torneranno?

l’EU non esiste, dilaniata dall’incapacità di governare, dai burocrati, dall’assurda voracità di allargarsi a tutti gli Stati, dall’assenza cronica di coralità nella politica estera, dall’incapacità di esprimere il potere della leadership. Può l’UE rimproverare il regime cinese per i suoi scarsi progressi sui diritti civili se Ungheria e Polonia sono colpevoli delle stesse mancanze? Dov’è strategia comune UE? Da che parte stanno quei due Stati, ultimi arrivati nell’UE, odorano ancora della barbarie morale e intellettuale dei regimi passati, covo di perversi nazionalismi legati alla tradizione del potere della nomenclatura. Vittime di un passato che per anni di dominazione li ha inseminati, incapaci di governare. Solo obbedire, solo allinearsi ai Signori del potere, assumendone nel tempo gli inconfondibili genomi.

 

(consultazione: vedi articoli 1 e 2)

 

Inserito il:19/07/2020 15:51:19
Ultimo aggiornamento:19/07/2020 17:04:27
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