Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Guillaume Marchat  (Avignone- contemporaneo) – Hommes qui marchent  3 –

 

La lunga marcia dei signori del NO

di Tito Giraudo

 

Non si sa ancora se gli scissionisti del PD arriveranno uniti alla scissione. Una cosa è certa, la faranno sicuramente molti di coloro che provengono dal vecchio PCI.

Quando Occhetto fece lo strappo della Bolognina (per la verità con qualche anno di ritardo), ci fu la prima vera scissione comunista, quella di Cossutta.  Il quale da anni era in polemica persino con Berlinguer per l’altro di strappo, quello con l’URSS quando la suddetta era ancora in vita.

Quelli come D’Alema e Bersani che oggi stigmatizzano le rottamazioni, hanno la memoria corta, furono proprio loro a rottamare Natta portando agli altari Occhetto, per poi rottamare lo stesso Occhetto quando fu sconfitto dal Cavaliere. Come se il povero segretario avesse qualche responsabilità, se non di dirigere un Partito che se non era stato condannato dai Giudici, ci aveva pensato la Storia (quella con la S maiuscola).

D’altronde, Occhetto partecipò entusiasta alla mattanza dei Socialisti e alla criminalizzazione di Craxi, credendo così di prendere in giro gli stessi Italiani, come a suo tempo li aveva presi in giro Berlinguer sulla questione morale.

Vero, che la differenza di fondo tra i ladri del PSI e i ladri del PCI, fu che i primi, oltre a rubare per il Partito rubavano in proprio. Ma i secondi, rubavano per il Partito e per tutte le clientele organizzate della sinistra, quelle che giustamente Bersani chiama la Ditta, ma, al mattino guardandosi allo specchio avevano l’illusione di essere onesti.

Si sa: il fine giustifica i mezzi….

L’antropologia della sinistra italiana ebbe come radice il Fronte Popolare. C’era un Partito guida: il PCI, forte di essere emanazione di quel socialismo reale che fu tra i vincitori della guerra, insieme a quello che restava (anche per suicidio) del vecchio massimalismo Socialista depurato della scissione (questa volta a destra) di Saragat.  

Negli anni sessanta il tardivo ravvedimento nenniano che portò al Centro Sinistra fu minato, prima dalla scissione del Psiup, poi al suo interno dal fondamentalismo azionista-lombardiano.

In realtà il PSI aveva fatto i conti con lo stalinismo ma non con il riformismo, quello possibile, non quello Socialista di tipo statalista.

Lo stesso Craxi, non fu mai veramente un social liberale e quindi la sinistra tutta si è dimostrata incapace di una profonda revisione, dopo il fallimento, “ lo voglio dire chiaramente”: economico, politico e pure sociale del Socialismo reale.

Queste considerazioni, per dimostrare come le sinistre del nostro Paese, finché prevarranno le radici socialiste tradizionali, sono totalmente incapaci di governare. Questo non perché i loro uomini non siano all’altezza, ma perché sono prigionieri di un’ideologia basata sull’utopia e sui pregiudizi.

Tornando al PCI: i suoi dirigenti non erano privi di un sano buon senso. Dopo la sconfitta “quarantottina”, capirono che l’Italia, non solo per ragioni internazionali e per scelta dell’elettorato, si era posizionata nel mondo occidentale e capitalista,  quindi si adattarono ad essere opposizione.

Come opposizione, dobbiamo ammettere che furono molto bravi, riuscirono a coniugare l’estremismo e i sogni del loro popolo con la realtà economica di un Paese diventato finalmente industriale e capitalista.

Oltre all’opposizione, riuscirono a rimettere in piedi quel potere locale fatto di Comuni e Regioni e Province, che in fondo non era una novità, in quanto il vecchio Socialismo aveva fatto la stessa cosa prima che lo squadrismo facesse piazza pulita.

Il potere locale non è però il governo del Paese. I Sindaci, o i Presidenti delle Regioni, quando il PCI esisteva ancora, avevano poteri limitati e quindi la possibilità di essere giudicati solo nel locale, erano uomini duri e onesti, furono in molti casi ottimi amministratori. Occorre dire che il PC ebbe un apparato e una classe dirigente preparata e soprattutto disciplinata, oltre a un popolo credente e fedelissimo fino all’assurdo.

Le crepe iniziarono con la destalinizzazione e quindi con la necessità di definire una linea politica nazionale, dal momento che l’internazionalismo socialista si era trasformato in colonialismo comunista.

Fu l’inizio delle divisioni. Prendiamo Amendola, il figlio dell’ex leader liberale di aventiniana memoria: essendo il più lucido di tutti, tentò di portare il partito lungo la via laburista.

Amendola, che non aveva esitato a schierarsi con i Russi nella questione ungherese, fu uno dei pochi che non si rifugiò nell’analisi superficiale sullo stalinismo come semplice satrapia umana, bensì come quel grande errore ideologico che coinvolse tutti i regimi Comunisti.

Bene, Amendola cercò di far passare nel PCI due concetti: l’unità con i Socialisti e il riformismo possibile. Non furono in molti a pensarla come lui, a parte il mio ex collega Luciano Lama. Ci fu una posizione diametralmente contraria, quella di Pietro Ingrao che consentì a Berlinguer quella mediazione al ribasso che si chiamò: Compromesso storico.

Per sintetizzare, dopo che la gioiosa macchina di guerra del PC subì la disfatta Berlusconiana, Amendola era già stato sconfitto, anche dalla giustizia politicizzata: i socialisti non c’erano più.

Restava la cultura di governo che però gli ex comunisti, mai veramente pentiti, delegarono a un DC: Romano Prodi. Sapevano che per governare questo paese occorre fare riforme impopolari e quindi cercarono il capro espiatorio. Si inventarono che erano un Partito di lotta e di Governo (na’ cosa folle), poi quando si accorsero che Prodi qualche risultato lo stava ottenendo ci pensò il più spregiudicato  (e antipatico) di tutti, quel D’Alema che tentò di governare e, occorre dargli atto, che fu pure coraggioso. Ma al primo stormir di fronde, non ebbe il coraggio di andare fino in fondo e dopo aver segato Prodi, fu segato a sua volta.

La seconda volta che rivinse il Partito del No c’era sempre il Professore. Il PC aveva liberato la bestia giudiziaria e questa aveva azzannato pure loro.

Quando il buon Veltroni fondò al Lingotto il PD, questo simpatico personaggio che si iscrisse al PC senza essere comunista (ma che cos’era?), ebbe due belle e buone intuizioni: il rispetto verso la destra, partendo dal presupposto che se lei vince e tu perdi, qualche motivo deve pur esserci, e la fine del consociativismo con quella sinistra un po’ “cazzara” che oggi si sta rivelando in tutto il suo splendore.

Fu sconfitto da Berlusconi e fece la fine di D’Alema anche per mano dello stesso “baffino”.

Non proseguo l’escursus storico perché è sotto gli occhi di tutti.

Renzi non è un Comunista, neppure un DC, è Renzi. Risponde all’esigenza di questi anni di rispolverare, rivisto e corretto quel leaderismo che fu incarnato, osannato e poi bistrattato da quell’altro socialista massimalista di Predappio, l’unico a cui fu veramente consentito di governare, cosa che fece fino alla bulimia razzista e guerrafondaia. Sia chiaro tra i due personaggi non ci sono altre vere affinità e quindi non strumentalizzate la mia affermazione.

Tornando a Renzi, personalmente non so se sia di sinistra, di centro, magari di destra come dicono i suoi detrattori irriducibili. Avrà tanti difetti, ma è il primo rappresentante di quello schieramento che ha avuto il coraggio di fare “qualche” e sottolineo “qualche” riforma e naturalmente anche lui è stato segato.

Ora però si è tolto dai piedi molti signori del “NO” e quindi se vincerà il congresso non avrà più scuse. Dovrà fare delle alleanze perché, non per colpa sua, siamo tornati ai fasti della Prima Repubblica. Sarà dalle alleanze, quelle che farà e quelle che non farà, che potremo vedere se è uno statista o il solito politico che guarda qualche millimetro dal proprio naso.

Sospendo il giudizio per occuparmi nel prossimo pezzo, di quell’altro manicomio che è la destra.

Inserito il:22/02/2017 18:05:35
Ultimo aggiornamento:22/02/2017 18:11:37
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