Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Giacomo Balla (Torino, 1871 – Roma, 1958) - Valori plastici (1929 ca)

 

Il rischio dell’analfabetismo digitale

di Bruno Lamborghini

 

L’Italia è di fronte ad una grave carenza di competenze digitali a tutti i livelli che rischia di bloccare lo sviluppo delle nostre imprese e del’intera economia.

Dobbiamo renderci conto che non sono tanto i robot o l’intelligenza artificiale a ridurre occupazione e sviluppo, quanto lo è l’incapacità di gestire l’innovazione digitale, mancando nuove competenze da formare e non affrontando una vera alfabetizzazione digitale.

Come ha sottolineato Giorgio Panattoni nel suo articolo Progettare insieme (e agire di conseguenza), in presenza della Quarta Rivoluzione industriale l’Italia presenta un utilizzo del computer del 58% contro il 79% della media europea, solo il 12% delle imprese offre corsi di informatica ai dipendenti contro il 30% della Germania. Mancano all’appello 135.000 lavoratori nell’informatica che si prevede saliranno a 270.000 nel 2020.

Non basta la diffusione degli smart phones e dei Social, si deve creare conoscenza e consapevolezza a tutti i livelli e “progettare insieme” il cambiamento. Il digitale è trasversale e richiede conoscenze sistemiche a tutti i livelli, non solo per gli esperti informatici

Occorre cercare di recuperare il ritardo dell’Italia nell’utilizzo delle tecnologie digitali che sono il driver economico e sociale, ora e ancor più in futuro.

Questo esigenza è stata messo chiaramente in evidenza in occasione della Quarta edizione dell’Osservatorio delle Competenze digitali, coordinato da AICA, Assinform-Anitec, Assintel e Assinteritalia, a Milano il 3 dicembre e poi dall’annuncio delle grandi prospettive aperte dalla tecnologia 5g, ma anche dalla grande necessità di nuove competenze digitali per l’innovazione 5G , durante il Global meeting 5G a Roma il 4/5 dicembre.

Secondo le ricerche condotte dal prof. Mezzanzanica della Bicocca, presentate all’Osservatorio, gli annunci pubblicati in rete di competenze ICT presentano nel 2017 64.000 richieste. I ruoli più ricercati sono Sviluppatori,Service Development , Big Data, Cybersecurity.

Secondo le stime dell’Osservatorio, il fabbisogno di laureati digitali sarebbe nel 2018 tra 12.800 e 20.500 a fronte del quale le università italiane appaiono laurearne solo circa 8.500.

Solo il 2% di tutti i laureati si laurea in informatica e molti di questi si fermano alla laurea triennale. Mancano corsi di laurea in Data Science, a quanto pare solo la Bicocca ne ha avviato uno.

I diplomati degli istituti tecnici non risultano avere le competenze necessarie per operare direttamente nelle imprese e quindi si richiede alle imprese, quando possono, di gestire la loro formazione sul campo.

L’alternanza scuola lavoro che potenzialmente consentirebbe agli studenti di entrare e conoscere il mondo del lavoro sinora ha funzionato poco e ora sembra addirittura messa da parte.

C’è invece una richiesta crescente da parte delle imprese manifatturiere di competenze in meccatronica, robotica, stampa 3D, Cad 3D, network management, sicurezza informatica, ma questa richiesta non trova risposta adeguata nella formazione tecnica e resta inevasa con concreti rischi per le imprese di non riuscire a rispondere alla domanda del mercato e far fronte alle commesse.

Gli ITS hanno aperto nuove opportunità, ma sono numeri molto limitati di giovani che si diplomano a fronte dei grandi numeri spesso citati dei diplomati che escono dalle Fachhochschule tedesche.

La velocità del cambiamento di tutte le attività determinato dalla Digital Transformation richiede un radicale salto culturale e organizzativo, in primis da parte delle istituzioni scolastiche, dai diversi livelli di scuola alle università, ma anche nella pubblica amministrazione e nelle imprese.

E’ scarsamente produttivo che solo qualche ente possa cambiare senza che tutte le altre parti si muovano nella stessa direzione e condividano gli stessi obiettivi. Questa è la logica che caratterizza le reti che operano solo se tutti i nodi sono collegati tra loro e condividono le stesse metodologie operative.

Per questo occorre arrivare a creare un comune understanding e la capacità di utilizzare gli stessi strumenti operativi, progettando insieme, pubblici e privati.

Con la Digital Transformation siamo entrati nella Data Economy in cui i driver sono le grandi quantità di dati che costituiscono la base e determinano la modifica di tutti i processi.

I flussi di dati, i Big Data divengono i driver della “catena del valore” aziendale che diviene una “data chain” circolare, non più lineare.

Le macchine connesse e comunicanti via IoT producono immense quantità di dati real time che devono essere analizzati e utilizzati nei processi aziendali assieme ai flussi di dati provenienti dalle reti Social, costituendo così i veri asset strategici per le scelte aziendali.

La trasformazione dalla “produzione sottrattiva” alla “produzione additiva” via stampanti 3D modifica radicalmente le economie di scala, aprendo nuove opportunità di customizzazione produttiva in diretta relazione con le esigenze specifiche dei clienti.

Il digital marketing si basa sulla customer experience dei singoli clienti, che si traduce nella conoscenza dei dati relativi ad essi, dinamicamente raccolti e analizzati in chiave B2C e B2B.

Le prospettive che si stanno aprendo con la diffusione estesa della fibra e delle reti 5G con l’apporto integrato di algoritmi di intelligenza artificiale evidenziano l’entrata in una nuova fase rivoluzionaria delle reti “sliced” secondo applicazioni specifiche e con zero latenze trasmissive (macchine ancor più connesse e interagenti in tempo reale, auto senza pilota, realtà aumentata , objet/people digital recognition).

Con l’estensione del numero delle stazioni 5G si accresce il rischio di intrusioni con potenziali effetti disruptive sulle reti e servizi delle utilities, sulla pubblica sicurezza, sui trasporti, sulla sanità, sulle amministrazioni pubbliche, sulla gestione delle imprese ed anche sulla sicurezza dei cittadini.

La cyber security diviene un investimento centrale con l’esigenza di competenze specifiche a partire dalla progettazione delle reti con embedded cyber security, sino ai necessari interventi da parte degli utilizzatori.

Tutte queste prospettive non sono futuribili, ma sono già presenti appena domani ed aprono ancor più il problema delle competenze digitali da formare senza indugi.

Il programma Industria 4.0 ha aperto una strada di maggiore consapevolezza all’innovazione nel mondo delle imprese, con il sostegno fiscale agli investimenti nelle apparecchiature connesse, un sostegno che occorre proseguire ancora per alcuni anni, sopratutto favorendo la partecipazione delle PMI manifatturiere.

La partecipazione delle imprese, sopratutto le medio-grandi, ha dimostrato che in Italia c’è un grande potenziale di innovazione. Molte aziende, se stimolate, si sono mosse, ma non basta. Le nostre aziende manifatturiere sono spesso all’avanguardia ad esempio nei processi di robotizzazione, ma occorre andare sempre più avanti per affrontare un contesto competitivo internazionale che si confronta già sulle frontiere delle applicazioni digitali più innovative.

Nel programma governativo 4.0 si è tuttavia sottovalutato che investire in macchine innovative necessita di investire in persone, in nuove competenze in grado di ottenere il massimo effetto da parte delle macchine stesse.

Il modesto intervento a favore della formazione del personale sembra confermato anche per il 2019, ma non appare generare grande effetto specie sulle PMI.

Nelle scelte di governo sembra mancare la consapevolezza che la formazione sia a livello scolastico e universitario sia a livello della PA e delle imprese rappresenta la vera scommessa per costruire un futuro all’Italia.

Si parla poco di reskilling digitale del personale delle istituzioni pubbliche e delle piccole imprese per affrontare un gap di conoscenze delle reti e servizi digitali che è drammatico.

InItalia siamo purtroppo ancora in gran parte a livelli di analfabetizzazione digitale, quando la conoscenza di base della tecnologia digitale è divenuta altrettanto importante del saper leggere e scrivere.

Occorre formare in primo luogo formatori capaci di evangelizzare l’avvicinamento al digitale nelle scuole e nel mondo del lavoro.

Perché le università non moltiplicano i corsi professionalizzanti aperti alle imprese ed ai loro dipendenti, così come ai dipendenti della PA?

La Scuola della Pubblica Amministrazione non potrebbe svolgere un ruolo determinante per una diffusione allargata di conoscenze e competenze digitali nel personale delle Pubbliche Amministrazioni?

 

Inserito il:12/12/2018 14:29:06
Ultimo aggiornamento:12/12/2018 14:43:12
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