Aggiornato al 26/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Antonino Puliafico (Furnari, ME, 1969 - Verona) - Giochi di Sabbia

 

Il Gioco della Sabbia - Parte terza

(seguito)

di Iolanda Stocchi

 

Dispositivo e storia del Gioco della Sabbia

 

Il Gioco della Sabbia è un dispositivo terapeutico, non solo per i bambini ma anche per gli adulti, che mette al centro il corpo e l’immaginazione.

La terapia del GdS è un metodo psicoterapeutico che nasce, all’interno della psicologia analitica junghiana, dall’osservazione della potenzialità terapeutica che il giocare ha per la psiche, un giocare che permette l’attivazione della fantasia creativa nella vita mentale dell’uomo.

Il GdS, messo a punto da Dora Kalff, è un dispositivo attraverso il quale il paziente riesce a esprimere attraverso il gioco e i gesti che lo accompagnano contenuti inconsci dolorosi e conflittuali, difficili se non impossibili da esprimere con le parole.

In questi Quadri di Sabbia, che sono una sorta di scena teatrale, vengono espressi – oltre al problema – le possibili soluzioni. Una sorta di ecografia della psiche.

Prima di Dora Kalff, Margaret Lowenfeld, pediatra inglese, preoccupata dell’insufficienza delle parole per esprimere gli aspetti del pensiero e del sentimento infantile, studiò - nelle facce e nei corpi dei bambini - le espressioni, i gesti e le posture, e si chiese se fosse possibile ideare un esperimento scientifico dove si potesse rappresentare attraverso piccoli oggetti quello che i bambini stessero vivendo. Un approccio alla mente del bambino che potesse essere sia oggettivo sia documentabile. Comprese che per entrare in contatto con un bambino e capire il suo modo di pensare bisognava giocare insieme a lui. Voleva inventare un dispositivo che permettesse l’espressione del modo di pensare e di sentire di un bambino per il quale pensiero, sentimento e sensazione sono inestricabilmente intrecciati. Intuì che per comprendere tutto ciò era essenziale rappresentare il movimento.

Jung ha sottolineato il ruolo creativo del gioco e dell’immaginazione, tanto da dire che spesso quello che le parole non riescono a esprimere possono dirlo le mani. La terapia del GdS permette appunto di recuperare questa attitudine.

Unendo tra loro i due metodi, Dora Kalff non soltanto ha creato uno strumento adatto a lavorare con i bambini, ma ha anche aggiunto alla psicologia junghiana l’elemento della terra e del corpo, con la possibilità̀ - modellando la sabbia e dandole forma con le mani - di lasciarsi andare ad un’attività̀ psichica, che avesse come conseguenza una sua oggettivazione. Si tratta di un metodo poi impiegato con successo anche su pazienti adulti: a questo proposito lo psicoanalista Paolo Aite ha recentemente fatto collegamento tra il gesto del gioco nel GdS e il metodo delle libere associazioni, per potere accedere ai contenuti non coscienti.

Il vivo interesse di Dora Kalff per la filosofia orientale, in particolare per il buddismo zen tibetano e il taoismo, ha prodotto una visione più profonda della creazione d’immagini nella sabbia e dell’atteggiamento del terapeuta, che osserva con compartecipazione e senza interpretare il quadro di sabbia che il bambino crea.

Nel suo libro Dora Kalff — in cui offre una buona introduzione al metodo, concentrandosi sulla terapia infantile — afferma che “Al paziente viene data la possibilità̀, attraverso le forme e la disposizione della sabbia all’interno dell’area circondata dalla sabbiera, di creare un mondo che corrisponda al suo stato interiore. In questa maniera attraverso un gioco libero e creativo — in uno spazio libero e protetto — i processi inconsci si rendono visibili in una forma tridimensionale e in un mondo pittoresco paragonabile all’esperienza del sogno”.

Ogni storia clinica è un caso a sé, tuttavia si possono seguire le sequenze che secondo Dora Kalff emergono nei quadri di sabbia. Nelle prime sabbie si configura il problema contingente del paziente e si ha la possibilità̀ di formulare una diagnosi e una prognosi. Le prime tre sabbie forniscono indicazioni preziose a questo proposito.

Nel Gioco della Sabbia si tratta di far sognare le mani.

Nella stanza di analisi sono collocate due sabbiere, una con sabbia asciutta, l’altra con sabbia bagnata, di forma rettangolare con il fondo colorato di azzurro, di misure particolari, 57x72x7 cm., dimensioni corrispondenti al campo visivo di un soggetto che si pone a 50 cm. da una di esse.

Accanto alle sabbiere sono presenti degli scaffali che contengono in ordine oggetti in miniatura che rappresentano il mondo: ci sono oggetti presenti sugli scaffali di tutti i terapeuti, ma al tempo stesso alcuni sono scelti dal singolo terapeuta secondo la propria sensibilità, personalità ed esperienza. Il soggetto posiziona il proprio corpo accanto alla sabbiera, accanto al lato lungo o corto del rettangolo della sabbiera, tocca la sabbia dandole forma, prende gli oggetti dagli scaffali e li deposita nella sabbiera per costruire il suo scenario.

I bambini che vengono nel mio studio sanno che sono un dottore che cura gli stati d’animo: la tristezza, la paura, la rabbia, il disgusto. Quegli stati d’animo che rendono la nostra vita più difficile, e che possono diventare un mal di testa forte perché quei pensieri rabbiosi ci infuocano la testa, o è il petto a farci male per il magone, o la pancia che si contorce per la paura o anche lo stomaco, tanto da toglierci la fame. Sanno che li curo giocando e facendoli immaginare. 

Per esempio, quando chiedo a un bambino “dove senti la paura?”, dopo che lui mi risponde “nella pancia”, chiedo: “come te la immagini?”, “di che colore è?”, “se fosse un animale che animale sarebbe?”, “che stanza è della casa?”. Gli chiedo di provare a disegnarla, di interrogarla. Di giocarci insieme.  

Attraverso le immagini che emergono posso comprendere di che paura si tratta, qual è la sua origine, e come curarla.  I loro stati d’animo diventeranno — attraverso i gesti del loro giocare — immagini e poi storie, che si trasformano.

Ricordo una bimba di sette anni che — fermandosi subito dopo avere appoggiato una strega nella sabbiera — mi disse: “adesso ho capito, tu vedendo cosa metto capisci che emozione sento!”.  La osservavo, e certo lei — con la scelta di quell’oggetto e quel gesto — mi stava dicendo molto di sé: la bambina mi era stata portata per crisi di rabbia, e a sua volta aveva avuto una madre che, in un momento doloroso della sua vita, aveva avuto crisi rabbiose verso la figlia.  La strega — oggetto-immagine — apriva la porta a tutto questo: mi indicava una strada. Alza la testa, mi guarda e mi dice: “Sei strana, tu capisci cosa sento, vedendo quello che faccio!”

Tessa — che viene portata per un consulto per problemi di apprendimento e per l’ansia che le stanno provocando, al punto da non riuscire più a dormire - mi dice tutto con quel gesto con il quale sostituisce — a Barbapapà e Barbamamma — i personaggi del Re Leone. Adottata a 7 anni da una famiglia che ha saputo darle una vera casa affettiva, è però alle prese con la ferita originaria: la perdita dei suoi genitori.
Prima di essere adottata, aveva vissuto i primi quattro anni di vita con la sua famiglia biologica, ma in seguito alla morte dei genitori era stata, con la sorellina più piccola, tre anni in un orfanatrofio in Africa. Cosa ne aveva fatto dei ricordi dei primi sette anni di vita? Aveva infatti molti ricordi buoni — ma dimenticati — dei suoi primi quattro anni di vita e altri più drammatici del periodo seguito alla morte dei genitori. Questo dolore nel ricordare era quello che le impediva di memorizzare le cose che doveva studiare per la scuola.
Nel corso della terapia fa una sabbia che sembra una giungla lussureggiante e mentre la fa canticchia un motivo che non conosco. Alla fine le chiedo cosa stesse cantando e lei mi risponde che è la canzone di una cantante che le piace e che è corredata di un video. Quando vado a vedere il video comprendo che con quella sabbia e la colonna sonora che aveva scelto si compiva un cerchio: nel video una giovane donna vestita da ufficio precipita nella giungla. All’inizio è spaventata, ma poi finalmente si libera degli abiti stretti e ritorna felicemente a essere una donna-tarzan, signora degli animali, a cui le belve non fanno più paura.

Tessa aveva bisogno di ritrovare la sua Africa dentro — dopo essere stata e avere voluto essere civilizzata — per poter vivere qui con gioia. Nel corso della terapia ha iniziato a ricordare del tempo vissuto là. E aveva anche ricordi belli.

 

Inserito il:26/04/2022 16:37:57
Ultimo aggiornamento:26/04/2022 16:51:20
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