Aggiornato al 03/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Beryl Cook (Egham, UK, 1926 – Plymouth, 2008) – Self portrait

 

Non ci riesco, valgo meno?

di Mara Antonaccio

 

Sono seduta nella sala d’aspetto della Dottoressa, per fortuna non c’è nessun altro e posso perdermi nei miei pensieri. Lo studio si trova in un palazzo del Centro, è elegante e incute un po’ di soggezione, come non ne provassi abbastanza; ogni volta che aspetto di entrare nel “tempio-dei-buoni-consigli-per-il-dimagrimento-perfetto”, provo a distrarmi guardando i decori delle pareti e i mobili antichi che lo arredano. Non mi piace stare qui, mi sento sempre come l’agnello salvifico che sta per essere immolato sul sacro altare della forma fisica. Li conosco bene io questi posti, ho cominciato a frequentarli da bambina, quando rotonda come una pallina, attendevo inquieta, seduta su una sedia sempre più alta di me, con i piedi che non toccavano terra e che io dondolavo perennemente, facendo innervosire mia madre. Sono già passati trenta giorni dall’ultimo controllo, accipicchia passano sempre così in fretta, e io sono di nuovo qui a dover spiegare che ho fatto nel mese, come è andata la dieta, come mi sono sentita.

Male! È andata male!

Come glielo dico adesso alla gentile custode del mio peso, che ho passato un mese di inferno e che non ho perso un etto? Come faccio a spiegarle che la maggiore dei mie tre figli ha pensato bene di saltare le lezioni a scuola per una settimana, cosa che sarebbe rimasta nascosta se la segreteria dell’Istituto non mi avesse telefonato, procurandomi prima paura, poi ansia e infine, rabbia? Come posso trasmetterle il senso di inadeguatezza che mi coglie quando entro in ufficio e mi trovo di fronte, nella scrivania che avrei dovuto occupare io, quella odiosa appena assunta, che non si capisce che sappia fare, ma pare che sia stimata dal capo più di me. Come posso farle percepire quel senso di frustrazione per il mancato riconoscimento delle mie capacità e del mio ruolo, che mi farebbe mangiare un supermercato, che in ufficio tengo a bada, ho così tanto da fare che a volte mi dimentico, e poi mi vergogno a mangiare davanti ai colleghi, penserebbero: “guarda questa, mangia sempre, per questo è grassa”? E spiegarle che quando torno a casa, non vedo l’ora di vedere i ragazzi, sono ancora piccoli, almeno così credo, e hanno bisogno della mamma chioccia, sono contenta di farmi raccontare a raffica della loro giornata a scuola, in piscina, a calcio, ma appena entro in casa mi sale una stizza incontenibile: sembra Sarajevo sotto i bombardamenti? Calzini e biancheria ovunque, libri, astucci, Play Station con cavi, cavetti e controller a ingombrare il tavolino del salotto; chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo, inizia il secondo round della giornata. Provo a calmarmi ma le cose peggiorano quando mi accorgo che a nessuno è venuto in mente di comprare il pane e il latte, che nessuno ha pensato di spegnere la lavastoviglie e di vuotarla e ancor meno hanno pensato di stendere la biancheria: no, quello sarebbe davvero pretendere troppo! Come spiegarle che mi rassegno al mio destino e cerco di mettere ordine, mentre tento di preparare una specie di cena?

Altro che verdurine bollite e pinzimoni, Dottoressa!

Se non ci fosse mia madre che pietosamente, qualche volta a settimana mi cuoce o mi griglia qualcosa, andrei avanti a surgelati e insalata. Finalmente riesco a prendere in mano la situazione e a dare una parvenza di ordine alle stanze, stendo, preparo la tavola vuotando la lavastoviglie e intanto come la dea Kalì, con l’altra mano giro le bistecche e scolo la pasta. Finalmente mi siedo e ho davanti quattro persone vocianti, fameliche, esigenti, litigiose. Ora la fame si fa sentire, provo un senso di vuoto enorme, una voragine si apre e si allarga nel mio stomaco e ho la certezza che tutto il cibo del mondo non possa saziarmi. Inizio a mangiare quello che ho davanti, come un automa, si, mangio anche le verdure bollite, ma non peso niente, non controllo i cucchiaini di olio e non seleziono i nutrienti: non ne ho la forza. Se un tornado ora scoperchiasse la stanza, mi farei portare via, non sono in grado di oppormi a nulla e a nessuno. Mangio con avidità, parlo, ingurgito aria, mi infervoro sulla questione della scuola, lancio occhiatacce a mio marito, che non mi sostiene nelle mie crociate, mi si gonfia la pancia.

Finalmente la casa si quieta, sono tutti a dormire, è tardi, mi sento vuota come un sacchetto del supermercato. Vado in bagno per la mia toilette serale e mi guardo allo specchio, davanti, di profilo, non mi piace quello che vedo. La pancia frutto delle tre gravidanze e dei chili acquistati non fa sconti, sta li e non si sforza minimamente di rientrare. Mi sento in colpa per aver mangiato male e di fretta, mi sento gonfia, so di non aver fatto quello che dovevo per me stessa. Dovrò confessarmi con la Dottoressa, dovrò ammettere la mia mancanza di volontà, la mia incapacità di contrastare questa spossatezza che mi prende, vorrei dormire una notte infinita e svegliarmi magra. Che sciocca, quante volte da ragazzina ho sperato in questo, andavo a letto con la convinzione che durante il sonno un evento risolutore ponesse fine a questa tortura. Al mattino, ovviamente, mi svegliavo esattamente uguale alla sera precedente e restavo persino delusa, che sciocca ero. In realtà quella fanciullina alberga ancora in me, da qualche parte, e la speranza del miracolo non è svanita crescendo.

Mi guardo e non mi piaccio, ho paura di quello che diranno i miei familiari, i colleghi, mio marito: “che ci vai a fare ogni mese dalla Dietologa, spendi soldi e non ottieni il risultato”. Ecco, mio marito, ora vado in camera, speriamo che si sia addormentato, non ce la farei proprio a giustificare un rifiuto alle sue avances sessuali. Argomento complesso questo. All’inizio della nostra relazione io ero già in sovrappeso, ma in modo più contenuto; pur non nascondendo che la mia fisicità non mi ha mai fatto sentire a mio agio nella vita intima, le cose andavano alla grande tra noi. Non mi ha mai fatto pesare le mie rotondità diceva che “le donne magre sono come i pantaloni senza tasche, non sai dove mettere le mani”. Mi faceva sorridere questo proverbio, immaginavo la scena. Poi con gli anni, le tre gravidanze e l’aumento di peso le cose un po’ sono cambiate. Certo non mi dice apertamente che non gli piace la mia attuale corporatura ma mi fa discorsi partendo da lontano, non vuole ferirmi ma mi vuole più magra. Allora mi chiede come vanno i miei progressi, che ne pensa la Dottoressa, come mai i risultati tardano a venire. Tutto questo deprime il mio desiderio, unitamente alla non accettazione dei rotolini sui fianchi, non mi sento piacevole e impedisco alla mia sessualità di farsi viva e la vita di coppia ne risente.

Ecco Dottoressa, come mai i risultati tardano a venire? Questo le chiederò appena mi ammetterà nel suo Empireo. Me lo spieghi lei perché anche il mese scorso, in cui ancora presa dall’entusiasmo della dieta, carica di motivazioni e slancio, ho perso solo un chilo. Tutti mi guardano e pensano: “sì, vabbè, se avesse fatto davvero la dieta come prescritto, altro che un chilo, ha mangiato di più o di nascosto”. Non ho mangiato di più e tanto meno di nascosto; lo odio questo corpo che si tiene stretto lo strato di grasso come fosse una coperta, non so che fare e mi sento molto demotivata.

Oggi la Dottoressa è in ritardo.

Guardo la porta con ansia e speranza, voglio entrare per far valere le mie motivazioni, spiegare a quella donna alta e magra, che non ha mai dovuto privarsi di cibo nella vita o che magari non ama mangiare, che non sono riuscita a mettere in pratica i suoi fantastici consigli e a rispettare il suo schema alimentare mediterraneo-bilanciato perfetto-se-lo-segui-dimagrisci. Non ci posso fare niente, mi sento uno schifo, anche lei mi giudicherà, penserà che non ho le palle, magari me lo dirà pure.

Improvvisamente la porta si apre, vengo distolta dai miei pensieri e il piede mi scivola dalla sedia, urtando il pavimento: grassa e anche impacciata!

La mia giudice implacabile mi accoglie sorridendo, mi chiede come è andato il mese e mi indica dolcemente la bilancia. Dio come odio questo strumento di tortura.

Cosa ne sa lei dei miei sentimenti, dei miei tormenti, delle mie speranze; lei emette imparziale un verdetto inoppugnabile, quello è e quello resta, non le importa altro. 95 kg., lo stesso identico peso del mese scorso, accipicchia, per lo meno non sono ingrassata. La Dottoressa mi guarda sempre sorridente ma noto all’angolo della bocca una piega di fastidio, anche lei sta pensando che non mi sia sforzata abbastanza. Cerca di essere comprensiva, mi dice per la milionesima volta che devo sforzarmi di fare movimento, altrimenti il risultato arriverà molto lentamente o non arriverà proprio.

Come faccio a farle provare la stanchezza che mi assale quando esco dall’ufficio o quando finisco le incombenze casalinghe la sera, nemmeno una muta di cani famelici riuscirebbe a farmi scappare, mi farei dilaniare. La ascolto sciorinarmi i suoi buoni consigli, a tot euro a visita, e la sua voce mi arriva sempre più filtrata e ovattata.

Sto pensando che devo trovare un equilibrio e che questo non deve essere necessariamente legato al dimagrimento. Si, lo so che starei meglio e che preserverei la mia salute, ma sto peggio così, provandoci e non ottenendo il risultato, aggiungendo stress allo stress. Scuoto la testa come riprendendomi da un sogno ad occhi aperti e sorrido. Le dico che il nostro percorso si interrompe qui, che non intendo sottopormi a questa verifica mensile dei miei insuccessi e delle mie incapacità, voglio provare a sopravvivere, anzi, a vivere dignitosamente e con un equilibrio accettabile i miei chili di troppo. Sono sicura che il miglior incentivo sarà prendere consapevolezza che posso farcela anche senza controllori e schemi e che comunque io valgo a prescindere, non può essere il volume alterato del mio corpo a decidere quanto conto o chi sono.

Io sono così, tonda, morbida, imperfetta e sensibile e ho deciso di vivere la mia vita nel migliore modo possibile. La dottoressa sorride comprensiva, apprezza il mio modo adulto di chiudere il rapporto e mi augura “tante cose belle per il futuro”.

La porta del suo studio elegante e perfetto, come i suoi capelli, il suo trucco, il suo smalto e la sua taglia, si chiude alle mie spalle e io scendo le scale con una consapevolezza nuova, vivrò e cercherò di farlo nel migliore dei modi, questo è il mio peso, questa la mia vita...

 

Inserito il:17/11/2019 17:05:06
Ultimo aggiornamento:17/11/2019 21:52:53
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