Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Interno del Teatro La Fenice (Collezione del Museo Corner)

 

Concerti di capodanno

di Giorgio Panattoni


Oggi ho visto e ascoltato i due concerti di capodanno, il primo a Venezia, teatro della Fenice, il secondo nella storica sala di Vienna. Mi viene spontaneo lasciar correre il pensiero, libero come si conviene.
Venezia, città unica, solitaria, indipendente, di tutti, coi suoi canali e i suoi palazzi.
Vienna, la città più "quadrata" del mondo, bellezza un po' congelata, imponente, rassicurante.
A Venezia repertorio di musica lirica, quella che definisco, in sintesi, "fumetto popolare colto" che nasce dal basso e si riempie di valori popolari e di storie universali, dall'Egitto dell'Aida, al Giappone della Butterfly, alle corti nobili, ma sempre con taglio del popolo nelle sue varie espressioni.
A Vienna repertorio straussiano, di corte, unitario, riferimento consolidato e datato.
A Venezia a dirigere un coreano, anche lui preso dalla modernità della musica e dalla universalità dei messaggi, lui che viene dalla sacralità della sua tradizione.
A dirigere a Vienna il maestro Muti, grande interprete di tutto.
A Venezia cultura popolare, bellezza, immagine, trasmissione di valori.
A Vienna reggia, corte, tradizione, regola, ordine.
Verrebbe da dire a Venezia la storia con le sue contraddizioni, le sue ombre, i suoi slanci, i suoi errori, a Vienna la tradizione del passato, le sue reminiscenze dorate, le sue nobiltà.
A chiudere i due programmi a Venezia "libiam nei lieti calici", dopo il "va pensiero", il vero inno italiano. Un inno all'amore, all'allegria, al futuro. A Vienna la "marcia di Radetzky", dopo "il bel Danubio blu", forse il vero inno austriaco. Un inno al potere passato, alla potenza, alla forza musicata coi ritmi della sicurezza.
Mi è venuta in mente la grande guerra, i nostri errori, Caporetto, la disfatta, la resistenza, e poi la ripresa e la vittoria.
Loro più forti, più organizzati, più ordinati, noi forse più improvvisati e più accesi.
Poi un periodo buio, drammatico, un'altra guerra, altri enormi disastri, la fine delle monarchie.
Si ricomincia daccapo, dal basso, dal popolo.
C'è qualche insegnamento per gli italiani da questi due concerti?
Possiamo smetterla di piangerci addosso, possiamo impugnare i valori della bellezza, dell'arte popolare, della nostra unicità, della nostra capacità anche di improvvisare per cambiare, per occuparci del futuro che dobbiamo aprire per noi?
Basta anche un concerto il primo dell'anno, perché il nuovo futuro è incominciato già oggi.

 

Inserito il:01/01/2018 22:43:00
Ultimo aggiornamento:01/01/2018 22:49:45
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