Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Renato Guttuso (Bagheria, 1911 - Roma, 1987) - Comizio di quartiere (1975)

 

I cent’anni del PCI: Fu vera gloria?

di Tito Giraudo

 

Rassegniamoci, in occasione del centenario della scissione comunista di Livorno, ne leggeremo delle belle tra omissioni, falsificazione ed apologie, il tutto in un Paese che ormai ha dimenticato il PCI del dopo guerra, figuriamoci quello del ‘21. Come storico anche un po’ improvvisato, vorrei fare il punto su quei fatti, cercando di non tenere conto della profonda antipatia che ho sempre avuto della cultura comunista…. Ahimè per averla frequentata. Per questo mi limiterò, cercando di stare ai fatti.

Gramsci fondatore

In questi giorni ha iniziato la televisione: nella locandina dedicata, appare l’immagine di Antonio Gramsci come se fosse stato il protagonista di quelle giornate. Nella realtà storica, Gramsci e gli amici torinesi dell’Ordine Nuovo, in quel frangente furono poco più di spettatori ancora alquanto frastornati dalla débacle dell’occupazione delle fabbriche conseguente al biennio rosso che li aveva bollati quali avventuristi. In quel 1921, il vento rivoluzionario era mutato in quello reazionario (o rivoluzionario a seconda dell’angolazione) di stampo nazionalfascista.

Stabiliamo intanto una prima verità, il fondatore del Partito Comunista scaturito immediatamente dopo il congresso socialista di Livorno (e sempre in quella città) fu Amedeo Bordiga, un ingegnere nato ad Ercolano, ma di padre piemontese e madre toscana, capofila della corrente astensionista del PSI; fu il vero promotore della scissione in quando dirigente nazionale, a differenza di Gramsci e Togliatti che erano l’espressione di un gruppo intellettuale torinese al di là del ruolo giocato nel biennio rosso e delle teorie operaiste, queste sì in gran parte di Gramsci. Il solo Tasca era un dirigente del Partito torinese, consentendo tra l’altro la nascita del settimanale, e soprattutto permettendo a Gramsci e Togliatti di godere dello stipendio come giornalisti dell’edizione torinese dell’Avanti.

Le ragioni della scissione

Quella di Livorno fu la prima scissione importante nel partito socialista, diviso fin dalla fondazione tra riformisti e rivoluzionari, in qualche modo riuscì a far convivere le due anime.

Gli interventisti, capitanati da Mussolini che nel ‘14 era l’astro nascente, furono cacciati, così come erano stati espulsi nel congresso del ‘12 alcuni riformisti come: Bissolati, Bonomi e Cabrini e in seguito, nel ‘22, Turati e la corrente riformista alla vigilia della Marcia su Roma. Purghe quindi, non scissioni.

Se rivediamo quel film oggi, quella scissione sarebbe incomprensibile (altro che Renzi), dal momento che la maggioranza nel Partito era saldamente nelle mani dei massimalisti. Tuttavia, come spesso accade alla sinistra, non si è mai abbastanza estremisti. La posizione astensionista nel ‘19 riguardava la partecipazione alle elezioni (che per altro videro il successo socialista) e al gioco democratico, per un rivoluzionarismo che si ispirava all’Ottobre sovietico; certo non fu estranea l’influenza di Lenin per affermare la guida ideologica dell’Unione Sovietica verso i Partiti fratelli.

La cosa risibile è che la stragrande maggioranza del partito Socialista anelava di “fare come in Russia”. Tuttavia, ciò non era ancora sufficiente agli interessi dell’URSS e quindi quella scissione si consumò.

Il ruolo di Gramsci nel nuovo Partito

Il gruppo torinese non tardò a ricoprire con Gramsci, Togliatti e lo stesso Tasca un ruolo importante nella segreteria di Bordiga. Nel frattempo, dopo la Marcia su Roma, Mussolini formò il suo primo Governo e quindi il Partito, fino al delitto Matteotti, visse uno stato di semi clandestinità nonostante la rappresentanza parlamentare, nel frattempo morì Lenin a cui successe Stalin. Le posizioni di Bordiga e di Tasca furono critiche nei confronti dei metodi staliniani che si stava liberando della vecchia classe dirigente bolscevica. Stalin, vuole Partiti e dirigenti a livello internazionale fedeli., anzi proni, Bordiga e Tasca comprendono il pericolo stalinista, Gramsci e Togliatti dapprima ondeggiano, poi entrano in conflitto con i due emarginandoli fino all’espulsione che avverrà nel ‘26.

Occorre dire che Gramsci “forse” fu il meno convinto, tuttavia fino al suo arresto sarà fedele a Mosca, al suo arresto in Italia a rappresentare il PCI ci sarà Togliatti che ben presto diviene l’astro nascente dell’internazionalismo comunista.

Riassumendo: Gramsci partecipa alla vita del nuovo Partito dal 21 al 26; quando viene arrestato è il segretario del Partito, dopo aver messo in minoranza Bordiga nel 24.

Non mi pare che in cinque anni, senza nulla togliere alla sua grande intelligenza, possa essere considerato, il grande ideologo e tantomeno come abbiamo detto il fondatore. Al confino, dove si rappacificherà con Bordiga e poi dal carcere, esprimerà quelle posizioni critiche verso lo stalinismo che gli costeranno l’emarginazione tra gli stessi compagni comunisti imprigionati con lui.

Il Partito di Togliatti

Togliatti nasce politicamente all’ombra del suo amico Gramsci, è certamente un fine intellettuale, non certo un uomo d’azione, tanto che nel ‘22 sfuggito per miracolo alle botte fasciste, si eclisserà per un lungo periodo, solo un richiamo dalle colonne dell’Unità lo farà tornare all’ovile.

Sfuggirà in seguito agli arresti in quanto si trova a Mosca.

Conoscendo Stalin, gli anni a Mosca saranno di assoluta fedeltà nei confronti di un dittatore sempre più paranoico nei confronti di possibili dissidenti. Difficile dare giudizi umani (quello politico è ben altra cosa). Al suo posto, forse avrei fatto come lui in quanto, fuori dall’Unione Sovietica, pur se gli fosse riuscito di uscirne, la vita sarebbe stata assai problematica.

Un saggio della sua fedeltà (e connivenza), la diede in Spagna come inviato di Mosca nella guerra civile, avallando la liquidazione di tutti coloro che criticavano la strategia sovietica.

Togliatti, che nel ‘43 tornò in Italia nel frattempo liberata dagli americani, non partecipa alla Resistenza ma si instaura a Salerno e non c’è dubbio che fosse il proconsole di Stalin. Altri del gruppo dirigente punteranno sulla guerra civile per il consolidamento di un Partito che fino ad allora conta un piccolo consenso nel Paese.

La fedeltà di Togliatti durerà oltre la destalinizzazione arrivando persino a criticare la svolta Krusceviana. Si riscatterà in parte con il testamento di Yalta…. Mi pare francamente poco.

Va detto che nel mondo comunista italiano ormai si parla poco di Togliatti sostituito nel mito dall’inconsistente (politicamente) Berlinguer e naturalmente da un Gramsci assurto a nume tutelare, in mancanza di altri padri fondatori spendibili.

Le responsabilità sul fascismo

A mio parere non sono gravi come quelle socialiste solo perché gli avvenimenti riguardano soprattutto il periodo tra il 19 e il 21, dove i futuri comunisti sono solo comprimari anche se, come nel caso degli ordinovisti, ben partecipi.

Dal 1921 all’instaurazione della dittatura nel 1925, il Partito Comunista non ebbe molte possibilità di fare danni. Era un partitino di “duri e puri” con una forza elettorale limitata, per di più con i suoi principali dirigenti in semi clandestinità o in quel di Mosca.

Fu il massimalismo in generale, di cui i futuri comunisti furono parte attiva, ad avere le maggiori responsabilità nell’ascesa del vecchio massimalista Mussolini. Tutta quella compagnia di giro predicava la rivoluzione in un Paese dove non ne esistevano le condizioni, pur non disdegnando il comodo parlamentarismo.

Contemporaneamente ci fu l’eclissi riformista, in parte anche causata dalla debolezza dei suoi dirigenti e in particolare di un Turati, grande intellettuale e onest’uomo, ma non altrettanto leader capace di guidare con polso fermo e decisioni rapide quel riformismo socialista, allora, l’unico in grado di dare alle sinistre prospettive realistiche (come nel Regno Unito). Se al congresso di Reggio Emilia non avesse fatto una debole difesa di Bissolati, ma avesse tratto la conclusione che ormai in quel Partito la via riformista era impraticabile, forse la storia del nostro Paese sarebbe stata altra. Ci provò Saragat nel 48, impedendo la vittoria del sciagurato “Fronte Popolare”, tuttavia creando un partitino costretto nell’orbita democristiana.

Nel ‘19, ci fu una grande affermazione socialista, accompagnata da una ancor più sorprendente affermazione dei cattolici popolari. Quella era l’ultima chance a sinistra di far vincere il  buon senso, si avallarono invece le follie operaiste che scatenarono il biennio rosso e a ruota l’occupazione delle fabbriche, aprendo un’autostrada all’allora incerto Mussolini, che si affrettò a trasformare il suo Movimento Fascista nel “Partito dei produttori”.

Certo, le responsabilità dell’avvento del fascismo furono molteplici, compreso il vezzo italiano per la demagogia, oltre a quello di salire sul carro del vincitore.

Il PC, da Togliatti a Berlinguer

Che dire del PCI del dopo guerra: di Togliatti abbiamo detto. Oggi c’è la tendenza sottobanco di addebitare solo a lui lo stalinismo italiano. Nella realtà, un’intera classe dirigente, compresi gli intellettuali di corte salvo poche eccezioni, avallarono e difesero anche l’indifendibile: dalla rivolta cecoslovacca, passando da quella ancor più tragica ungherese, il Partito sostenne quello che oggi si può definire il colonialismo comunista.

Certo, dopo la destalinizzazione occorreva cambiare, i socialisti stavano dimostrando che era possibile un riformismo, sia pur cauto e compromissorio. Poteva aprirsi una stagione unitaria e invece il PCI, preferì guardare alla DC in concorrenza con il PSI. Fece poi ancora di più, quando il nuovo santino comunista Enrico Berlinguer partorì la questione morale a senso unico che con “mani pulite”, a babbo ormai scomparso, consentirà la liquidazione socialista. Nel frattempo, anche il PCI sarà liquidato dopo la caduta del muro di Berlino e dopo molte rifondazioni con le sigle più fantasiose, troverà rifugio in un PD che, nato per ribadire l’incontro con i Cattolici, non è stato altro che l’unione tra due cespugli sopravvissuti, con l’unico collante dell’antiberlusconismo viscerale e con a capo un boiardo di Stato.

Tutto questo, va detto, è lontano mille miglia dal PCI del ‘22 e …. meno male!

 

Inserito il:23/01/2021 16:21:12
Ultimo aggiornamento:23/01/2021 16:33:40
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