Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Salvador Dalì (Figueres, Spagna, 1904 – 1989) - The language of birds

 

Il linguaggio degli uccelli  (1)

di Vincenzo Rampolla

 

In varie tradizioni si parla spesso di un misterioso linguaggio chiamato lingua degli uccelli, termine simbolico, vista l’importanza attribuitagli come requisito per un’alta iniziazione, che ne confina la legittimità nel regno del mito, più che in quello della realtà.

Si legge nel Corano: E Salomone fu l’erede di David e disse: O uomini! Siamo stati istruiti al linguaggio degli uccelli e colmati di ogni cosa.  La tradizione fa notare che il concetto di lingua degli uccelli è presente anche nelle saghe nordiche di cui è protagonista Sigfrido, e sostiene in definitiva che la lingua degli uccelli sia una forma di intervento divino, uno strumento che mette l’iniziato in grado di entrare in comunicazione con gli stati superiori. C’è chi collega il termine latino auspex - anche avispex, derivato da avis spècere, guardare il volo degli uccelli - con la lingua degli uccelli, collegamento basato sulla visione degli uccelli come messaggeri celesti, al pari degli angeli, creature alate che come loro vagano nello spazio tra cielo e terra. Ma questo ancora non convince. Quale origine ha il mito della lingua degli uccelli, largamente diffuso in numerose tradizioni? Nel 1876 a Bayreuth (Baviera), alla prima recita del Sigfrido, in una trama ridisegnata da Wagner, si narra di Sigfrido che, spinto dal patrigno, va alla ricerca del drago Fafner, un tempo essere umano gigante e custode dell’oro del Reno. L’eroe ignora che il patrigno, bramoso di quel tesoro, gli ha teso un agguato: non appena avrà ucciso il drago, verrà assassinato da Regin fratellastro del drago. Mentre è in cammino nella foresta, Sigfrido ascolta gli uccelli e tenta di capire il loro canto. Invano. Trovato e ucciso Fafner, una goccia del sangue del drago bagna la mano di Sigfrido, che istintivamente la porta alla bocca. Lambito appena il sangue, subito ha la facoltà di comprendere il linguaggio degli uccelli, insieme alla capacità di percepire i pensieri che si nascondono negli inganni degli altri oltre al potere di cambiare forma e diventare invisibile, legati all’elmo e all’anello del tesoro. In chiave psicologica, uccidere il drago che vigila sul tesoro nel profondo della grotta, va inteso come trionfo della psiche sulle forze oscure.

Wagner si ispira alla Volsunga saga, scritta nel XIII secolo, rielaborazione in prosa di scritti più antichi e costruisce una rappresentazione teatrale che svela come l’eroe abbia ricevuto il potere di capire il linguaggio degli uccelli che lo salvano  “avvisandolo” del tranello di Regin. Della storia, con varianti di trama e nomi dei personaggi, si conosce una rappresentazione grafica in un’incisione su roccia in Svezia, presso Ramsund. Risalente al X secolo, con una iscrizione in caratteri runici, è una straordinaria sequenza di immagini parlanti:

L’incisione rupestre dimostra che nella versione originale della saga il particolare della comprensione del linguaggio degli uccelli gioca un ruolo chiave. Il suo valore simbolico appare comunque diverso da quello di uno stato superiore di coscienza conquistato al termine di un cammino iniziatico. Per Sigmund/Sigfrido il sentire il sapore del sangue del dragone è casuale e l’eroe non sa che gustare quel sangue gli conferirà il dono di comprendere il linguaggio degli uccelli. E se questo linguaggio non porta l’eroe alla scoperta di inenarrabili verità, né lo trasforma in un veggente, gli consente di sventare il complotto e di salvarsi la vita. Dunque, capire la lingua degli uccelli è acquisire il verbo segreto della Natura.

Il XIII secolo è anche il periodo in cui nell’Europa cristiana si diffonde un’altra narrazione che presenta il linguaggio degli uccelli come segno di santità, al punto di ispirare a Giotto gli affreschi nella basilica di Assisi. Il racconto dell’evento è presente nella prima biografia di San Francesco nel 1228/29, la Vita prima di Tommaso da Celano: Fratelli miei uccelli,

dovete lodare molto e sempre il vostro Creatore perché vi diede piume per vestirvi, ali per volare e tutto quanto vi è necessario. Dio vi fece nobili tra le altre creature e vi concesse di spaziare nell’aria limpida: voi non seminate e non mietete, eppure Egli vi soccorre e guida, dispensandovi da ogni preoccupazione. Pieno di gioia Francesco ringraziava il Signore, venerato da tutte le creature con tale sincera devozione. Siccome poi era uomo semplice, non per natura ma per grazia divina, cominciò ad accusarsi di negligenza, per non aver predicato prima di allora agli uccelli, dato che questi ascoltavano così devotamente la parola di Dio; e da quel giorno cominciò ad invitare tutti i volatili, tutti gli animali, tutti i rettili e anche le creature inanimate a lodare e amare il Creatore, poiché ogni giorno, invocando il nome del Signore, si accorgeva per esperienza personale quanto gli fossero obbedienti.

Diverse sono le tesi sull’origine e il significato della cronaca, ripresa poi con qualche variante da biografie posteriori. È immediato il riferimento al Vangelo di Matteo (VI: 26): Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai, eppure il Padre vostro celeste li nutre… Nella leggenda francescana, chi parla la lingua degli uccelli segue lo stesso schema che affiora nella saga di Sigfrido: capire e parlare il linguaggio della Natura.  

Recenti studi danno più credibile la versione della predica agli uccelli contenuta nella cronaca di Ruggero di Wendover, monaco dell’abbazia benedettina di St. Albans (GB), morto nel 1236. Senza essere biografo di Francesco né testimone degli eventi, egli ha trasmesso la sua versione a Matteo di Parigi che, dopo la sua morte, ha dato vita a una storia universale, oggi definitiva e affrescata. All’inizio Roma riserva scarsa attenzione ai sermoni di Francesco e il frate reagisce alla fredda accoglienza recandosi fuori le mura a predicare non ai passeri e ai piccioni, ma a rapaci intenti a divorare carcasse nei campi e attirati dai suoi sermoni. Narra Ruggero che la cosa si ripeté per tre giorni e i romani, stupiti dalle prodigiose prediche, si pentirono e prestarono attenzione alle parole di frate Francesco. Per Ruggero: la Roma scettica e infedele è la nuova Babilonia e i romani, laici e togati, che non vedono la santità di Francesco, simbolicamente sono come esseri senza vita, in decomposizione. La sua versione troverebbe ispirazione nell’Apocalisse XIX:17-18, dove si parla dei rapaci insediatisi tra le rovine della corrotta Babilonia a divorarvi i cadaveri dei potenti dell’epoca.

Nel francescanesimo delle origini, accanto a Francesco spicca sant’Antonio da Padova, teologo e dottore della chiesa, morto nel 1231. Nei Fioretti si narra infatti di Antonio che si reca in Romagna con l’intenzione di convertire i molti eretici che vivevano a Rimini. Poiché costoro non lo ascoltavano, Antonio si recò sulla riva del mare e lì si mise a predicare ai pesci, che per ascoltare la parola di Dio, misero la testa fuori dall’acqua guardando verso il predicatore. Era in uso in quel tempo simboleggiare le classi sociali con diverse varietà di volatili: i signori, rappresentati come uccelli da preda, i predicatori come colombe, i fedeli come folaghe e così via. Nel caso delle prediche agli uccelli di Francesco, come in quelle ai pesci di Antonio, si palpano le mirabilia implicitamente messe in relazione con la santità dei personaggi: parlare la lingua degli uccelli sembra essere per loro un dono divino, una gratifica soprannaturale, al pari delle stimmate.
Nella ricerca sulla lingua degli uccelli occorre comunque risalire al periodo della mitologia greca per cogliere le connotazioni più ampie in chiave simbolica e il legame con il potere della divinazione. Questo è il racconto di Apollodoro sulla vocazione profetica dell’indovino Melampo: Melampo viveva in campagna e davanti alla sua casa vi era una quercia in cui avevano fatto il nido dei serpenti; i suoi servi uccisero i serpenti e lui raccolse della legna e li bruciò, ma allevò i loro piccoli. Cresciuti, essi gli si avvicinarono mentre dormiva e, da una parte e dall’altra delle spalle, si misero a lambirgli le orecchie con le lingue. Melampo si svegliò e rimase atterrito, ma si accorse di comprendere i versi degli uccelli che volavano sopra di lui; istruito da loro, prediceva il futuro degli uomini.

Anche nel mito di Tiresia, narrato sempre da Apollodoro si scopre che: Vi era a Tebe Tiresia, l’indovino figlio di Evere e della ninfa Cariclo, della stirpe di Udeo, uno degli Sparti. Era cieco: della sua cecità e della sua arte profetica si danno versioni diverse. Alcuni dicono che fu accecato dagli dei perché rivelava agli uomini cose che essi volevano tenere segrete. Ferecide afferma che fu accecato da Atena quando Tiresia vide la dea totalmente nuda e essa gli mise le mani sugli occhi e lo rese cieco. Cariclo era molto cara ad Atena e la supplicò di restituire la vista a Tiresia, ma la dea non aveva il potere di farlo; allora gli purificò le orecchie in modo che potesse intendere il linguaggio degli uccelli e gli fece dono di un bastone di legno di corniolo, grazie al quale poteva camminare come coloro che vedevano.

In un’altra versione Atena purifica le orecchie di Tiresia per mezzo del serpente Erittonio, che la dea porta sulla sua egida, al quale ordina: Lava le orecchie di Tiresia con la tua lingua affinché egli possa intendere il linguaggio profetico degli uccelli.

Apollodoro riporta anche la versione di Esiodo, il quale rivela che nei pressi del monte Cilene Tiresia vide dei serpenti che si accoppiavano. Li ferì e, da uomo fu mutato in donna; poi di nuovo spiò gli stessi serpenti e ridivenne uomo. Per questo Era e Zeus, che discutevano se nei rapporti amorosi provassero maggior piacere le donne oppure gli uomini, interrogarono lui. Egli disse: Se nell’amore la somma del godimento è uguale a diciannove parti, nove spettavano all’uomo, dieci alla donna. Per questo Era lo accecò e Zeus gli fece dono dell’arte della divinazione (mantica, interpretazione di fulmini, viscere di animali e volo di uccelli).

(continua)

(consultazione:   corano - sura xxvii; richard wagner - sigfrido; saga volsunga; tommaso da celano - s.francesco; vangelo matteo, 6,26; bonaventura da bagnoreggio - leggenda maggiore; ruggero di wendover - cronaca; apocalisse xix:17-18; matteo di parigi; s.antonio da padova; apollodoro; plinio; democrito; mircea eliade; james g.frazer; porfirio; bibbia - libro dei giubilei (17); filone di alessandria - questiones in genesim - de opificio mundi; bibbia – genesi; bibbia - 1 re ,5:23; louis ginzberg -  the legends of the jews; filostrato - vita di apollonio; istituto della coscienza, umberto di grazia, andrea pascalis; il mistero delle cattedrali, fulcanelli; le voile d’isis - rené guénon - la langue des oiseaux)

 

Inserito il:11/04/2021 16:55:11
Ultimo aggiornamento:11/04/2021 17:02:02
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