Aggiornato al 28/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Hardeep Kaur (from Canberra – Australia) - Consequences Of War- Art For Ukraine

 

L’ordine mondiale (4)

(seguito)

di Mauro Lanzi

 

Il conflitto ucraino e le sue conseguenze

Il futuro ordine mondiale, qualunque esso sia al termine di questo conflitto, non potrà prescindere dalla Cina. D’altro canto, il suo prepotente sviluppo economico, l’enorme surplus della sua bilancia dei pagamenti, il primato tecnologico sul resto del mondo in via di acquisizione, il riarmo accelerato dell’Esercito Popolare pongono questo paese in una posizione di assoluto rilievo nello scenario internazionale, ne fanno un protagonista di primissimo piano.

Tutto ciò non poteva lasciare indifferente l’America; la presidenza Trump si era preoccupata soprattutto di riequilibrare la bilancia commerciale Cina - Stati Uniti, impiegando la leva daziaria, in forma confusa e alquanto contradditoria. L’amministrazione Biden, pur senza rinnegare in toto la politica daziaria già avviata, si preoccupa prevalentemente di altri aspetti; nel settore tecnologico, per fronteggiare la sfida cinese, sono stati stanziati 250 miliardi di dollari per accelerare lo sviluppo di nuove tecnologie, ma anche e soprattutto è stata impostato una strategia di “decoupling”, invitando le proprie aziende a richiamare in patria le produzioni di componenti e apparati sofisticati, soprattutto elettronici, dalla Cina. In campo militare e strategico, oltre all’incremento del budget militare, oltre alla rete di sottomarini impostata con Australia, Giappone e Taiwan, Biden aveva tentato anche la mossa di un riavvicinamento alla Russia, proponendo un incontro al vertice con Putin, prova del fatto che l’America considerava e considera tuttora la Cina come l’avversario più temibile.

Su questo scenario è piombato l’attacco russo all’Ucraina.

I retroscena di quanto avvenuto nel periodo che ha preceduto l’attacco non sono ancora affatto chiari. Anche circa le motivazioni di Putin si possono solo avanzare delle ipotesi; da un lato l’amarezza per la caduta e la dissoluzione dell’impero sovietico, l’aspirazione di riportare la Russia alla ribalta internazionale, come protagonista,  l’opzione militare come unica via percorribile, vista la deludente crescita dell’economia (la Russia è al 30° posto tra le economie mondiali, ma solo grazie alle materie prime, petrolio e gas); dall’altro la valutazione sulle divisioni e sulle debolezze dell’occidente, il declino della Nato, che Trump aveva persino proposto di sciogliere, l’inconsistenza dell’Europa, dipendente da Mosca per le forniture di gas, la sostanziale connivenza della Germania che aveva deciso di proseguire la costruzione di un secondo gasdotto, anche quando i movimenti militari erano già in corso, tutto sembrava cospirare a suo favore.

Forse, poi, c’è stato anche qualcosa in più, qualcosa di più profondo; nel XVI secolo un monaco ortodosso, di nome Filoteo, anni dopo la caduta di Costantinopoli, lanciò l’immagine di Mosca Terza Roma (e non ve ne sarà mai una quarta); può sembrare assurdo, ma l’idea è rimasta profondamente radicata nell’animo e nella cultura dei russi, che si sentono ancora oggi un faro di luce nel mondo, si sentono destinati a combattere le forze del male. La Russia, peraltro, non è mai stata una democrazia e neppure uno stato, si è sempre e solo identificata in un sovrano, Ivan il Terribile, Pietro il Grande, Stalin sono le immagini che ci vengono alla mente, mai un politico o uno statista; Bismarck, Cavour, Churchill sono stati i protagonisti di un’altra Europa.

Proprio sulla scia di queste tradizioni, un attempato ex-poliziotto del KGB si è fatto ad un tratto interprete dello spirito e del sentire della gente, ha proposto ad una nazione umiliata dalla perdita del suo status internazionale delle risposte semplici; le colpe sono tutte dell’occidente, il nemico è la NATO, il primo passo per far rinascere l’impero è la sottomissione dell’Ucraina.  

Da un punto di vista militare infine, l’operazione contro l’Ucraina sembrava semplice, un rapido blitz per realizzare un cambio di regime, fidando anche sui sentimenti filorussi di una parte della popolazione; in fondo, Putin aveva anche in parte ragione a sostenere che l’Ucraina non era mai stata una nazione, solo un’invenzione di Stalin.

Tutto vero, ma l’attacco russo ha prodotto una situazione che nessuno si attendeva! La Nato è risorta, l’occidente si è ricompattato, il gasdotto Nordstream è stato bloccato proprio dalla Germania, in Ucraina, anche i cittadini di etnia russa hanno preso le armi contro l’invasore; la resistenza che anche gli strateghi americani stimavano potesse durare una o due settimane si protrae da mesi, dalla guerra e dal sangue è nata una nazione! Non è certo il caso di esultare, le sofferenze inflitte al popolo ucraino sono state atroci e non se ne vede la fine, i combattimenti sono in pieno svolgimento e si teme possano durare a lungo, c’è sempre sullo sfondo il rischio di un conflitto globale.

Ci vuole coraggio per pensare al futuro e fare previsioni in momenti come questi, ma il pensiero razionale è l’ultima risorsa dell’essere umano e ad esso conviene aggrapparci. Quindi, pensando razionalmente, dobbiamo concludere che la prima vittima della guerra, dopo l’Ucraina logicamente, sarà proprio la Russia, che pagherà un prezzo molto alto al conflitto; la guerra moderna costa e, prima o poi, il Cremlino dovrà tirarne le somme, missili, carri armati, navi, carburante, munizioni, truppe addestrate, tutto quanto distrutto o consumato dovrà essere rimpiazzato.  Anche le sanzioni avranno un costo elevato per l’economia russa, la governatrice della Banca Centrale russa, Elvira Nabiullina, è stata esplicita su questo argomento. Le conseguenze più pesanti però saranno altre, i danni d’immagine e l’isolamento internazionale innanzitutto, subito dopo la rottura dei rapporti con l’occidente; se l’Europa riuscisse ad azzerare o anche solo a ridurre la dipendenza dai prodotti energetici russi, il colpo sarebbe devastante. Ma al di là di questi aspetti, la Russia ha bisogno dell’occidente per non ripiombare nel medioevo industriale, non riuscirà a sostituirci, in misura sostanziale, con la Cina.

La seconda vittima sarà logicamente l’Europa che già conosce una flessione della sua economia per i prezzi crescenti di energia e materie prime, per la crisi del commercio mondiale, oltre alla perdita di un mercato importante come la Russia.          

La terza vittima sarà la globalizzazione, ed è questo il punto fondamentale che dobbiamo considerare; per tre decenni una nuova forma di globalizzazione, più vasta e profonda che in passato, ci aveva fatto sognare, prospettandoci l’illusione di una crescita economica fondata su costi di produzione bassi e su di uno sviluppo pacifico delle relazioni internazionali, conseguenza dell’interdipendenza commerciale ed industriale. Avevamo cominciato ad assaporare un’atmosfera di crescente autonomia politica ed economica, un ritorno ad uno status di nazioni sovrane, in un rinnovato scenario vestfaliano, libero da vincoli sovranazionali; la “Brexit” ne è stato il sintomo più evidente e significativo.

 La guerra ucraina ha cambiato tutto, anche in campo economico; sono tornate a prevalere le motivazioni strategiche; non solo l’America ha dichiarato e sta imponendo alle sue imprese il decoupling dalla Cina, ma le grandi industrie di tutto il mondo si devono confrontare con la necessità di accorciare le loro supply chain, per avere garanzie certe circa la disponibilità di componenti e semilavorati, indipendentemente dagli eventi della politica.

La globalizzazione, nei fatti, è finita o gravemente compromessa; oppure, come dichiarato da Janet Yellen, Segretario di Stato al Tesoro, dovrà essere riorientata all’interno di aree politicamente omogenee. L’affermazione della Yellen non è da sottovalutare, delinea una ricomposizione dello scenario mondiale intorno a polarità contrapposte.

Allora, considerando queste premesse, quale futuro ci aspetta?

Abbiamo visto ed esaminato nel nostro percorso diversi modelli di ordine mondiale, dall’ordine imperiale unipolare fino all’assetto vestfaliano, cioè l’ordine multipolare regolato. Il progetto multipolare regolato ha avuto un grande successo nel XVIII e XIX secolo, ma la sua riedizione in tempi recenti, basata sulla globalizzazione, ha avuto vita breve; l‘impero unipolare è esistito e durato a lungo ai tempi di Roma e del Medioevo, ma in tempi più recenti la “pax americana” non ha funzionato. Quindi, il macro-scenario più probabile è un ritorno all’ordine imperiale, ma basato sul confronto tra due imperi, il primo avente come perno gli Stati Uniti, cui si allineeranno più o meno ordinatamente, sotto l’ombrello della Nato, tutte le nazioni occidentali ed un’Europa non si sa quanto coesa. L’altro impero, assai più granitico, farà capo alla Cina, cui si aggregheranno qualche vassallo asiatico, tipo Corea del Nord, una Russia indebolita e priva di altre sponde, e forse, parzialmente, altri stati, come India, Sudafrica, Paesi Arabi, motivati da interessi egoistici o spirito antioccidentale.

Il confronto non sarà una riedizione della guerra fredda, non ci sarà una competizione tra ideologie: a differenza dell’Unione Sovietica, la Cina, in tutta la sua storia, non ha mai cercato di esportare la sua civiltà o il suo pensiero politico e tanto meno lo farà adesso. Sarà un puro scontro di potere, orientato alla conquista dei mercati, all’acquisizione della superiorità tecnologica e, probabilmente anche militare, al controllo delle materie prime o di chi le produce: sarà uno scontro costellato di tante crisi regionali (i focolai non mancano), in cui i due imperi misureranno le loro forze, possibilmente senza arrivare ad uno scontro diretto.

Se vincesse la Cina si prospetterebbe uno scenario ben poco allettante per le democrazie occidentali; gli Stati Uniti in declino si richiuderebbero nel loro isolazionismo, l’Europa perderebbe in molti casi l’accesso diretto ad alcune materie prime essenziali, perderebbe l’indipendenza tecnologica in molti settori, perderebbe quote importanti del commercio internazionale, quindi parte dell’industria e dell’economia, in definitiva la sua indipendenza politica.

Chi prevarrà? Siamo giunti al punto in cui occorre dare, con tutte le riserve del caso, una risposta alla domanda sollevata in apertura:

moriremo cinesi?

Forse no; anche se i numeri sono sostanzialmente in loro favore, forse alla fine non prevarranno loro. Questo pronostico, questa ipotesi o questo auspicio non sono tanto giustificati dalle criticità del mondo cinese, anche importanti, che abbiamo esaminato in precedenza, i cinesi potrebbero superarle, ma da un motivo più sottile, ma sostanziale; costretto a tornare ad un assetto imperiale dopo i periodi multipolari, quello vestfaliano e  quello, assai più breve, della globalizzazione, il mondo dovrà confrontarsi con la regola aurea di tutti gli imperi, cioè prevalgono e durano nel tempo gli imperi portatori di civiltà, capaci di assorbire ed omologare nella propria cultura popoli ed etnie diversi, alieni da discriminazioni razziali o religiose, ed infine basati sul consenso, cioè gli imperi inclusivi; c’è un dato di fatto che tutti possiamo rilevare: si può diventare, anche se nati altrove, cittadini americani ( come tedeschi o italiani), ma nessuno di noi potrà mai diventare cinese.

 Sono stati imperi inclusivi, in forme e tempi differenti, l’impero romano e quello americano; non lo è mai stato e probabilmente non lo sarà mai l’impero cinese; che quindi, alla fine, perderà il confronto.

                                                                                                                  

Inserito il:03/11/2022 12:10:16
Ultimo aggiornamento:03/11/2022 12:27:53
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