Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Benjamin West (Springfield, Pennsylvania,1738 - London, 1820) - Trattato di Allahabad tra Sham Alam e Robert Clive

                                     

Le civiltà d'Oriente - Storia dell'India - 13

(seguito)

di Mauro Lanzi

 

Il Raj della John Company

 

Rientrato nel 1765, dopo la battaglia di Buxar, Robert Clive si trovò davanti aperta la strada per Dehli, ma non volle percorrerla: giustamente stimava che un controllo diretto dei territori indiani sarebbe stato per la Compagnia difficile e pericoloso, molto meglio offrire un supporto armato ai vari nawab  e governare per interposta persona; così Clive ottenne che Shah Alam firmasse un decreto nel 1765 che nominava la Compagnia suo “diwan”, cioè incaricata di riscuotere le tasse nelle province del Bengala, del Bihar e dell’Orissa. Purtroppo gli impiegati della Compagnia, pagati una miseria, ritennero che le angustie in cui si trovavano meritassero un compenso e si dettero a dissanguare le province loro affidate, allo scopo di accaparrare ricchezze nel tempo più breve possibile, per poi ritirarsi in patria a godersele: un viaggiatore inglese notava che neanche sotto i governi più dispotici regioni un tempo fiorenti erano state ridotte come sotto il diwan della Compagnia.

 Nel 1770 scoppiò una tremenda carestia che mieté un terzo della popolazione rurale del Bengala; alla fine dovette intervenire il Parlamento inglese, preoccupato non delle condizioni dei contadini indiani, ma del mancato pagamento della tassa pattuita con la Compagnia; Clive, informato dell’inchiesta parlamentare, tentò per la seconda volta di suicidarsi, questa volta con migliore fortuna.  La Compagnia fu costretta ad accettare alcune linee guida imposte dal governo: un solo Governatore da Calcutta avrebbe controllato tutte le sedi della compagnia, affiancato da un board di consiglieri, i dividendi distribuiti dalla Compagnia non potevano superare il 6%, almeno fino alla restituzione di un ingente finanziamento del governo; poi, nel 1784, queste norme divennero più stringenti, si stabilì un Board of Control, pilotato da un fiduciario del primo ministro, che aveva la prerogativa, non solo di nominare o revocare il  Governatore, ma anche di inviare in India istruzioni segrete e tassative.

Coerentemente con questa impostazione, il nuovo Governatore non fu un impiegato della Compagnia, ma un generale, Lord Cornwallis, che aveva combattuto in America con alterne fortune, ma che aveva fama di rettitudine ed integrità (1786-1798): Cornwallis fu il vero artefice del raj (governo) della John Company in India. Il punto centrale della questione era l’esazione delle imposte sulla terra; tradizionalmente questa funzione era affidata alla piccola nobiltà rurale, gli zamindar, che avevano in appalto dal governo centrale certe aree per la riscossione delle imposte, delle quali trattenevano una percentuale del 10%, salvo cresta.

Cornwallis, con il suo “Permanent Settlement” trasformò gli zamindar in proprietari dei loro terreni, almeno fino a quando avessero pagato alla Compagnia la tassa annuale convenuta: questa soluzione, da un lato sistemò in forma soddisfacente i bilanci della Compagnia, dall’altra spinse gli zamindar a dissodare terreni fino allora incolti, aumentando così la produzione agricola, ma soprattutto introdusse nelle campagne indiane un concetto finora sconosciuto, quello della proprietà terriera. La Compagnia inoltre si riservò altri diritti: innanzitutto di imporre nuove tasse dovunque necessario: la raccolta delle tasse era affidata ad un magistrato inglese, in ogni distretto, (collector), affiancato da un corpo di polizia ; in aggiunta a ciò, la Compagnia si intestò il monopolio della vendita del sale e quello, molto lucroso, della raccolta e della vendita dell’oppio; inizia in questo periodo l’esportazione dell’oppio verso il mercato cinese anche per bilanciare le importazioni di generi di lusso dalla Cina. 

Cornwallis, che era anche comandante in capo dell’esercito, si preoccupò inoltre di inculcare ovunque il concetto della superiorità britannica; tutti gli ufficiali dovevano essere europei, così come tutti gli impiegati direttivi o comunque sopra una certa soglia di stipendio; anche la polizia e l’amministrazione della giustizia venne affidata ad europei. Quando Cornwallis cessò dal suo incarico la struttura della John Company in India aveva assunto dei lineamenti stabili e ben definiti.

Il nuovo governatore designato nel 1798 fu un personaggio molto diverso, Sir Richard Wellesley, fratello maggiore di quel Arthur Wellesley, che, con il titolo di duca di Wellington, sarà il vincitore di Waterloo, ma che aveva fatto le sue prime esperienze militari proprio in India, agli ordini del fratello.  Wellesley fu il primo di una razza di governatori espressi non più dal ceto mercantile, ma dall’aristocrazia inglese, a cui vennero assegnati dal Board of Control compiti ben più ampi e complessi della corrente gestione commerciale, compiti ispirati ad una strategia politica di vasto respiro; per la complessità del loro incarico, ma anche per la loro boria ed arroganza, questi personaggi furono a ragione definiti i Nuovi Moghul.

Wellesley giunse in India nel 1798 nel momento in cui l’esodo della nobiltà dalla Francia aveva portato in India un certo numero di avventurieri, abili all’uso delle armi, disposti a mettersi al servizio di chiunque; il suo mandato, da parte del Board of Control, era di assicurare l’India al dominio inglese. La prima preoccupazione degli inglesi era la marcia di Napoleone, che era appena sbarcato in Egitto, diretto verso l’India dove si stava sollevando Tippoo, Sultano del Mysore, detto anche la tigre del Mysore; Tippoo aveva ampliato i domini ereditati dal padre a spese dei vicini maharatti, ma poi si era fatto promotore di un’alleanza degli stati del sud in funzione antibritannica ed aveva cercato l’aiuto francese. Questa mossa fu la sua rovina; un forte esercito guidato da Arthur Wellesley mosse verso la capitale del Mysore che venne espugnata il 4 maggio 1799, Tippoo venne ucciso nell’assalto alle mura. Tippo è tuttora considerato come un eroe della resistenza agli inglesi; sul suo mausoleo sventola la sua bandiera.

La conquista del Mysore dette agli inglesi la possibilità di collegare Madras con la costa occidentale, chiudendo in una morsa gli staterelli del centro India. Wellesley impostò allora una strategia combinata di controllo diretto del territorio ovvero di alleanze con i vari sultanati locali, cui gli inglesi assicuravano appoggio militare in cambio di una completa accettazione del potere del Raj.

L’ultimo potere indipendente rimasto nell’India centrale erano i maharatti, i quali, pur divisi da rivalità interne, erano riusciti persino a controllare Dehli ed Agra; in seguito avevano dato molto filo da torcere ai residenti britannici, finché il successore di Wellesley, Elphinstone riunito un forte esercito riuscì a piegare la resistenza dell’ultimo peshwa maharatto, Baji Rao, che, sconfitto, fu imprigionato in un castello in Bengala (1818). Elphinstone sfruttò il successo con saggezza, espropriando chi insisteva nella ribellione, ma mantenendo nelle loro proprietà quelli che si sottomettevano al Raj; mantenne anche il sussidio, se pur ridotto, ai sacerdoti brahamani.

Si venne così ad instaurare, grazie anche alla sistematica eliminazione del brigantaggio, una situazione nuova per l’India centrale, la “pax britannica”; contadini e commercianti erano sì costretti a pagare regolarmente le imposte, ma non dovevano poi temere più rapine da parte di predoni o estorsioni conseguenti a nuove invasioni.

La Compagnia, visto il continuo ampliarsi dei suoi compiti, si trovò infine costretta ad addestrare un numero crescente di personale locale, cui per forza di cose si dovette insegnare l’inglese: i locali apprendevano molto più facilmente l’inglese, di quanto gli inglesi non apprendessero le lingue locali. Nel 1813 un “Charter Act” del governo inglese obbligò la Compagnia ad un ingente stanziamento per l’educazione degli indiani, nel 1817 fu anche aperto l’Hindu College, destinato all’istruzione dei figli delle classi abbienti; l’azione della Compagnia era poi affiancata ed integrata dai missionari e dagli orientalisti inglesi che si venivano a stabilire soprattutto nel Bengala.

Cominciarono ad emergere così, nella prima metà dell’ottocento, i lineamenti di una nuova società indiana, che vedeva affermarsi una ristretta fascia di benestanti, commercianti e banchieri, favoriti dalla padronanza della lingua inglese, ma accanto ad essa una nuova intellighentsia, che da un lato aveva studiato la cultura ed il sistema legale britannico, dall’altro si era dedicata al recupero della più autentica cultura indù, dal sanscrito, ai Veda, all’Upanishad; attorno ai più eminenti tra questi personaggi nacquero circoli culturali che educheranno intere generazioni di giovani bengalesi alla conoscenza delle proprie radici ed all’orgoglio nazionale. Da queste elite, pur esigue nei numeri, nasceranno i politici che guideranno il Paese verso l’indipendenza.

La Compagnia, d’altro canto, non dimenticava i suoi obiettivi istituzionali, che erano commerci e profitto; una volta assicurata la stabilità nel cuore del subcontinente, si cominciò a pensare come ampliare l’attività ad altri mercati. Il primo obiettivo ad oriente appariva la Birmania, che era ai tempi un regno indipendente; una spedizione via mare organizzata nel 1824 costrinse i birmani a cedere l’Assam ed a firmare un trattato commerciale, preludio della colonizzazione del paese raggiunta alla fine del secolo.

Poi l’attenzione dei britannici si rivolse ad occidente dove importanti aree erano rimaste indipendenti dal Raj, in particolare il Sind ed il regno dei Sikh: quest’ultimo era venuto crescendo nell’ultimo secolo attraverso una serie di durissimi scontri con i Moghul e con gli afgani; temprati da questi confronti, sotto la guida di un abile condottiero, Ranjit Singh, i Sikh erano divenuti una forza militare temibile, potevano schierare un esercito di quasi 100.000 uomini, tutti guerrieri ben addestrati e determinati. Gli inglesi inizialmente non se la sentono di affrontarli e preferiscono allearsi sia con loro che con gli emiri del Sind per un’altra impresa, la conquista dell’Afganistan, che era divenuta una priorità agli occhi dei britannici, da quando la Russia zarista si era aperta il cammino fino ai confini persiani. Le truppe inglesi si misero in marcia nella primavera del 1838, risalendo su imbarcazioni il fiume Indo; giunte alla frontiera si accorsero che gli aiuti promessi dagli alleati non esistevano, il comandante inglese dovette chiedere rinforzi e così riuscì a conquistare Kabul e a far prigioniero il regnante afgano. Poi si abbatté sugli invasori la solita maledizione di questo paese, che ben conosciamo da recenti vicende: agguati, imboscate, un’incessante guerriglia inflissero agli occupanti perdite intollerabili e costi esorbitanti; nel dicembre 1841 l’esercito inglese si dovette ritirare falcidiato dal gelo e dagli attacchi afgani, quasi 16000 uomini morirono o si sbandarono.

Il disastro afgano spinse gli inglesi a trovare altrove un compenso; durante la campagna afgana, i militari inglesi avevano ottenuto di stabilire basi logistiche nel Sind, Karachi, Hiderabad etc; terminata la spedizione, come visto, i direttori della Compagnia stimarono che il controllo del fiume Indo era essenziale per i loro programmi e, anziché ritirarsi, come pattuito, inviarono un esercito alla conquista del Sind; le forze riunite dagli emiri affrontarono con grande coraggio gli invasori nella battaglia di Miani (17 Febbraio 1943), ma furono sconfitte dalla superiorità militare avversaria, lasciando cinquemila uomini sul campo.  Occupato tutto o quasi l’odierno Pakistan, l’avido sguardo della Compagnia si rivolse all’unica zona rimasta indipendente, il Punjab (terra dei cinque fiumi), una regione dell’attuale India che si trova al confine col Pakistan; la morte del capo carismatico Ranjit Singh e le lotte di potere che seguirono avevano indebolito lo stato sikh: ciononostante le due guerre sikh 1843-45 e 1848 furono tra le più difficili e sanguinose della storia inglese in India; nella prima guerra la Compagnia lasciò sul campo quasi 20000 sepoys, poco meno nella seconda, chiusa con la battaglia di Guirat (1849), località che sembra coincidere con Alessandria Nicea, dove Alessandro duemila anni prima aveva sconfitto Poros. Il Punjab divenne inglese fino a Lahore (oggi in Pakistan), insieme al Kashmir che venne affidato ad un capo Rajput per compensarlo del tradimento dei suoi alleati sikh nello scontro decisivo: così una regione a maggioranza musulmana venne affidata ad un indù: gli attuali scontri tra India Pakistan per il controllo del Kashmir nascono anche da quella decisione.

La conquista del subcontinente era stata completata.   

La prima metà del XIX secolo era servita agli inglesi per completare e consolidare l’occupazione dell’India. A Dehli sedeva ancora un sovrano Moghul; dopo la morte nel 1809 dell’ultraottantenne e disgraziatissimo Shah Alam gli succedette il suo figlio prediletto, Akbar II e poi nel 1833 Bahadur Shah. L’imperatore risiedeva nel Forte Rosso di Dehli, riscuoteva una modesta pensione dalla Compagnia, poteva persino permettersi una piccola corte, ma nessuno si lasciava ingannare dalle apparenze, il Moghul era solo un paravento per la Compagnia; all’insediamento di Bahadur Shah, il residente inglese ebbe anche la sfrontatezza di consigliargli: “Dite ai vostri figli di cercarsi un altro lavoro”: il paravento non serviva più

La conquista del Punjab era stata portata a termine da uno dei governatori più energici ed efficienti mai visti in India, James Brown Ramsay, marchese di Dahlousie, un altro esponente della nobiltà inglese. Dopo aver concluso l’occupazione senza esitazioni e senza risparmio di vite umane, Dalhousie si preoccupò di rimettere in sesto la regione, che era una delle più ricche di tutta l’India, importando anche le tecniche di coltivazione inglesi, che incrementarono il prodotto agricolo, quindi il benessere della regione, e le entrate della Compagnia che tributò al nuovo governatore lodi e riconoscimenti, conferendogli le più ampie deleghe.

Dahlousie, sulle ali di questo successo, impostò quindi una politica di unificazione e modernizzazione di tutto il paese; le conquiste più importanti il Governatore le effettuò dopo il Punjab, senza spargimento di sangue e senza operazioni militari, semplicemente tramite l’annessione dei territori degli alleati indiani; abbiamo visto che la penetrazione inglese in India era avvenuta inizialmente in forma subdola, mantenendo sul trono dei sovrani fantoccio, per schermare il governo della Compagnia; ora questo escamotage non serve più, viene quindi presa a pretesto “l’estinzione” di una dinastia per incamerare i territori dei vari raja, nawab o sultani. Secondo l’uso e le leggi indiane, l’adozione equivaleva nei diritti ereditari alla progenie naturale; la dottrina dell’estinzione (“Doctrine of Lapse”) ideata da Dahlousie e poi adottata dalla Compagnia faceva piazza pulita di questi diritti, come pure   delle “pensioni”, anche sostanziose, che erano state riconosciute a tanti regnanti come forma di indennizzo per le terre confiscate. Ovviamente queste misure rimpinguarono le casse della Compagnia, ma lasciarono tracce di rancore e malcontento che non tarderanno ad affiorare.

Sotto il profilo della modernizzazione, l’azione di Dahlouisie fu ancora più incisiva; a lui sono dovute le prime tratte ferroviarie in India, intorno a Calcutta e Bombay, inaugurate nel 1853, oltre al programma della “Great Indian Peninsular Railway”, che sarà realizzato progressivamente negli anni successivi e costituirà il maggior lascito del potere inglese all’India; forse meno importanti, ma ugualmente significativi, furono la rete telegrafica ed il servizio postale, anch’essi avviati in quel periodo.  

Se Dahlouisie si fosse ritirato nel 1855, sarebbe ricordato ancora come un padre della patria per l’India; purtroppo l’ultimo anno del suo “regno” fu macchiato dall’errore più grossolano commesso dalla Compagnia in tutta la sua storia, l’annessione dell’Audh. L’Audh, oggi Uttar Pradesh, era una delle regioni più ricche della piana gangetica amministrata, è vero, in modo deplorevole dall’anziano re Wajid Alì; questi non oppose nessuna resistenza al comandante inglese, ma portò le sue rimostranze in tutte le sedi, da Dehli fino a Londra, dove si scontrò con un muro di indifferenza; infine tornato in patria, cominciò a tramare con le classi dirigenti, Brahmani e kshatryia, contro il regime inglese; le conseguenze di questo movimento sotterraneo si avvertiranno di lì a poco nell’insurrezione dei sepoys.

Dahlouisie, nel suo pur generoso tentativo di avvicinare l’India all’Inghilterra, aveva gravemente sottovalutato il ribollire del malcontento in tutto il paese. L’apertura del mercato indiano alle importazioni inglesi aveva, tra l’altro, causato la scomparsa della manifattura tessile, una delle attività più antiche che dava lavoro a decine di migliaia di persone, ma che non poteva reggere il confronto con il prodotto industriale proveniente da Manchester; altri rimasti senza lavoro erano i dipendenti delle varie corti regali abolite e questo toccava i sentimenti di vaste fasce della popolazione, inclusi i “sepoys” il nerbo dell’esercito della Compagnia         

 Di peggio fece, senza rendersene conto, il suo successore Lord John Canning, che appena arrivato decretò con il ”General Enlistment Act” che i soldati indiani dovessero essere obbligati a prestare servizio ovunque, non solo in prossimità della loro regione, come consuetudine; in particolare i sepoys detestavano prestare servizio oltremare, in Birmania, dove la Compagnia aveva in corso operazioni militari per la conquista del paese. Poi Canning passò a legiferare in materia di ordinamenti civili; già nel 1829 la Compagnia era intervenuta per proibire il “sati”, l’usanza per cui la vedova era costretta a salire sul rogo funebre del marito morto. Le vedove “graziate” erano state però relegate, da quel momento, all’ultimo gradino della scala sociale. Canning allora intervenne stabilendo che alle vedove fosse consentito di contrarre un nuovo matrimonio; purtroppo l’esperienza insegna che, in determinate società, qualunque mossa intesa a modificare, in genere a migliorare, la condizione della donna, tocca corde profonde dell’animo della gente; questa mossa che faceva seguito alla destituzione delle strutture politiche tradizionali, apparve a molti come il tentativo di scalzare le fondamenta più sacre della società indù e di imporre le idee degli odiati missionari cristiani.

Ma la goccia che fece traboccare il vaso fu l’adozione nell’esercito indiano, al posto della gloriosa “Brown Bess” (di lato), del nuovo fucile Enfield (in basso) a canna rigata e con capsula a percussione,  molto più efficiente e più rapido dei modelli precedenti; per accelerare la cadenza di tiro, gli ufficiali inglesi avevano istruito i soldati a lacerare con i denti l’involucro della cartuccia; non si sa chi abbia messo in circolazione la voce che la carta dell’involucro era impregnata di grasso animale, manzo o maiale, né si sa tuttora se fosse vero. Per gli indù era sacrilegio toccare carne di vacca, per i musulmani quella di maiale; per una volta le due religioni si trovarono unite contro quello che considerarono un tentativo di inglesi e missionari per corromperli ed indurli alla conversione. Così tutti gli ordini di impiegare la nuova arma venivano disattesi, i sentimenti di lealtà e la fedeltà che aveva consentito alla Compagnia di controllare 250.000 sepoys con poche migliaia di europei erano andati in frantumi.

Il 9 maggio 1857 una brigata distanza a Merut insorse, massacrando gli ufficiali inglesi, e poi fece marcia su Dehli difesa da una debole guarnigione, che gli insorti, le cui file si venivano ingrossando a vista d’occhio, non faticarono a sopraffare; Dehli venne “liberata”, il riluttante Bahadur Shah reintegrato nella dignità reale. Purtroppo gli insorti si macchiarono anche di atrocità orrende, donne e bambini inglesi vennero massacrati, altri vennero uccisi nell’insurrezione guidata dal figlio di un sovrano Rajiput deposto, che pure aveva promesso loro salva la vita: il centro del potere inglese era in pericolo. Se l’imperatore fosse stato più giovane e determinato, oppure se gli insorti fossero stati capaci di scegliersi una guida unitaria, la rivolta avrebbe potuto cambiare la storia dell’India, anche perché il moto si era esteso alle campagne; prevalsero invece le solite rivalità tra regione e regione e questo dette respiro agli inglesi. Canning ebbe il merito di non perdere la testa e con calma organizzò la riscossa; le guarnigioni di Bombay e Madras erano rimaste fedeli, rinforzi giungevano dalla madrepatria, un aiuto insperato venne anche dai sikh che aspiravano a vendicare le sconfitte subite ad opera dei sepoys  bengalesi, che, agli ordini degli inglesi avevano conquistato il Punjab nel 1848 ; i sikh da quel momento divennero fedelissimi alleati degli inglesi, furono reclutati in gran numero negli anni a seguire nelle file dell’esercito.  La repressione fu spietata, le punizioni degli insorti condotte a termine dagli inglesi con metodi che dovrebbero ripugnare ad una società civile (a destra insorti legati a bocche di cannoni).
Infine, nel settembre dello stesso anno Dehli fu riconquistata in un bagno di sangue, si stima che gli inglesi abbiano fatto quasi centomila morti, in massima tra i civili: neppure tutti gli invasori afgani, da Timur in poi, avevano fatto di peggio.

L’8 luglio 1858 Sir John Canning proclamò la pace ed il 1° Novembre dello stesso anno veniva nominato viceré; finiva il Raj, cominciava l’Impero Britannico.

(Continua)

Inserito il:24/07/2021 12:27:43
Ultimo aggiornamento:05/08/2021 10:58:53
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