Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Gerard ter Borch (Zwolle,1617 – Deventer,1681) - Ratification of the treaty of Münster - Europe after the Peace of Westphalia

 

Da Sarajevo alla Brexit - La notte d'Europa

(1) La Chimera

  di Mauro Lanzi

        “Con voce da sovrano griderà strage e scatenerà i cani della guerra”

W. Shakespeare

Può apparire azzardato accostare due eventi distanti più di un secolo l’uno dall’altro, l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando, che fu all’origine della Prima Guerra Mondiale, e l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, fatto significativo, ma fortunatamente meno drammatico e certamente con conseguenze meno tragiche, in termini di vite umane.

Esiste però un filo sottile che lega questi due fatti alla storia d’Europa ed alla sua evoluzione negli ultimi cento anni: Brexit, quali che ne siano state le sue vere motivazioni, se l’iniziativa avventata di un politico incompetente, oppure un rigurgito di un viscerale sentimento di insularità, quali che ne siano le sue reali conseguenze per entrambe le parti, ci ha comunque obbligato ad aprire gli occhi su di una realtà che abbiamo preferito ignorare per diversi decenni, illusi dalla Chimera di una resurrezione politica ed economica del Vecchio Continente, basata su una sua ritrovata unità, da raggiungersi in tempi brevi, attraverso un processo  di progressiva integrazione.

La realtà di oggi ci dice che il processo di integrazione non è affatto irreversibile, l’Europa è ancora una entità secondaria nel panorama mondiale, molto incoerente e certo molto lontana dai fasti di un tempo, e che i motivi profondi che condussero il Continente ad una guerra dissennata nel 1914 potrebbero essere in qualche misura ancora presenti e determinanti nello scenario politico attuale.

Ma soprattutto Brexit ci induce a ricordare un’altra Chimera, quella che cullava i sonni di un’Europa, che negli anni di inizio '900, aveva raggiunto, forse senza rendersene conto, il punto più alto nella propria storia; la Chimera di una sostanziale stabilizzazione del quadro politico internazionale, di un equilibrio sempre ritrovato dopo pazienti mediazioni, di comuni interessi economici, finanziari e dinastici che legavano i protagonisti della scena europea e mondiale e che facevano apparire una grande guerra  improbabile e antistorica soluzione di qualsiasi crisi, di un progresso tecnico ed economico apparentemente inarrestabile, di un benessere crescente ed esteso a sempre più vasti settori della popolazione.

Allora è in questo sogno che dobbiamo specchiarci per comprendere i motivi della sua fragilità e scoprire le analogie che oggi si ripresentano nella realtà attuale, a partire dalla cieca fiducia nel progresso tecnico e nella crescita lineare dell’economia, per continuare con la convinzione che la pace possa riposare sull’equilibrio delle forze, o, peggio, che una guerra possa essere vanificata dalle litanie pacifiste che ci sono quotidianamente propinate.

Nessuno sembra ricordare che i movimenti pacifisti erano forti e diffusi anche alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, eppure la guerra scoppiò ugualmente, nessuno vuole guardare in faccia ad una scomoda verità, cioè che tragedie così immani, come una Guerra Mondiale, non scaturiscono da episodi, non possono essere esorcizzate in eterno da mediazioni o accorgimenti politici o da invocazioni pacifiste, proprio perché segnalano l’esaurirsi di un modello politico, nella fattispecie la società degli “Stati vestfaliani” (la definizione è di Henry Kissinger, “The World order”), nata dalla pace omonima e dominante ancora, come Brexit insegna, la realtà politica attuale.

Vale quindi la pena ripercorrere ed analizzare, “sine ira et studio”, come suggeriva il grande Tacito, i passi che hanno precipitato il mondo nell’immane tragedia della guerra ed hanno distrutto le speranze o meglio le certezze non di una nazione, ma di un intero continente. 

L’Europa, che si presenta alle soglie del ventesimo secolo, nasce dalla pace di Vestfalia, siglata nel 1648 tra tutti gli stati europei, che certifica la fine dell’Impero Universale della Cristianità, vagheggiato dagli imperatori tedeschi del primo medioevo e resuscitato, dopo Carlo V, dalle monarchie asburgiche di Austria e Spagna; il modello politico che esce da quella pace contempla una comunità di stati indipendenti, sovrani nell’ambito dei propri confini, capaci di gestire autonomamente le proprie risorse e determinare, in relazione alle stesse, gli obiettivi da porsi, non più in prospettiva  di una visione universale, ma in funzione di ambizioni e di appetiti territoriali limitati ( da rileggere la brillante analisi che ne fa Kissinger); corollario ineluttabile di questo modello politico sono i sistemi di alleanze, alleanze a geometria variabile, intese a garantire l’equilibrio del sistema, impedendo che un singolo stato possa prevalere sugli altri.

L’unico strappo, tentato dall’impero Napoleonico, fu presto ricucito nell’ambito del concerto europeo orchestrato da Metternich.

Questo ordinamento politico, per quanto incoerente, litigioso e caotico, si rivela comunque capace di liberare energie, propensione al progresso tecnico ed economico, espansione territoriale; così al termine del XIX secolo il modello politico vestfaliano giunge al culmine della sua parabola: l'Europa, intesa come somma dei singoli Stati, raggiunge, senza rendersene conto, il punto più alto nella propria storia;  pensate che, mentre all’inizio dell’ottocento gli Stati Europei controllavano il 35% del territorio mondiale, all’inizio del ‘900 la percentuale aveva raggiunto l’84%, un’espansione tanto rapida quanto brutale.

Nel secolo precedente si era assistito alla grande spartizione dell’Africa, principalmente tra Inghilterra, Francia, Belgio e Portogallo, alla conquista del Caucaso e della Siberia da parte della Russia, alla espansione coloniale in Asia , con il dominio inglese in India e Siam, olandese in Indonesia, con l’occupazione multilaterale della Cina, dopo la rivolta dei Boxer.

Con un’ininterrotta serie di rapine, in pochi decenni, i governi Europei avevano concentrato nelle proprie mani un potere senza precedenti sugli uomini e sulle risorse materiali, un controllo pressoché assoluto del commercio e della finanza mondiali, un predominio incontrastato in campo militare. Anche se all’orizzonte si cominciavano a delineare nuove potenze , in particolare il Giappone e gli Stati Uniti  è un fatto che l’Europa, come somma di Stati indipendenti, dominava il mondo come mai accaduto in precedenza.

Corollario del potere politico era stato un impetuoso sviluppo economico, sospinto dalla seconda Rivoluzione industriale, partita dall’Inghilterra, ma diffusa su tutto il continente, che aveva moltiplicato la ricchezza delle nazioni: basti pensare all’estensione della rete ferroviaria, catalizzatore essenziale della crescita, che era passata dai 22000 km del 1850 ai 290.000 del 1900.  Lo sviluppo industriale era sospinto anche da una prodigiosa successione di invenzioni e innovazioni tecnologiche,  che  ancora oggi  ci suonano familiari.  Solo per ricordare alcuni nomi: 1861, Isaac Singer, macchina da cucire, 1856 Pasteur, pastorizzazione, 1866 August Otto, motore a combustione interna, 1885 Karl Benz automobile, 1886, Gottlieb Daimler primo veicolo a 4 ruote, 1892 Rudolf Diesel motore diesel. E poi, a cavallo dei due secoli, Lumiere, Marconi, Roengten,  Nikola Tesla,  i coniugi Curie, solo per fare alcuni nomi noti a tutti.

Di pari passo avanzava un grande rinnovamento culturale, con  la prodigiosa fioritura delle correnti  pittoriche a Parigi, impressionismo, cubismo, astrattismo; con  la straordinaria stagione del pensiero filosofico, soprattutto tedesco, dopo il genio immenso di Kant, il movimento idealista con Fichte, Hegel, Schopenhauer, il nichilismo con Nietsche , il materialismo con Karl Marx:  con il grande momento della letteratura che esprime giganti come Thomas Mann, Emile Zola, Oscar Wilde, Gabriele D’Annunzio. Non era mai esistito prima, forse solo nel Rinascimento Italiano, e certo  non esisterà mai più un tale crogiuolo di idee, accompagnato da   una  tale supremazia, politica e culturale , in cui le varie componenti interagivano per creare nuovo progresso.

Era tutto qui, l’Europa era il centro, il cuore pulsante del mondo ed oggi non possiamo non stupirci nel contemplare il baratro che separa questa da quella Europa.

L'ottimismo, la fiducia nel futuro, che appaiono i caratteri più rilevanti di quella società, non avrebbero avuto ragione di esistere se non in presenza di una sostanziale stabilità di tutto il continente in campo politico diplomatico; tutte le case regnanti europee erano legate da vincoli di parentela, anche molto stretti: il Kaiser, Guglielmo II, era nipote della regina Vittoria, quindi cugino di Giorgio V. La bisnonna dello zar Nicola II era Carlotta di Prussia, sorella di Gugliemo I, la moglie Alessandria d’Assia era tedesca, imparentata con gli Hohenzollern ed era anche lei nipote di Vittoria. Su tre reami balcanici, Bulgaria, Romania e Grecia  regnavano monarchi tedeschi, discendenti da rami diversi della casata degli Hohenzollern.

Grazie alla rapidità di spostamento consentita dalla rete ferroviaria, frequenti erano le occasioni d’incontro tra i regnanti, gli abboccamenti tra esponenti politici di rilievo, che si conoscevano spesso personalmente, come i convegni multilaterali per trattare gli argomenti più spinosi: di fatto, dopo la guerra franco prussiana del 1870 (comunque limitata a due stati), non si erano verificati altri conflitti di rilievo e la diplomazia si era dimostrata capace di gestire le ricorrenti,anche gravi crisi tra le grandi potenze.  Esistevano, cioè, numerosi fattori politici ed economici che parlavano in favore di una stabilizzazione del quadro internazionale, al punto che alcuni osservatori teorizzavano l'impossibilità di rotture traumatiche, visto il peso preponderante dei comuni interessi,degli investimenti,dell'interscambio che vincolava gli uni agli altri i protagonisti della scena europea: ma non si ragionava così anche alla vigilia della Brexit?

Ai tempi di cui parliamo, questo ottimismo si dimostrò mal riposto, i pilastri su cui riposava l’equilibrio politico europeo erano stati erosi, come vedremo, dalle vicende, anche oscure o poco conosciute, degli anni precedenti, i vincoli economici e finanziari furono travolti da fattori emotivi, la razionalità sommersa dall’imponderabile.

Pur tuttavia è lecito chiedersi come si sia potuti giungere al suicidio di un intero continente e della sua civiltà. E ancora, come è potuto accadere che eventi di inusitata gravità abbiano avuto inizio da un fatto di cronaca, tutto sommato, non eccezionale per quei tempi, come un attentato.

Ma tanto bastò per scatenare i cani della guerra.

(Continua)

 

Inserito il:28/04/2017 08:56:19
Ultimo aggiornamento:04/05/2017 19:04:48
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