Aggiornato al 08/10/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

 

IA e occupazione (seconda parte)

Tra innovazioni e implicazioni sociali ed economiche

di Massimo di Virgilio

 

Leggendo e rileggendo le considerazioni espresse nella prima parte, si palesano chiaramente molte incertezze e altrettante preoccupazioni; molti dubbi si accavallano per diverse motivazioni di ordine economico, etico, sociale e culturale. Forse sarebbe opportuno riflettere sia sui modelli di sviluppo industriale che, vista la pubblicistica imperante, stiamo probabilmente correndo il rischio di assumere come verità apodittiche, sia sulle implicazioni dell’IA che, a seconda delle fonti, siamo portati a catalogare, forse con eccessiva fretta e superficialità in termini manichei.

Il solo dato su cui sembra esserci una concordanza di vedute riguarda le previsioni che danno addirittura già per scontato, che ad essere maggiormente colpite saranno le persone occupate in posti di lavoro con salari e requisiti formativi più bassi; il che naturalmente non può non imporre lo sviluppo di adeguati ragionamenti. A maggior ragione se a disegnare questi scenari non sono sindacati o partiti politici, vicini alle masse lavoratrici e ai loro bisogni, ma Goldman Sachs e McKinsey, due realtà internazionali di prima grandezza, da sempre estremamente attente nell’analisi di questi fenomeni, oltre che molto attrezzate sia sulle questioni economiche, finanziarie, industriali e tecnologiche, sia sulle dinamiche e le implicazioni indotte sull’occupazione dalle grandi trasformazioni in corso.

Per quanto attiene il mondo del business è evidente che si apre per l’IA una corsa all’oro: si stima che la spesa globale passerà dai 154mld$ nel 2023 (+26,9% vs 2022) a 300mld$ nel 2026, generando 97 milioni di nuovi posti di lavoro, mettendone però parallelamente a rischio 85 milioni, cioè quasi altrettanti; il 18% è la percentuale delle mansioni che potrebbero essere automatizzate dall’IA; tra le categorie maggiormente a rischio dipendenti d’ufficio, amministrativi, ingegneri (previsione questa decisamente sorprendente), architetti e avvocati. È altrettanto chiaro che si scaveranno nuovi solchi tra i diversi Paesi; probabilmente si accentueranno i già grandi divari esistenti, soprattutto a danno di quelli che non saranno capaci di attrezzarsi adeguatamente per sostenere l’arrivo di questa enorme ondata.

Un Paese come il nostro non potrà non soffrirne, considerate la debolezza cronica dei bilanci dello Stato italiano, l’enorme entità del debito pubblico, la mancanza di piani programmatici, l’assenza di una domanda pubblica strutturata in grado di accompagnare grandi processi di cambiamento, le difficoltà del mondo universitario, snodo ideale e naturale di un grande processo di cambiamento, purtroppo, però, privo di mezzi adeguati. Se Atene piange, Sparta non ride, visto che anche il mondo delle imprese, tranne una serie di splendide realtà, sconta analogamente ritardi cronici. Si avvertono l’assenza di campioni nazionali di caratura adeguata, e in particolare, proprio nel settore ict, cui si accompagnano livelli di frammentazione eccessivi e dimensioni lillipuziane, che limitano la capacità di finanziamento di processi di innovazione, coerenti con la trasformazione digitale in corso. Il mondo costituito da startup e scale up ha gradienti di crescita inferiori rispetto a quelle dei paesi più avanzati, gap che crescono ancor più nel caso degli unicorni. A tutto ciò si aggiungano anche alcuni ritardi culturali che impediscono la ricerca di modelli innovativi  (e.g. di aggregazione reticolare).

Sommando tutte queste considerazioni a quelle di G.Hinton, riportate in precedenza, in ordine ai cambiamenti che l’IA porterà con sé in modo travolgente, emerge pressante la necessità di una maggiore attenzione da parte delle istituzioni, dei governi, della spesso invocata, ma sempre più evanescente, classe dirigente, degli addetti ai lavori, delle associazioni e dell’opinione pubblica nel suo complesso. In attesa altresì di misurare gli effetti, positivi o meno, dell’AI Act europeo, pur auspicando che questo modello regolatorio possa essere in grado di evitare potenziali scivolamenti molto pericolosi, sarà bene distogliere chicchessia dal pensare che questioni così complesse e delicate possano essere risolte solo a livello normativo; anche perché le big tech cercheranno in ogni modo, con i loro mezzi esorbitanti, di contrastarne gli effetti, come dimostrano le richieste di mitigazione delle conseguenze, indotte da un accumulo di leggi e direttive, avanzate da parte di E. Musk, nel recente viaggio di giugno scorso in Europa e in Italia.

È evidente che stiamo attraversando un crinale molto rischioso; per l’ennesima volta ci troviamo di fronte ad un bivio che è anche un dilemma: da un lato, si profila una grande occasione per provare non solo ad immaginare il futuro, ma anche per cercare di “metterci mano”, attrezzandoci a recitare un ruolo che ci consenta di evitare ulteriori declini e, dall’altro, incombe l’ennesima nube che ci condannerà, forse, a restare confusamente nelle retrovie.

Tutto ciò mi fa tornare alla mente la frase “i treni continuano a passare2, pronunciata dal prof. A. De Maio, Rettore del Politecnico di Milano tra il 1994 e il 2002, che ossessionandomi, uso spesso, forse anche troppo; mi preoccupa ancor più la chiosa aggiunta da qualcuno che non ricordo “e noi continuiamo a perderli”; una sintesi decisamente molto amara, visti i fatti, che non fa onore alle tante persone di grandi competenze e capacità di cui l’Italia è ricca. C’è bisogno di un forte scuotimento, per gestire diversamente dal passato la nuova discontinuità che l’IA porta con sé; come sostengono Goldman e McKinsey e, come d’altronde dimostrano i dati registrati nei periodi seguiti a ogni grande rivoluzione industriale, ci sarà una quantità di persone che usciranno dal circuito produttivo o che dovranno essere riconvertite.

Peccato, però, che ogni volta non si riesca a capire perché le scorie e gli oneri non vengano equamente ripartiti, sostenuti e gestiti da tutte le diverse forze in campo, pubbliche e private, industriali e finanziarie, singole e collettive, e perché le riconversioni non vengano modulate con analoghi criteri. Se non vedrà la luce un nuovo approccio culturale con il quale si possa mettere in discussione il modello socio-tecno-economico imperante, che dà sempre per scontate moltissime e importantissime questioni, la Venere di Pistoletto, recentemente bruciata (sic!), sarà condannata ad arricchirsi di una ulteriore quantità di stracci; peccato però che questi cenci siano persone.

Dobbiamo convincerci a rigettare ricette che non sono scolpite nella pietra, come lasciano intendere tanti studi; occorre altresì attrezzarsi a riflettere criticamente sulle arti dei “geni” del marketing, che hanno accompagnato a livello planetario il lancio di ChatGPT. Dico questo perché il cosiddetto “capitalismo dei dati”, facendo mio un termine usato dal Prof. Donato Limone, è naturalmente libero di manifestare urbi et orbi il suo verbo, offrendo una narrazione di parte, ma spetta a ciascuno di noi non cadere nella trappola che ci porta a leggere la realtà con gli occhiali di cui ci hanno forzatamente dotati, impegnandoci ad utilizzare una buona volta per tutte la capacità critica di cui siamo ricchi.

E, proprio prendendo spunto da quanto dice G.Hinton: “Se ho 1.000 agenti digitali che sono tutti cloni esatti con pesi identici, ogni volta che un agente impara a fare qualcosa, lo sanno tutti immediatamente perché condividono i pesi, gli agenti biologici non possono farlo3, dovremo saper utilizzare questo suo insegnamento per dar vita noi ad una nuova ingegneria sociale, capace di aggregare gli agenti biologici, come li chiama lui, con una IA a supporto e sostegno delle persone in una combinazione diadica, cioè “aumentata” e complementare, in cui entrambe le componenti possano svolgere al meglio la loro precipua funzione.

Chiudo testardamente con una domanda, riprendendo quanto ho scritto in un mio precedente articolo: in altre epoche (1890), per combattere una asimmetria analoga a quella attuale, gli U.S.A. vararono lo Sherman Act, la prima legge antitrust; perché oggi non se ne parla? Non sarebbe il caso di rileggerla, naturalmente contestualizzandola a un mondo e a tecnologie totalmente diverse?

Ultime notizie: venerdì 17 settembre u.s., Sam Altman, Co-fondatore e CEO di OpenAI, viene silurato dal suo Consiglio di Amministrazione; lunedì 20 novembre, Satya Nadella, CEO di Microsoft, annuncia che Sam guiderà un nuovo laboratorio di ricerca sull’Intelligenza Artificiale dell’azienda.

Il mondo corre........

 

Novembre 2023

1 D.MANCA, G.M.VERONA, “Luci e ombre dell'intelligenza artificiale: dall'assenza di regole globali agli investimenti troppo frammentati”, LogIn 29 maggio 2023

2 M.VITALE, “Bit generation (prefazione)”, Editori Riuniti, Roma, 2004

3 T.DAEMON, “Godfather Of A.I.’ Leaves Google After A Decade To Warn Society Of Technology He’s Touted”, Globe Echo, May, 1, 2023

 

Inserito il:21/11/2023 09:41:38
Ultimo aggiornamento:21/11/2023 10:09:45
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