Aggiornato al 12/11/2025

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Voltaire

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La “distruzione creatrice” crea l’innovazione

di Bruno Lamborghini

 

La recente assegnazione del Nobel per l’economia a tre economisti dell’innovazione, Philippe Aghion,Peter Howitt e Joel Mokyr, ha riaperto il dibattito sul tema dell’impatto dell’innovazione per lo sviluppo, un tema che in anni passati è stato al centro dell’interesse della politica economica grazie alle teorie di Joseph Schumpeter  sulla “distruzione creatrice”, cioè la necessità che ogni vera innovazione sia al contempo fattore di distruzione di gran parte dei contenuti del passato e creatrice del nuovo.  Schumpeter aveva scritto di questo già nel 1943 con la pubblicazione di un testo classico “Capitalismo, socialismo e democrazia “, erano gli anni in cui si incrociavano i confronti tra marxismo, socialismo e capitalismo, in una Europa in guerra.

Gli esempi delle grandi innovazioni nella storia industriale sono numerosi a partire dalla macchina a vapore o del motore a scoppio con la sostituzione delle carrozze a cavalli o dei tradizionali telai tessili, ma l’elenco è lungo. In sostanza, tutta la storia umana ha proceduto per continue innovazioni tecnologiche e organizzative che hanno creato il nuovo sostituendo strutture precedenti con impatto in particolare sul lavoro umano, generando spesso grandi preoccupazioni sui rischi di riduzione di attività lavorative, mentre in realtà tutte le ondate innovative, dopo incertezze e difficoltà nelle fasi iniziali, hanno sempre determinato lo sviluppo di nuove attività lavorative.

Oggi si discute dei possibili effetti della diffusione dell’intelligenza artificiale generativa con rischi di riduzione o sostituzione di lavoro, ma di massima si tende a prospettare, accanto alla riduzione di lavori poco qualificati, lo sviluppo di nuove attività e nuove competenze professionali.

Le ricerche dei tre economisti hanno messo in evidenza che i processi innovativi sono determinati soprattutto dal progresso tecnologico assieme ed in parallelo con alcuni cambiamenti sociali e culturali che si autodeterminano. Mokyr sostiene che l’innovazione è determinata da cambiamenti culturali attraverso cicli dinamici continui, che generano quindi una reciprocità dinamica tra innovazione tecnologica ed innovazione culturale. 

Il processo  di “distruzione creatrice” va considerato un evento naturale nella storia umana attraverso fasi successive di innovazione trasformativa e, se ben gestito, non va frenato, perché si rischia di ridurne gli effetti sullo sviluppo economico, aggravando il contesto sociale e aumentando i costi di una trasformazione incompleta e si rischia di determinare effetti di mancato sviluppo e di inadeguato ricambio delle forme del lavoro, gap occupazionali, mancato rinnovo delle professioni nei tempi e nelle modalità necessarie.

La grande ondata di radicali evoluzioni tecnologiche determinata dalle tecnologie elettroniche, informatiche e digitali, ha comportato e comporta radicali cambiamenti organizzativi e sociali caratterizzati da una elevata ed imprevedibile velocità dell’innovazione determinando difficoltà nei cambiamenti organizzativi e sociali quasi sempre non in grado di adattarsi alla stessa velocità. e per questo talvolta prevale solo l’effetto della distruzione rispetto alla creazione innovativa.

Gli studi sull’innovazione ripropongono domande sulle ragioni dei ritardi innovativi di alcuni settori o paesi rispetto ad altri paesi più in grado di sviluppare e cogliere gli effetti di processi innovativi anche radicali o viceversa quali sono le ragioni che determinano in alcuni paesi una relativa leadership innovativa. E questa domanda immediatamente viene posta con riferimento al fatto che negli ultimi decenni i paesi europei sono apparsi in netto ritardo innovativo rispetto agli Stati Uniti ed ora anche rispetto alla Cina. 

La maggiore capacità innovativa degli Stati Uniti viene spiegata in termini di grande libertà e promozione dell’imprenditorialità, non a caso sono la patria delle startup e del venture capital, grazie all’accesso alla finanza a rischio che facilita gli investimenti e la nascita di nuove imprese. Inoltre in USA il fallimento non è considerato come marchio negativo, ma al contrario l’effetto innovativo della “distruzione creatrice”.

Si facilita in USA una elevata concorrenzialità assieme alla crescita dimensionale, un ridotto intervento dello stato (salvo i grandi programmi militari quale fonte di innovazione nel privato), un grande mercato unificato, un elevato turnover occupazionale, una cultura ed una mentalità aperta all’obiettivo costante della ricerca di nuove frontiere (prosegue il Far West) che significa la ricerca continua di innovazione in tutti i settori e soprattutto il contrasto a vincoli e regole che frenano l’imprenditorialità. Come del resto Trump può essere considerato l’espressione di questo spirito americano in forma ancor più accentuata e irrituale. 

Alcuni studi recenti hanno cercato di interpretare le ragioni dello straordinario sviluppo innovativo della Cina partendo dal ruolo centrale che hanno le politiche industriali gestite direttamente dal governo cinese, attraverso pesanti interventi pubblici all’opposto di quanto avviene negli Stati Uniti.

Il governo cinese indirizza la politica industriale e gli aiuti pubblici verso specifici settori industriali utilizzando sostegni finanziari, agevolazioni fiscali, vincoli e interventi regolatori, non solo sull’offerta, ma anche sulla domanda di mercato e l’insieme degli interventi pubblici è stato valutato pari al 4% del PIL cinese. Alcuni effetti sono evidenti, ad esempio lo sviluppo industriale nel settore delle energie rinnovabili; nel fotovoltaico la Cina è divenuta leader mondiale, così come nello sviluppo delle batterie per auto e sta crescendo nelle auto elettriche conquistando li mercato internazionale.

Gli interventi a favore delle auto elettriche si sono basati anche sul controllo del traffico automobilistico cinese imponendo l’uso di auto elettriche attraverso vincoli alla concessione di targhe solo alle auto elettriche in tal modo favorendo anche obbiettivi ecologici (lo smog prodotto dal traffico a Pechino è di fatto sparito). Anche l’attività delle imprese private o semipubbliche cinesi in specie nell’high tech è influenzata direttamente o indirettamente dal governo promuovendo e determinando la diffusione degli smart phones e dei pagamenti elettronici e soprattutto il controllo delle banche dati retail e industriali per promuovere crescita assieme alla gestione degli stessi dati per i centri di informazione governativi.

Accanto a successi evidenti l‘interventismo del governo cinese ha fatto registrare anche clamorosi insuccessi come nel campo delle costruzioni in cui si è promossa una intensa edilizia urbana senza valutarne l’effettiva richiesta. Gli studi cui si è fatto riferimento hanno infatti messo in evidenza alcune conseguenze negative prodotte dagli interventi pubblici nelle politiche industriali in Cina come il rischio della creazione di mercati artificiali e fenomeni di eccessivo interventismo e limitazione all’attività imprenditoriale  con conseguenze spesso di errate decisioni, inefficaci od errati interventi innovativi o sprechi di risorse che hanno determinato effetti ridotti o limitazioni nello sviluppo innovativo che peraltro ha trovato altre modalità per consentire di raggiungere gli obiettivi preposti.

In conclusione, il confronto tra le due aree mondiali che guidano i maggiori processi innovativi, Usa e Cina, mostra due approcci opposti: da un lato la  concretizzazione almeno in parte in USA della teoria schumpeteriana della “distruzione creatrice” quale motore dell’innovazione e dall’altro il massiccio intervento regolatorio governativo che sfrutta principalmente la grande dimensione del mercato cinese per introdurre processi innovativi secondo schemi definiti centralmente o consentendo il manifestarsi di imprenditorialità privata oggetto di controlli o indirizzamenti ex post da parte pubblica, con conseguenze spesso imprevedibili.     

Venendo all’Europa e all’Italia, la ricostruzione postbellica ha messo in moto forti spinte innovative dalla chimica alle materie plastiche, alla meccanica, allo sviluppo di nuovi prodotti attraverso imprese pubbliche e imprese private. Queste spinte fortemente innovative sono andate poi riducendosi a partire dagli anni ‘80 a causa soprattutto della frammentazione dei mercati nazionali nonostante la creazione dell’Unione Europea ed il tentativo di generare un mercato unico, con grandi difficoltà per cui non è stata sufficiente l’eliminazione dei dazi tra i paesi, persistendo forti barriere non tariffarie tra i diversi paesi.

Questo ha determinato la mancata crescita di grandi corporation sul modello americano, come di programmi europei di ricerca e addirittura ponendo da parte delle politiche europee ostacoli a fusioni tra imprese e tra banche dei diversi paesi e limitando la concorrenza. L’Unione europea è divenuta fonte di vincoli, procedure, regolamentazioni che limitano o impediscono la libertà d’impresa. La mancata unificazione bancaria e creazione del mercato unico dei capitali ha soffocato la possibilità della crescita in Europa della finanza a rischio, con effetti disastrosi sulla possibilità di nascita di startup e nuove iniziative.

Si è cosi andata riducendo la concorrenza, lasciando spazio al mantenimento di forme oligopolistiche con presenza di incumbent in condizioni di rendita accanto alla proliferazione di piccole imprese di subfornitura che operano con processi imitativi da follower e non da leader innovativi. In più le politiche industriali quando si sono introdotte nei singoli paesi sono state determinate più da scelte pubbliche top down molto spesso senza competenze specifiche e talvolta con obiettivi di salvaguardare l’occupazione di settori e imprese in crisi strutturale, ovvero nel modo più contrario all’approccio di “distruzione creatrice” in grado di creare effettiva innovazione.

Nell’informatica e nelle telecomunicazioni il gap rispetto ad USA è stato aggravato dalla mancanza di un mercato europeo unificato, dalla tutela di gruppi oligopolistici pubblici, da limitazioni alla concorrenza ed al M&A. che caratterizzano i settori hightech. In campo scientifico sussiste una mancanza di collegamenti interattivi tra università, enti di ricerca e industria per ricerche, scambi di competenze e sviluppo di startup come avviene in USA.

La politica dell’Unione Europea dà invece priorità alla regolamentazione delle tecnologie e dei processi innovativi piuttosto che a programmi di ricerca comune e di libero scambio con effetti di freno all’innovazione, alla concorrenza ed alla nascita di nuove imprese. E’ noto il particolare impegno della Commissione Europea a definire direttive regolatorie per l’Intelligenza artificiale (A.I. Act), che rischiano invece di creare difficoltà e ostacoli alle imprese nel confronto con imprese e mercati di paesi senza vincoli e regolamentazioni in materia di A.I. e data center.

Il Rapporto Draghi sulla competitività dell’Europa ha denunciato chiaramente le ragioni della perdita di innovazione e di competitività dell’Europa, proponendo l’urgenza di unificare il mercato dei capitali, un grande impegno comune di investimenti in ricerca e innovazione soprattutto nelle aree hightech sostenuti da Eurobonds, l’accelerazione del processo di unificazione dei mercati nazionali. L’aggravarsi del conflitto in Ucraina e la necessità di accrescere le spese Nato spingono verso una possibile difesa comune europea che potrebbe portare anche verso una effettiva maggiore integrazione europea in altri campi, pur nel contesto di ancor profonde distanze all’interno dell‘Unione.   

Di fronte alle sfide dei grandi cambiamenti tecnologici e ambientali in atto i paesi europei sembrano non rendersi conto del rischio di un rapido declino del loro sviluppo se non sapranno accettare la strada dell’innovazione continua che richiede di adottare un approccio culturale e una gestione della “distruzione creatrice” quale motore dell’innovazione riproposto dai tre Nobel dell’economia, pur salvaguardando i principali valori che caratterizzano l’Europa, la tutela ed il rispetto dei valori umani e del lavoro delle persone assieme alla tutela dell’ambiente naturale. Il modello di “economia sociale di mercato” sviluppato come alternativa europea al liberismo capitalistico per accogliere parte degli obiettivi dei modelli socialisti, ha peraltro determinato forti interventi statali ed eccessi regolatori, anche per l’azione sovranazionale dell’Unione Europea, che di fatto frenano l’innovazione e di conseguenza lo sviluppo.  

La cultura europea per sua natura da secoli è aperta all’invenzione ed all’innovazione creatrice, come dimostrano gli scienziati e i manager europei (ed in specie quelli italiani) che operano con innovazione e successo in USA ed in altri paesi, ma per svolgere un ruolo efficace deve poter trovare condizioni di ambiente e di politiche che favoriscano almeno in parte e non ostacolino l’accettazione del principio della “distruzione creatrice”, secondo il modello schumpeteriano riproposto ora dai tre economisti premiati.

 

Inserito il:03/11/2025 15:41:10
Ultimo aggiornamento:03/11/2025 18:45:55
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