Aggiornato al 29/06/2025

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Voltaire

Immagine realizzata con strumenti di Intelligenza Artificiale

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Il rischio che l’Intelligenza Artificiale amplifichi i nostri errori

di Achille De Tommaso

 

L’IA è spesso specchio della nostra mente imperfetta

L’intelligenza artificiale, per quanto sofisticata, non nasce nel vuoto. È figlia della nostra cultura, del nostro linguaggio, dei nostri dati. E in questi dati — apparentemente oggettivi — si annidano errori, omissioni e distorsioni che riflettono secoli di storia, di abitudini cognitive e di pregiudizi sociali. L’IA, istruita su questa materia prima umana, ha imparato non solo a riconoscere pattern utili, ma anche a replicare i nostri errori con straordinaria efficienza.

Il motivo è semplice: ciò che chiamiamo "bias" non è un errore tecnico, ma una verità statistica estratta da un mondo già squilibrato. Se nei dataset abbondano rappresentazioni distorte — ad esempio, più uomini che donne nei ruoli di comando, più arresti nelle aree povere, meno visibilità per minoranze linguistiche o etniche — l’IA apprende e restituisce quella stessa visione, senza comprenderne il contesto storico o l’ingiustizia sottostante.

L’algoritmo non è razzista: è cieco

Gli esempi sono ormai noti e inquietanti: algoritmi di selezione del personale che penalizzano sistematicamente candidati in base al genere o all’origine etnica; software predittivi utilizzati nella giustizia penale che attribuiscono livelli di rischio più alti alle minoranze; meccanismi pubblicitari che associano determinati prodotti solo a gruppi socioeconomici specifici. L’IA non "decide" di discriminare — lo fa perché ha imparato da dati che portano in sé l’impronta della discriminazione.

A differenza di un essere umano, tuttavia, un algoritmo non possiede né coscienza morale né senso critico: non sa di sbagliare. E soprattutto, non sa quando sta sbagliando. Questa mancanza di consapevolezza rende i bias ancora più pericolosi: non più solo errori umani, ma automatismi replicati su scala e con frequenza superiori a qualsiasi azione umana.

Il rischio dei circuiti viziosi

Nel cuore di questo problema si trova il fenomeno del feedback loop algoritmico. Un sistema di IA, una volta addestrato su dati già sbilanciati, inizia a produrre previsioni o raccomandazioni che rinforzano i medesimi bias. Se una polizia predittiva identifica un quartiere come “a rischio”, aumentano i controlli e, quindi, gli arresti. Quegli arresti diventano nuovi dati che confermano la pericolosità del quartiere, alimentando un circolo vizioso difficile da spezzare.

Similmente, un sistema di valutazione creditizia che penalizza storicamente alcune fasce di popolazione continuerà a negare loro accesso al credito, ostacolandone l’avanzamento economico e consolidando disuguaglianze già esistenti.

NeuroAI: imitare il cervello non basta

Il futuro della ricerca in IA si sta spostando verso la cosiddetta NeuroAI, ovvero la progettazione di modelli ispirati alla struttura e al funzionamento del cervello umano. Ma anche qui si nasconde una trappola: la nostra mente, per quanto prodigiosa, non è affatto priva di errori. Le nostre euristiche — cioè le scorciatoie mentali che usiamo per prendere decisioni rapide — sono spesso fallaci. La nostra percezione è piena di illusioni. I nostri giudizi si basano su esperienze limitate, e la nostra razionalità è spesso contaminata da emozioni, ideologie, desideri.

Replicare la struttura del cervello, senza una piena comprensione dei suoi limiti, rischia di costruire IA che non solo pensano "come noi", ma sbagliano "come noi" — senza neppure la capacità di riconoscere il proprio errore.

La sfida: costruire IA consapevoli dei propri limiti

La vera frontiera non è creare intelligenze artificiali più veloci o più potenti. È costruire intelligenze artificiali più consapevoli. L’obiettivo deve diventare quello di progettare sistemi capaci di riconoscere i propri margini di errore, di interrogarsi sull’affidabilità dei dati che li nutrono, di integrare meccanismi di controllo etico e revisioni critiche periodiche.

Servirà una nuova forma di metacognizione algoritmica: la capacità di sapere non solo cosa si sta pensando, ma come lo si sta pensando. Un tratto che nel cervello umano esiste in forma primitiva, e che nell’IA andrà costruito artificialmente, come condizione minima per un’intelligenza davvero responsabile.

In sintesi

L’intelligenza artificiale non è una mente aliena che si è insinuata nelle nostre vite. È un nostro riflesso, ingrandito. Se vogliamo che l’IA non amplifichi le nostre ombre ma ci aiuti a superarle, dobbiamo cominciare dal principio più antico e più difficile: conoscere i nostri limiti. Solo così potremo progettare macchine che non siano semplicemente più intelligenti di noi, ma — forse un giorno — anche un po’ più sagge.

***

Tratto dal mio libro:

NEUROAI Il Futuro dell’Intelligenza Artificiale: Dalla Mente Biologica ai Sistemi Cognitivi Sintetici

Ed. Amazon “Science Editions”

 

Inserito il:18/06/2025 17:58:54
Ultimo aggiornamento:19/06/2025 12:11:34
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