Aggiornato al 24/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Sue Furrow (from Salem, Virginia - United States) - Field of bees

 

La protezione delle api a tutela di vita e ambiente e la clonazione

di Vincenzo Rampolla

 

Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita, lo diceva Einstein e lo confermano anni e anni di ricerche e studi. Salvare le api significa salvare il Pianeta, perché senza le api non c’è impollinazione e senza impollinazione scompaiono piante e cibo.

Qualche anno fa è scoppiata la grande paura: come proteggere le api dalla Sindrome da Spopolamento degli Alveari. Negli Usa, nel 2007, una misteriosa epidemia si è portata via il 40% delle colonie, scatenando il panico. In Europa si stimavano al 20% le arnie lasciate vuote ogni anno, con punte regionali del 53%. È bastato poco per cancellare dai media il problema del loro destino: adattamento o evoluzione? In un’intervista ha risposto Francesco Panella, Presidente dell’Unaapi (Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani) e consigliere dell’Associazione ambientalista Bee Generation.

Non si parla più delle api, a che punto siamo oggi?

Più che altro non fa più molto notizia. È anche vero che ci siamo lasciati alle spalle l’apice del della morìa, il triennio 2005-08. All’epoca i semi di girasole e di mais venivano ovvero innaffiati con i neonicotinoidi, potentissimi insetticidi efficacia di 1g paragonabile a 7 kg di DDT. Queste sostanze, innocue per l’uomo, ma fatali per il crollo della popolazione delle api, per non parlare dell’inquinamento delle acque. Nel 2013, l’Italia prima e poi l’Europa, hanno deciso di correre ai ripari e il numero di alveari vuoti è decisamente diminuito.

Una ricerca dell’Onu di qualche anno fa stimava la perdita di circa il 90% delle coltivazioni alimentari in caso di scomparsa delle api. Calcolava anche l’incalcolabile danno economico. Le conseguenze non si limiterebbero ai supermercati vuoti, basta pensare agli Appennini, che stanno letteralmente in piedi, anche grazie alle potenti radici dei castagni: niente api uguale niente castagni, quindi continue frane. Non basta. Sarebbe la fine per lucciole e coccinelle e molti insetti che condividono lo stesso destino delle api e che riducono la presenza degli acari, voraci distruttori di tutti i germogli. Il ciclo dell’intero ecosistema entrerebbe in crisi con conseguenze inimmaginabili. Con le coltivazioni biologiche, però, sarebbe più difficile sfamare la popolazione in crescita… In realtà è un falso problema: il fatto è che nei costi dell’agricoltura intensiva non viene mai conteggiato il danno ambientale, che viene invece scaricato sulla collettività. I dati della Fao dicono che il grande incremento produttivo ottenuto grazie ai fitofarmaci e alle altre innovazioni tecnologiche dagli anni ’50 in poi, si è arrestato attorno al 2000. Quando si spruzzano sostanze chimiche su un campo succede un po’ quello che avviene con gli antibiotici: sopravvivono solo i parassiti più forti e per liberarsene, la volta dopo, bisogna incrementare le dosi. Nel frattempo gli insetti impollinatori vengono spazzati via e la produttività, al posto di aumentare, cala.

Delle api, gli studiosi hanno sempre sottolineato le caratteristiche che ne fanno modelli perfetti di organizzazione. Insetti impollinatori per eccellenza, le api depositano il polline in circa il 70% di tutte le piante al mondo; in un giorno la popolazione di un alveare può visitare fino a 225.000 fiori e, mentre si nutrono del nettare contenuto nei fiori di pianta in pianta depositano il polline che trasportano. ll ruolo delle api è fondamentale per la produzione alimentare e per l’ambiente. Insieme con altri insetti come bombi o farfalle, le api sono artefici della popolazione vegetale nel mondo.

Un terzo del nostro cibo, dice Greenpeace che ha lanciato Salviamo le api, dipende dall’impollinazione degli insetti: solo in Europa, oltre 4.000 tipi di verdure. Senza dubbio le colture più nutrienti e apprezzate della nostra dieta, molta frutta e verdura, sarebbero duramente colpite da un calo numerico degli insetti impollinatori. Purtroppo, le api sono in declino, minacciate da pesticidi, perdita di habitat, monocolture, parassiti, malattie e cambiamenti climatici. In particolare, alcuni pesticidi costituiscono un rischio diretto per gli impollinatori: l’eliminazione delle sostanze chimiche più pericolose per le api è quindi il primo e più efficace passo da adottare per difenderli”.

Per questo la loro sopravvivenza non ha a che fare solo con la produzione di miele, pappa reale, propoli e cera, ma si estende alla tutela della biodiversità e dell’ambiente. E se oggi sono sempre più in aumento gli studi che utilizzano la presenza degli alveari e la scomparsa delle api quale indicatore della salubrità ambientale (emerge il progetto BEE-Kaeser che utilizza le arnie-laboratori per misurare la qualità dell’aria in 20 città italiane), la presenza delle api è vitale per la sopravvivenza dell’umanità.

Studi di settore confermano che le api nel mondo oggi sono circa 3.600 miliardi, vivono in 60 milioni di alveari e sono accudite da 6,5 milioni di apicoltori. Il loro contributo alla produzione agricola mondiale viene stimata in circa $ 200 miliardi, mentre il loro ruolo nel mantenimento degli equilibri ambientali esula da ogni valutazione economica. Senza dubbio le colture più nutrienti e apprezzate della nostra dieta, molta frutta e verdura, sarebbero duramente colpite da un calo numerico degli insetti impollinatori. Per questo, vengono presi sempre in maggiore considerazione progetti e programmi diretti alla loro sopravvivenza. E se due mesi fa negli Stati membri UE è stata decisa la messa a bando dei neonicotinoidi in campo aperto, la strada è ancora in salita.

A livello istituzionale la proposta maggiormente condivisa è di usare le api come indicatori ecologici. Ogni insetto ha un raggio di raccolta di tre km e assimila tutte le sostanze, buone e cattive. Se la popolazione crolla bisogna pensare alla sopravvivenza. Un’attenzione che ha portato molte Associazioni a ergersi paladini delle api e l’Assemblea generale dell’ONU ha deciso di designare la Giornata mondiale delle api il 20 maggio, giorno della nascita di Anton Janša pioniere nel 1700 delle moderne tecniche di apicoltura.

La giornata mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza degli impollinatori, sulle minacce che affrontano e sul loro contributo allo sviluppo sostenibile. Ma oltre a firmare le petizioni lanciate delle Associazione per bandire pesticidi il singolo cittadino può contribuire, prediligendo una spesa a base di prodotti biologici, controllando l’origine del miele e evitando l’uso di prodotti chimici nel proprio giardino. A partire dalla vita nella propria abitazione può inoltre:

Piantare alberi per le api. Le api prendono la maggior parte del loro nettare dagli alberi. Sono, quindi, fonte di cibo per le api e habitat essenziale. Inoltre, le foglie e la resina forniscono materiale per la nidificazione e le cavità naturali del legno sono ottimi rifugi. Nello spazio del giardino ho piantato una mimosa. Ottimi anche alberi da frutta, tiglio, acero, acacia o un salice.

nutrire le apiAbbeverare le api. Per dissetarle, ho riempito una ciotola poco profonda con acqua pulita e piccoli sassi per farle poggiare e bere.

Piantare fiori graditi alle api, la mancanza di fiori da cui prelevare il nettare, soprattutto nelle aree urbane, dove le aree verdi scarseggiano ed è difficile trovare nutrimento. Anche in poco spazio, sul davanzale o in balcone, piantare fiori e piantine preferiti dalle api, meglio se di quelle che fioriscono tutto l’anno: tulipano, margherita, lavanda, timo, girasoli, malva, rosmarino, erba medica.

Evitare fertilizzanti e prodotti chimici Pesticidi sintetici, fertilizzanti, erbicidi sono nocivi, intaccano il sistema nervoso centrale dell’ape causandone la paralisi e la morte. Ricorrere a insetti benefici che allontanano i parassiti e usare terriccio senza torba (le torbiere rilasciano grandi quantità di CO2). La cura del verde urbano è essenziale: che senso ha vietare i pesticidi nei campi se poi li si sparge nei cortili delle scuole?

Scegliere prodotti locali. Acquistare miele biologico e cera d’api da un apicoltore locale aiuta a sostenerne l’attività.

Evitare il prato inglese. Scegliere il prato di fiori selvatico e optare per la varietà, con diversi tipi di fiori autoctoni. Usare piante officinali ed erbe aromatiche che attraggono le api.

Piantare una siepe invece della recinzione. Le siepi sono riparo e cibo per insetti e uccelli.

Crea dei ripari per gli insetti: i bugshotels attirano gli insetti e offrono loro una protezione.

Rimuovere gli alveari vicino alle abitazioni coinvolgendo l’apicoltore e non spruzzare mai spray tossici o cercare di allontanare le api con il fumo di fuochi.

Seguire le associazioni impegnate a proteggere le api, da Slowbees a Wwf e Legambiente.

Non si possono chiudere questi pensieri sulle api, senza menzionare la riproduzione sessuale, in particolare nelle api operaie del Capo di Buona Speranza, con i dovuti cenni tecnici. L'università di Sydney ha pubblicato uno studio su Proceedings of the Royal Society, relativo al comportamento sessuale dell'ape di Città del Capo (Apis mellifera capensis), sottospecie dell'ape europea (Apis mellifera) che vive solo in Sudafrica.

È una sottospecie unica al mondo in grado di riprodursi per partenogenesi. Il problema è che la partenogenesi si traduce rapidamente in individui che mostrano una forte consanguineità, il che induce a un'elevata mortalità. Tale comportamento viene definito dall’autore Benjamin Oldroyd genetista comportamentale un mistero vecchio di trent'anni, ora risolto grazie all'identificazione di un singolo gene responsabile [situato sul cromosoma 11]. Normalmente le femmine operaie di Apis mellifera sono in grado di deporre solo uova che danno origine a maschi, e il privilegio di generare le femmine è riservato alla regina. L'ape del Capo è unica perché le sue operaie sono capaci di deporre uova femminili per clonazione, senza bisogno di fecondazione.

Questa attività influisce sul comportamento sociale delle api, molto più aggressive delle altre sottospecie di Apis mellifera; la morte di una regina apre infatti una sorta di gara al trono, perché ogni esemplare femmina nell'alveare è in grado di dare potenzialmente alla luce la nuova regina. I ricercatori hanno osservato una linea di cloni che si perpetua in modo identico dal 1990, con centinaia di milioni di copie rimaste identiche per più di 30 anni. Con la clonazione si evita il fenomeno della ricombinazione genetica ottenuta con la partenogenesi e ogni figlia-ape è sana e esattamente identica alla madre, il che evita la mortalità.

La capacità di dare alla luce api femmine senza bisogno di fecondazione da parte dei maschi significa anche che l'ape del Capo può diventare un pericolo per le altre specie, invadendo un alveare e iniettando feromoni di regina alle api locali per nutrire le proprie larve, sottraendo il cibo a quelle locali. In Sudafrica, una media di 10.000 colonie di api da allevamento sono morte a causa delle api parassite del Capo, più intente a deporre uova che ai propri compiti.

Secondo Laurent Keller dell'Università di Losanna, l'evoluzione è semplicemente selezionare ciò che va bene in un dato momento, con esultanza di Darwin dall’Abbazia di Westminster.

(consultazione:    rosa oliveri - rossana caviglioli, maria enza zannetto - wisesociety; francesco panella - presidente unaapi -unione nazionale associazioni apicultori italiani; lega ambiente; slowbees; wwf; benjamin oldroyd - proceedings of the royal society; céline deluzarche – futura science; libro: la rivoluzione delle api - sottotitolo come salvare l’alimentazione e l’agricoltura; gabriele ferrari)

 

Inserito il:28/07/2021 16:03:40
Ultimo aggiornamento:28/07/2021 16:28:49
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