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Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire
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Aneta Solecka (Contemporanea - Polonia) – Schizofrenia – Acrilico – 2012 ca

Il problema della diagnosi differenziale in Psichiatria.

Uno dei dilemmi di noi psichiatri è la diagnostica differenziale.

Già fare diagnosi in Psichiatria è spesso, di per sé, un problema, vista, spesso, la soggettività dell’interpretazione di alcuni quadri sintomatologici e l’impossibilità di utilizzare strumenti diagnostici oggettivi come avviene in altri campi della Medicina. Ed è per questo, cioè per parlare un linguaggio comune ed “in comune”, che vengono adottati dei manuali che consentono, raggruppando i sintomi, di condurre ad una diagnosi, seppur riducendola, spesso, purtroppo, ad una elencazione sintomatologica. Comunque essi sono indispensabili proprio per potersi “capire” quando si parli di un quadro clinico.
Una diagnosi “categoriale” di questo tipo, cioè per categorie diagnostiche, è stata superata (in parte) da una diagnosi di tipo dimensionale, cioè per dimensioni cliniche, come sarebbe dovuto avvenire nella nuova edizione del 2003 del DSM, la numero 5 del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali.

In realtà in questa nuova edizione si assiste più al tentativo di una diagnosi dimensionale, che alla sua realizzazione e alla rilevanza del concetto di “spettro” che raggruppa più quadri clinici.

Si diceva della difficoltà di fare diagnosi in Psichiatria, a differenza degli altri ambiti della Medicina. Il solo esame obiettivo, se ben condotto, in Medicina, dà, se non una diagnosi definitiva, una prima chiara indicazione rispetto alla presenza o meno di un quadro patologico e di quale quadro possa trattarsi.

In Psichiatria non esiste un esame obiettivo che possa essere condotto in un modo simile, così come non esistono esami strumentali (per quanto, ad esempio, alcune patologie psichiatriche siano state associate ad anomalie cerebrali riscontrabili ad una Risonanza Magnetica), esiste la nostra mente che lavora per la mente di un altro.
Di qui la soggettività dell’interpretazione, spesso falsata dalla scarsa esperienza del diagnosta o dalla sua rigida interpretazione di alcuni sintomi, e l’importanza, invece, di un attento lavoro di ascolto: è il paziente che ci conduce per mano alla diagnosi, se sappiamo ascoltarlo.
Esistono, certo, i tests psicometrici che costituiscono una valida guida, ma, comunque, i risultati, peraltro, al di là di valori numerici e tabelle standardizzate, anche nei tests proiettivi non immuni da una valutazione soggettiva, vanno adattati al singolo individuo: una diagnosi non può essere elaborata tramite un test, ma va “calzata” sulla persona, su quell’individuo, non sulla “malattia”.

Dunque la difficoltà di fare diagnosi. E la diagnosi differenziale tra due quadri psicopatologici simili?

Una corretta diagnosi differenziale potrebbe essere più agevole se condotta all’esordio di una malattia, quando, cioè, compaiono i primi sintomi, non inquinati né da una sintomatologia accessoria che potrebbe comparire successivamente, né dai trattamenti farmacologici che, comunque, modificano il quadro sintomatologico.

Una delle diagnosi differenziali più eclatanti è quella tra disturbi psicotici (psicosi dissociativa, o disturbi dello spettro schizofrenico nelle nuove classificazioni) e psicosi maniaco depressiva (Disturbo Bipolare nelle classificazioni odierne). Lo stesso Kraepelin (1856-1926) suggeriva di non fare diagnosi di Dementia Praecox (come lui denominava la Schizofrenia), laddove poteva essere intravisto un disturbo affettivo anche se non ancora chiaramente diagnosticabile.

Un disturbo dell'umore, soprattutto quando ha un esordio "atipico", può porre problemi di diagnosi con la Schizofrenia, in quanto l’atipia di esordio può riguardare l'assenza di vere e proprie fasi affettive (depressive o maniacali), oppure la comparsa di fasi "paucisintomatiche", oppure la presenza di sintomi psicotici (deliri e/o allucinazioni), che possono spostare l'asse della diagnostica differenziale verso la Schizofrenia. Tanto nel disturbo schizofrenico quanto in quello bipolare abbiamo una sintomatologia “mista”, la compromissione sia della “cognitività”, con la dissociazione ideica, che dell’umore, ma sarebbe importante riuscire ad individuare quale sintomo è insorto per primo e questo sarebbe, ovviamente, più agevole all’esordio della malattia.

Un altro problema, di non secondaria importanza, è il trattamento farmacologico: i neurolettici agiscono tanto nei disturbi psicotici, quanto nei disturbi dell’umore, ma un loro utilizzo ad alti dosaggi in questi ultimi espone al rischio di una depressione dell’umore e ad un più rapido susseguirsi dello scivolamento “mania versus depressione”, oltre che alla cronicizzazione della malattia che, invece, nella maggior parte dei casi può giovarsi del trattamento con stabilizzatori dell’umore.

Più accurata sarà la diagnosi, più mirato sarà il trattamento terapeutico.

Avere dunque anche una buona dose di “coraggio” nel fare diagnosi, anche se questo può significare discostarsi dalla diagnosi già fatta da altri colleghi.

Inserito il:06/08/2015 07:00:39
Ultimo aggiornamento:01/09/2015 08:11:19
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