Aggiornato al 26/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire
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Pierre André Brouillet – Une leçon clinique à la Salpétrière de Paris - 1887

Breve viaggio lungo la storia della Sessuologia.


Parte Terza


Verso la terapia e il futuro della Sessuologia.

A. Moll, all’inizio del ’900 cominciò ad individuare una direzione terapeutica. Precursore dell’approccio comportamentale, aveva individuato una forma di psicoterapia, definita di ‘associazione’, fondata sul principio che le fantasie erotiche dovevano essere imbrigliate da schemi di comportamento complessi che egli prescriveva ai suoi pazienti.

Se Moll, dunque, si collocava nella direzione del rinnovamento terapeutico, fu August H. Forel nel 1905, che propose una prima importante riflessione sul piano diagnostico, fornendo apporti sociologici ed educativi e richiamò l’attenzione sul sintomo. Ne derivò un apporto di rilievo alla visione unitaria della sessualità, considerata in una dimensione psicosomatica, opponendosi alla separazione tra anima (o mente) e cervello.

Queste idee costituirono le basi sulle quali, nonostante l’etimo comune (dal greco, il termine ‘sintomo’ veicola il significato di ‘cadere dentro’,  ossia ciò che caratterizza il sintomo è il suo rivelarsi ad un certo punto, quasi sempre all’improvviso, nel continuum di uno stato di salute), si cominciò a delineare la distinzione tra ‘sintomo’ medico e ‘sintomo’ psichiatrico. Il primo è nettamente collegato all’effetto della malattia, anzi è un elemento che permette, molto di frequente, la visibilità della malattia stessa. Il ‘sintomo’ psichiatrico è una sorta di mobilitazione che il soggetto opera, nei confronti della noxa patogena, per mantenere un certo equilibrio, ossia è l’espressione della difesa del soggetto nei confronti di una situazione conflittuale.

In tal modo il disturbo psichiatrico diventa come un rebus che da una parte nasconde, perché apparentemente non ha spiegazioni, dall’altra è un indizio, un messaggio, cioè rivela una traccia che conduce al problema.

Una delle prospettive di lettura del disturbo psicopatologico è costituito dalla corrente fenomenologica, che prese l’avvio nel mondo tedesco quasi contemporaneamente (seconda metà dell’’800 - primi anni del ’900) alle scuole ad orientamento positivista. Anche se nella posizione di fondo della Fenomenologia, il progetto di studio si basava sul pensiero positivistico di descrivere il soggetto in modo oggettivo, cioè dal di fuori, principio generale proprio della filosofia cognitivista, gli sviluppi successivi furono completamente differenti.

La scuola positivista, inoltre, legata alle correnti organiciste, ritiene che il disturbo psicopatologico, che appare come qualcosa fuori dalla norma, non comprensibile nell’ambito delle relazioni normali della quotidianità, sia l’espressione di un’alterazione macroscopica della struttura nervosa, di tipo progressivo e defettuale, di varia origine, infettiva, degenerativa, genetica, per cui la malattia mentale veniva definita ‘malattia del cervello’. A tal proposito Griesinger, uno psichiatra tedesco, sostiene che le malattie psichiatriche non vanno definite come ‘turbamento dell’anima’, ma ‘malattie della mente’. Per cui, la psicologia, effetto del funzionamento di questa struttura, presenta dei caratteri di anomalia riconducibili all’alterazione di un meccanismo. Non è dunque possibile pensare ad una questione psicologica sganciata da un correlato organico, così come una qualsiasi emozione non è sganciabile da reazioni fisiche, cioè da ripercussioni organiche.

La corrente fenomenologica sostiene, d’altra parte, che sia più importante rispetto alla concettualizzazione di un fenomeno psichico, la progettualità che sottende un determinato pensiero. In quest’ottica la fenomenologia è una sorta di lettura di quello che appare, come dice il suo stesso nome, di quello che è il fenomeno che vediamo, ma interessa, soprattutto, andare dietro quello che appare, recuperare l’intenzione sottesa ad un determinato linguaggio, un determinato comportamento e soprattutto il punto di vista di chi invia quel messaggio.

Questo atteggiamento primariamente filosofico viene importato dalla Psichiatria tramite K. Jaspers, il fondatore della corrente esistenzialista, che nella Psicopatologia Generale del 1913 ritiene che non interessa valutare i pazienti come se fossero delle ‘macchine’ che hanno perduto in qualche modo il loro funzionamento e dare di essi un’osservazione che sia totalmente oggettiva: interessa cercare non solo di ascoltare il punto di vista del paziente, ma anche cercare di ‘mettersi nei suoi panni’. Questo punto di vista, totalmente rivoluzionario, consente di ordinare una serie di elementi che il paziente presenta e che apparentemente appaiono discontinui, insensati, secondo il senso dominante dello stato d’animo del paziente, seguendo una certa coerenza interna.

Per ‘mettersi nei panni’ del paziente, si deve cercare di mettersi in sintonia con lui, compartecipare, facendo un’esperienza anche se non uguale, analoga; ad esempio, la depressione si può comprendere se si pensa alle proprie esperienze di lutto, di separazione, cioè ai momenti in cui si sono provati se non gli stessi sentimenti, dei sentimenti analoghi. In qualche modo, la sintonia si rapporta ad una qualità delle emozioni, restando il divario tra il normale ed il patologico legato alla quantità.

Se si pensa a quello che parallelamente andava elaborando Freud, tale prospettiva della Fenomenologia potrebbe essere integrata con quella della Psicoanalisi, perché proprio Freud aveva descritto tra i meccanismi di difesa, anche quello tipico della paranoia, in cui il soggetto, rifiutando un certo tipo di sensazioni interne, le proietta al di fuori di sé e queste ritornano a lui come degli elementi che non appartengono più alla sua realtà interna, ma come se appartenessero alla realtà esterna, cioè come qualcosa che il soggetto non riconosce più nel flusso della propria esperienza, ma vive come imposta dall’esterno.

La comprensione di certi vissuti estremi è un aspetto che nel testo di Jaspers non è ancora definito, ma sarà presente successivamente in altre figure appartenenti alla cultura tedesca: il filosofo Husserl, che ha scritto una serie di opere sulla fenomenologia della coscienza, dell’  ”Io trascendentale”, in cui descrive come il soggetto sia in grado di cogliere non solo la struttura del Sé, ma anche una struttura che valga come base per la relazione con l’altro. Nell’ambito della Fenomenologia, dunque, l’idea dell’Io si trasforma nell’idea dell’ “Io-Tu”, cioè nella relazione con l’altro e con il mondo.

Ancora, è da menzionare Heidegger, il fondatore dell’Esistenzialismo, secondo il quale la percezione dell’essere è legata al fatto di esistere, ma l’esistenza è intesa nel suo specifico connotarsi nei rapporti con gli altri.

L’Esistenzialismo mette l’accento sulla concretezza della vita e sul bagaglio dei sentimenti.

In ambito più strettamente sessuologico, una rivoluzione radicale ai presupposti in voga era stata portata da H. Ellis nel 1906. Egli, pur non sconfessando l’ipotesi ereditaria e biologica dei disturbi sessuali, introdusse il concetto di ‘ereditarietà progressiva’. Questa mitigazione delle idee allora correnti, lo portò a definire il concetto di ‘simbolismo erotico’, partendo dal quale considerò le ‘perversioni’ (oggi definite ‘parafilie’) come ‘equivalenti sessuali’ della sessualità normale, iniziando le sue lotte contro le concezioni antisessuali vittoriane, a favore dello sviluppo di una educazione sessuale.

Ellis, inoltre, si espresse contro i pregiudizi che consideravano la masturbazione una delle peggiori calamità di tutti i tempi, sdrammatizzandola:

L’autoerotismo, esaminato nella sua giusta prospettiva, non è una forma di follia o di depravazione, ma un inevitabile sottoprodotto del potente processo sul quale si basa tutta la vita animale”.

G. Maranòn, più tardi, diresse i suoi studi soprattutto alla morfologia in campo sessuologico, agli aspetti biologici, endocrinologici e biochimici della mascolinità e della femminilità, comprendendo nelle sue osservazioni anche quegli stati che egli definì ‘intersessuali’. 

La Psicoanalisi, nel frattempo, come vedremo più dettagliatamente in seguito, andava compiendo passi sempre più importanti.  

Freud, per primo, propone l’importanza della sessualità infantile come componente naturale dello sviluppo psicofisico dell’essere umano e nell’etiopatogenesi delle nevrosi.

L’opera di Freud, infatti, diede contributi sempre più incisivi allo studio della sessualità umana, con le sue manifestazioni polimorfe sia in ambito fisiologico che patologico, correlandole alle relazioni primarie che l’individuo instaura con il mondo che lo circonda, e al divenire della sua storia.

A partire da Krafft-Ebing per arrivare fino a Freud, quindi, la separazione tra biologico e psicologico nella sessualità finì col divenire sempre più sfumata. 

Nei primi anni del dopoguerra la Sessuologia riesce ad ottenere uno statuto autonomo, anche se gli studi non avranno più il loro centro in Europa, ma nella società americana.

Molti sociologi e filosofi si occuparono di Sessuologia.

Marcuse nel suo scritto Eros e civiltà del 1955 correlò la sessualità alla necessità di un cambiamento radicale della società.

Kinsey A. C., sociologo, con il Rapporto sul comportamento sessuale degli americani compì il primo valido tentativo di studio epidemiologico sulla sessualità, sia sul versante funzionale che su quello disfunzionale, documentando la grande gamma di comportamenti sessuali nell’uomo e nella donna.

W. Reich (1897-1957), psicoanalista, pose in primo piano la sessualità genitale, cioè adulta, focalizzandone la potenza orgasmica e individuandone l’evoluzione in quattro fasi: tensione, carica, scarica, rilassamento. 

 La Sessuologia moderna si fa generalmente iniziare con gli studi del 1966 di W. Masters e V. Johnson, ginecologo e psicologa di St. Louis, sulla fisiologia della risposta sessuale maschile e femminile, sia in ambito andrologico, sociologico e clinico, con lo sviluppo della Sessuologia clinica e delle nuove terapie sessuali.

I due scienziati americani studiarono in un considerevole numero di soggetti volontari i principali momenti e fenomeni dell’eccitazione sessuale, dell’amplesso e dell’orgasmo.

I metodi terapeutici adottati dai due studiosi erano diretti principalmente alle ‘disfunzioni sessuali’ e si basavano su alcune caratteristiche fondamentali:

  • Il trattamento, intensivo e continuo, ha la durata di circa due settimane.
  • Le disfunzioni trattate sono a priori ricondotte a difficoltà relazionali, più che individuali ed è per tale motivo che questa terapia si rivolge quasi esclusivamente a coppie costituite.
  • Al fine di favorire il transfert ed il controtransfert e la comunicazione tra terapeuti e pazienti, la coppia viene presa in carico da una équipe costituita da due “coterapeuti” (un uomo e una donna). Master e Johnson ritengono che tale équipe debba comporsi di un medico e di uno (una) psicologo (a).
  • Si possono distinguere due grandi fasi della cura. Una prima fase della durata di quattro giorni, durante la quale i terapeuti procedono alla raccolta anamnestica dei pazienti e alla comunicazione delle informazioni necessarie, alla messa a punto di un trattamento individualizzato, ad una prima “rieducazione” sensoriale dei pazienti, che sono invitati ad esplorare vicendevolmente i propri corpi. Una seconda fase, della durata di dieci giorni, è mirata, attraverso il passaggio graduale dai contatti non genitali a quelli genitali (masturbazione e poi coito), alla sedazione dell’ansia associata al coito e al ristabilire la capacità orgasmica.
  • I pazienti non possono comunicarsi il contenuto dei loro rispettivi incontri dei primi due giorni ed è loro vietata la ricerca prematura, non graduale, dell’orgasmo.
  • I pazienti il cui trattamento è caratterizzato da un fallimento detto “immediato” (persistenza dei disturbi al termine delle due settimane) non vengono seguiti: un controllo di questo tipo, secondo gli studiosi, potrebbe inficiare le ulteriori prove terapeutiche di questi pazienti. Tutti i pazienti, i cui disturbi, invece, sono scomparsi durante il trattamento, sono sottoposti ad una ‘sorveglianza post-cura’ regolare (telefonica). Ciò ai fini di valutare le ‘ricadute’ ed, eventualmente, di incoraggiare i pazienti che incontrano difficoltà nel seguire un nuovo trattamento. Questo controllo dura cinque anni, al termine dei quali viene effettuato un bilancio finale degli effetti della cura.

Il metodo di Masters e Johnson utilizzava molti elementi specifici delle terapie comportamentali: l’educazione all’affermazione di sé, la correzione delle concezioni erronee (concernenti, ad esempio, gli effetti della masturbazione e il piacere femminile), e, soprattutto, la desensibilizzazione (per il ricondizionamento progressivo dell’orgasmo).     

Dunque, la nuova connotazione psicosomatica che andava assumendo la Sessuologia, per il contemporaneo coinvolgimento nella sessualità di mente e corpo, rappresentò il punto di partenza di quello che diventerà successivamente l’approccio multidisciplinare alle disfunzioni sessuali, con il contemporaneo coinvolgimento di varie figure professionali rappresentate da psichiatri, ginecologi, urologi, endocrinologi, dermatologi-venereologi.


Riferimenti bibliografici

Jaspers K (1913), Psicopatologia Generale, Roma, Il Pensiero Scientifico Editore,1994

Kinsey A C, Il comportamento sessuale dell’uomo, Milano, Bompiani, 1965

Klein M Scritti, 1921-1958, Torino, Boringhieri, 1978

Marcuse H, Eros e civiltà, Torino, Einaudi, 1964.

Masters W H Patologia e Terapia del rapporto coniugale. Le insufficienze sessuali nell’uomo e nella donna. Milano, Feltrinelli, 1970

Masters W H e Johnson V E, Il legame del piacere, Milano,Feltrinelli, 1975


Inserito il:09/02/2015 20:41:15
Ultimo aggiornamento:03/03/2015 20:01:21
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