Aggiornato al 26/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Bruno Amadio (1911-1981) – Bambino piangente

Sulle tracce della Pedofilia (Parte terza)

di Anna Maria Pacilli

 

Il trattamento terapeutico del bambino abusato sessualmente.

Il minore abusato deve essere protetto dagli eventi traumatici che ha subito e da quelli che potrebbe continuare a subire.

Come prima forma di intervento bisogna interrompere l'abuso, allontanando fisicamente, quando possibile, la vittima dall'abusante (1). E’importante impostare una fase “diagnostica”, cioè di valutazione e validazione delle rivelazioni della vittima, utili per predisporre un contesto di cura. Solo se il minore si sente libero e sicuro, lontano da chi lo ha abusato, e si sente "coccolato" da coloro che si schierano dalla sua parte, può avere possibilità di superare quel "blocco" che renderebbe vano qualsiasi tipo di intervento. Solo in una situazione protetta, infatti, è possibile capire, valutare e curare il danno prodotto dalla situazione di abuso (2). Il primo passo da percorrere con il minore è quello di cercare di fargli capire che ciò che egli ha vissuto come esperienza traumatica, non coincide con le "normali" esperienze che un soggetto della sua età di solito vive, ed è importante questo, altrimenti la terapia successiva non produrrà alcun effetto positivo (3). Grazie ad alcuni dati raccolti dalle ricerche effettuate da Macdonald (4), sono state elaborate le seguenti conclusioni in relazione al tipo di interventi più efficaci per il trattamento dei minori vittime di abuso sessuale:

  • Sono risultati più efficaci gli interventi che si focalizzano specificatamente sul trauma dell'abuso sessuale stesso e che si pongono direttamente come bersaglio le sequele dell'abuso;
  • gli approcci cognitivo-comportamentali vanno considerati una parte importante di qualsiasi programma.

Le modalità di base d'intervento sul bambino abusato sessualmente, seguendo le linee esposte da Dottore e Fuligni (5), possono essere riassunte in:

  • fornire informazioni a carattere educativo circa la natura dell'abuso sessuale e le conseguenze possibili;
  • facilitare l'espressione e la discriminazione di una varietà di sentimenti collegati all'abuso;
  • identificare e correggere cognizioni distorte o disadattive;
  • insegnare abilità di gestione dell'ansia;
  • permettere ai bambini di padroneggiare abilità di autoprotezione;
  • realizzare interventi diretti alla gestione di comportamenti problematici associati all'abuso.

Diverse proposte terapeutiche riguardano direttamente la vittima dell'abuso, grazie soprattutto a due fattori: l'alta incidenza di psicopatologia grave nei bambini abusati e la valutazione retrospettiva, di adulti affetti da patologia psichiatrica che hanno rivelato esperienze infantili di violenza sessuale (6). I  bambini non vogliono quasi mai parlare della loro esperienza, ed i tentativi di far descrivere il loro vissuto si infrangono quasi sempre contro il muro del silenzio.  Sembra infatti, che, oltre alla paura degli adulti, i minori vittime di violenza sessuale tentino disperatamente di rimuovere ciò che hanno vissuto e le angosce connesse, in modo tanto più rigido quanto più grave è stato il trauma. I bambini sono in grado di mettere in azione dei meccanismi di difesa contro l'angoscia che sono responsabili della strutturazione patologica della loro personalità (7). Non è in realtà l'episodio di violenza subita in se stesso che provoca direttamente danni allo sviluppo psichico, ma l'attivazione di questi meccanismi di difesa e la necessità di mantenerli costantemente efficienti. La negazione, la rimozione, l'identificazione con l'aggressore e la scissione della componente affettiva non devono permettere il riaffiorare di quella angoscia.

I bambini si convincono che ciò che è loro accaduto è giusto, ed è accaduto per colpa loro, arrivando a negare la componente violenta e abusante del genitore, reprimendo sentimenti di rabbia per il tradimento subito e accollandosene molto spesso la colpa. Il ragionamento che si snoda nella loro mente è disarmante: "I bambini buoni vengono amati, io invece non sono stato amato e quindi sono un bambino cattivo" (8). Attraverso questi meccanismi il bambino ottiene una serie di "vantaggi" come la capacità di controllare l'angoscia vissuta nell'esperienza traumatica e il senso di colpa, la possibilità di evitare la depressione derivante dalla perdita di amore. Il tutto però, espone il bambino ad una progressiva sensazione di vulnerabilità, a fallimenti scolastici prima e professionali poi, a gesti autolesivi inconsapevoli e anche consapevoli che possono arrivare fino al suicidio. Come forme reattive al grave vissuto depressivo, quando prevale il meccanismo di identificazione con l'aggressore, nel minore possono emergere comportamenti sempre più aggressivi, atti compulsivi di criminalità minorile ed infine, da adulti, essi tenderanno a ripetere il modello violento subito da bambini diventando, a loro volta,  genitori abusanti (9).

Il fine della terapia su un minore sessualmente abusato, è, dunque, quello di sviluppare in quest'ultimo la consapevolezza di essere la vittima e non il responsabile dell'accaduto. La confusione di ruolo che si produce fra l'adulto e il bambino in questi casi è così grande da creare nel minore una grossa difficoltà a superare il senso di colpa che lo lega al sospetto di essere stato egli stesso, con il proprio comportamento, a provocare o a non rifiutare il rapporto sessuale (10).

L'importante dunque, è cercare di aiutarlo a ricostruire il suo mondo interno, attraverso l'esperienza di relazione con un adulto che può accogliere, contenere, comprendere la sua sofferenza e che permetta anche l'espressione della rabbia e della disperazione. È necessario favorire l’elaborazione del lutto rispetto a ciò che è perduto per sempre (la propria infanzia, soprattutto). Oltretutto, il compito sarà particolarmente difficile e doloroso quando il bambino dovrà rassegnarsi ad ammettere che tutte le persone di primaria importanza affettiva per lui, da cui si aspettava protezione, l'hanno abbandonato. D'altro canto questa completa presa di coscienza è l'unica premessa che rende possibile l’affiancamento ad altre famiglie, quando per il minore abusato rimane la via dell'adozione (11).

Le psicoterapie che utilizzano tecniche di gioco sono più adatte di quelle che utilizzano tecniche verbali, perché l'ostilità e la diffidenza iniziali possono rendere impossibile lo scambio verbale (12). Attraverso il gioco, invece, il bambino non racconta il fatto, ma estrinseca la sua angoscia e con la guida del terapeuta impara ad accettarla, a confrontarsi, a gestirla. Man mano che il bambino impara a fidarsi del suo terapeuta, recupera lentamente il suo mondo emotivo, la fiducia verso il prossimo, la possibilità di abbandonare i rigidi meccanismi di difesa, facendo emergere i suoi sentimenti più profondi.

Un aspetto fondamentale della relazione che si instaura tra la vittima di un pedofilo e il medico è senz'altro basato sulla fiducia. È necessario che il terapeuta si mostri al minore affidabile, disponibile e capace di comprenderlo, in modo da accrescere la fiducia che la vittima ha posto su di lui: deve diventare la sua "base sicura", dalla quale possa iniziare ad affrontare i problemi legati all'abuso subito. E’importante che si astenga dal concedere privilegi speciali, regali o favori ai minori trattati, perché spesso gli autori della violenza sessuale hanno agito inizialmente proprio attraverso tali tecniche indirette (13).

Il primo passo del processo terapeutico consiste nel chiarire gli scopi dell'intervento stesso, per stabilire e definire le aspettative reciproche, in modo anche da correggere eventuali fantasie inadeguate da parte del minore in proposito. Il terapeuta deve, dunque, essere chiaro nell’affermare di essere al corrente del fatto che il bambino è stato abusato e che proprio questo evento traumatico costituisce la ragione principale della sua partecipazione alla terapia. In tal modo, oltre a definire il rapporto, è possibile cominciare a desensibilizzare il minore circa il tema dell'abuso, comunicandogli nel contempo la fiducia nel fatto che egli gradualmente diventerà capace di gestire adeguatamente l'argomento (14).

Inoltre, è importante chiarire con il minore che parlare di questi argomenti non è facile per nessuno, neppure per gli adulti. Il terapeuta cercherà di procedere gradualmente e di lasciare al bambino il controllo circa cosa e quando condividere col terapeuta, per cui gli argomenti più dolorosi saranno affrontati soltanto quando il bambino si sentirà pronto (15). Il terapeuta, deve spiegare al minore che può usare le parole che preferisce per riferirsi all'abuso ed inoltre gli dà la possibilità di dire in ogni momento, che non se la sente di parlare di un dato argomento, avrà a disposizione tutto il tempo di cui ha bisogno per riuscire ad affrontare il problema.

Per poter affrontare la tematica dell'abuso sessuale con il minore il terapeuta deve creare un'atmosfera di sicurezza e prevedibilità. Questo obiettivo può essere perseguito in vari modi (16): le sedute dovrebbero avvenire allo stesso giorno e alla stessa ora della settimana, sempre nello stesso luogo, in presenza dei medesimi giochi; le produzioni (grafiche o altro) del bambino dovrebbero essere poste tutte in una cartellina contrassegnata col suo nome e riposta in un luogo ben preciso, dove potrà ritrovarla alla seduta successiva; gli appuntamenti delle sedute dovranno essere rispettati il più possibile; nel caso di eventuali spostamenti della data dell'incontro, questi dovranno essere spiegati chiaramente al minore, esponendone le ragioni (eventualmente dandogli un oggetto da conservare per ricordo durante il periodo, che verrà poi riconsegnato al terapeuta nella seduta successiva).

Un altro aspetto a cui il terapeuta deve prestare particolare attenzione è il contatto fisico con i minori abusati, in quanto ogni gesto di maggiore vicinanza fisica può essere da loro interpretato come una proposta sessuale o comunque come un atto troppo invasivo. Talvolta anche una semplice carezza può essere fraintesa. Occorre, quindi, soprattutto nelle fasi iniziali della terapia, evitare contatti fisici, che non siano quelli socialmente condivisi ed "ufficiali", come una stretta di mano, lasciando gradualmente al minore l'iniziativa di iniziare avvicinamenti fisici maggiori. Per quanto riguarda la porta chiusa dello studio, se disturba fortemente il minore, la si può lasciare socchiusa, cercando però di far capire al bambino che si chiude la porta per motivi (come il non esser disturbati o rispettare le esigenze di riservatezza) che sono tutti in suo favore e non per altri scopi nascosti o negativi (17). Infine, è importante che il terapeuta si dimostri sempre empatico rispetto alle emozioni che il minore può via via provare: quando quest'ultimo esprime chiaramente la sua ansia e rabbia, il terapeuta deve essere pronto a contenere questi suoi sentimenti e a rassicurarlo, affermando che in circostanze del genere tutto ciò è normale. I bambini con attaccamento ansioso-evitante temono soprattutto il rifiuto delle figure parentali che in precedenza si sono dimostrate distaccate e scostanti nei loro confronti; quindi, bloccano ogni propria emozione a scopo protettivo e manifestano comportamenti diffidenti ed evitanti anche nei confronti del terapeuta, in quanto si aspettano che anche quest'ultimo, al pari degli altri adulti per loro significativi, si comporterà con loro in modo rifiutante o addirittura abusivo. Per questo motivo si mantengono lontani dal terapeuta durante gli incontri, sia psicologicamente che fisicamente, giocando da soli e cercando di non avere un ruolo attivo nelle sedute ma di attento osservatore. Inizialmente la tendenza all'evitamento va rispettata: il tentare troppo precocemente di superarlo potrebbe generare nel bambino emozioni sopraffacenti. Per cui, negli incontri iniziali, il terapeuta potrà lasciare ampio controllo al minore nello scegliere i materiali, i giochi e le attività. Inoltre è fondamentale che ogni promessa fatta dal terapeuta venga mantenuta; solo in tal modo il bambino potrà iniziare ad avere fiducia in lui. Poi, però, poco a poco deve essere il terapeuta ad assumere il controllo della situazione, proponendosi prima come aiutante del minore nel gioco, poi come agente di protezione e di cura (18). L'attaccamento ansioso resistente, invece, è caratterizzato dal fatto che la scarsa disponibilità genitoriale induce il minore ad incrementare la propria attivazione emozionale per attrarre l'attenzione altrui. In ambito terapeutico il bambino diviene inizialmente molto dipendente dal terapeuta, chiedendo di tornare subito per un'altra seduta, volendo il suo indirizzo e numero telefonico, avendo grandi difficoltà a staccarsi da lui. Può anche assumere comportamenti altamente regressivi, come chiedere al terapeuta di essere alimentato col biberon. Ad un certo punto, però, il minore si rende conto che le sue esigenze di dipendenza non possono essere soddisfatte del tutto dal terapeuta e, quindi, gli rivolge la stessa rabbia e il medesimo risentimento che aveva riversato in precedenza alla figura parentale non adeguatamente disponibile: gli altri diventano nuovamente non affidabili ed il minore appare a se stesso non amabile e privo di valore (19).

Per affrontare questa situazione il terapeuta può ricorrere ad alcune strategie. Ad esempio fra un incontro e l'altro può dare al bambino un "pegno" o "ricordino" da portare a casa, in modo da avere sempre dinanzi a sé la prova che il terapeuta si ricordi di lui; inoltre può dimostrare la sua attenzione al bambino non spostando né rimandando gli appuntamenti e attenendosi alle scadenze prefissate. Il terapeuta, inoltre, non deve impedire che il bambino faccia giochi regressivi rispetto alla sua età, al fine di permettergli almeno una compensazione simbolica alle privazioni affettive subìte. Un eccesso di regressione, però, è negativo; occorre, dunque, che prima della fine della seduta, il minore ritorni al livello di capacità adeguato alla sua età, al fine di poter rientrare nella vita normale con modalità comportamentali diverse da quelle che sono permesse solo in ambito terapeutico. Così negli ultimi dieci minuti della seduta è bene impegnare il bambino in conversazioni o in attività adeguate alla sua età, come per esempio rimettere in ordine tutti i materiali di gioco o parlare delle sue attività scolastiche o sportive (20).

Riferimenti bibliografici

1.     L. Pisani, Confronto tra esigenze giudiziarie e protezione del minore: interazione tra magistrato ed esperto all'interno dell'audizione, Corso di formazione per ausiliari nella testimonianza dei minori, Roma, 2002.

2.     G. Scardaccione, Effetti della ricerca psicosociale e criminologica sulla legislazione italiana in tema di pedofilia, in Rassegna di psicoterapie, ipnosi, medicina psicosomatica e patologica forense, vol. 5, n. 2, Roma, 2000, pp. 51-66.

3.     M. Malacrea, Trauma e riparazione: la cura nell'abuso sessuale all'infanzia, Raffaello Cortina, Azzate (VR), 1998.

4.     G. Macdonald, Effective Interventions for Child Abuse and Neglect, Willey, Chichester, New York, 2001.

5.     D. Dèttore e C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori. Valutazione e intervento sulle vittime e i responsabili, sMcGraw-Hill, Milano, 1999.

6.     S. Marinucci, I percorsi di uscita dal trauma psichico dei bambini abusati, in Centro Nazionale di Documentazione e Analisi all'Infanzia e l'Adolescenza, Pianeta Infanzia 1: questioni e documenti (Dossier monografico: violenze sessuali sulle bambine e sui bambini), Istituto degli Innocenti, Firenze, 1998, pp. 60-74.

7.     D. Dèttore e C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori. Valutazione e intervento sulle vittime e i responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999.

8.     B. Bessi, Il maltrattamento e l'abuso sessuale in danno dei minori e li effetti a lungo termine, Corso di formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze, 20

9.     S. Cirillo, P. Di Blasio, La famiglia maltrattante, Raffaello Cortina, Milano, 1989, pp. 60.

10.  C. Roccia, C. Foti, L'abuso sessuale sui minori, Unicopli, Milano, 1994, p. 188.

11.  .M. Malacrea, L'intervento psicologico nell'abuso sessuale all'infanzia, in D. Bianchi, R. Luberti, ... e poi disse che avevo sognato, Cultura della Pace, San Domenica di Fiesole (Firenze), 1997, pp. 105-136.

12.  12Stuber, K. Nader, B. Hausekamp, R. Pynoos, Appraisal of life threat and acute trauma responses in pediatric bone marrow transplant patients, in Journal of Traumatic Stress, 9, pp. 673-686.

13.  D. Dèttore e C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori. Valutazione e intervento sulle vittime e i responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, p. 222.

14.  D. Dèttore e C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori. Valutazione e intervento sulle vittime e i responsabili, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, p. 223.

15.  M. Maggi e M. Picozzi, Pedofilia, non chiamatelo amore, Guerini e Associati, Milano, 2003, p. 132.

16.  D. Dettore, C. Fuligni, L'abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili,             McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1999, pp. 223-224.

17.  B. Bessi, Il maltrattamento e l'abuso sessuale in danno dei minori e gli effetti a lungo termine, Corso di  formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze, 2001.

18.  G. Scardaccione, La tematica dell'abuso sessuale e i principi dell'intervento, Corso di formazione per ausiliari nella testimonianza dei minori, Roma, 2002.

19.   Ibidem.

 

Inserito il:16/05/2016 11:03:42
Ultimo aggiornamento:17/05/2016 12:10:45
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