Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire
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Vincent Van Gogh (1853 - 1890) – Notte stellata sul Rodano - 1888

Maura al di là del “cielo stellato”: tratti di una storia vera.

C’eravamo incontrati nel più importante dei modi, per caso. R. Bach

Lo spunto per questi argomenti di riflessione mi è venuto dalla opportunità che mi è stata offerta dal Direttore del Dipartimento dell’ASL di Cuneo per cui lavoro, Francesco Risso, in occasione del corso di formazione “ Masochismo femminile?” tenuto qualche giorno fa dal Prof. Massimo Recalcati, uno dei massimi esponenti della Psicoanalisi ad indirizzo lacaniano, di esporre un caso clinico da me seguito per poter avere l’opportunità di una supervisione. La “supervisione”, parola “magica” di cui ognuno di noi che segue casi, soprattutto complessi, avrebbe necessità di fruire. Il supervisore è uno “specialista” super-partes che, proprio in quanto specialista, adeguatamente formato e non “coinvolto” emotivamente nel caso clinico ( perché, checché se ne dica, seguire con una psicoterapia dei pazienti, implica, anche dopo anni che si fa questo lavoro, che l’emotività, a volte, non ci consente di vedere delle tracce che ci aiuterebbero ad arrivare al nocciolo della questione e, viceversa,  di individuare delle altre tracce che ci depistano dalla vera essenza del disturbo).

Dunque, ho colto questa straordinaria opportunità e a partire dalla narrazione del caso “hic et nunc”, mi soffermerò sulle riflessioni fornite dal Prof. Recalcati, integrandole alle mie.

 

Il caso clinico

Se avesse dovuto dargli un nome, Maura avrebbe chiamato il suo “mal d’amore”, anche se nulla aveva a che fare con il “mal francese”. Ne era consapevole, più che amore era una specie di “masochismo amoroso”, non poteva certo essere un amore sano quello in cui uno si annulla per l’altro, dimenticando anche la propria dignità. Proprio così, la dignità. Non le era mai capitato finora, ai suoi 40 anni. Le sue storie sentimentali erano state “tranquille”, forse troppo, ma l’avevano fatta sentire serena, senza “scossoni”. Le avevano forse catturato più con la dolcezza il cuore, che con la prepotenza il cervello. E si erano esaurite come la fiammella di una candela troppo corta per poter durare a lungo. Ma le avevano lasciato dentro una impagabile sensazione di pace, di serenità, di beatitudine. Doveva essere questo l’amore: stare bene con qualcuno che sappia apprezzarti, senza farti piangere. I suoi uomini erano stati dolci, sempre, con lei, avevano saputo asciugare le sue lacrime. Anzi, di più. Qualcuno era anche riuscito a far sì che sorridesse tra le lacrime. Quando morì suo padre, Alessandro, di cinque anni più vecchio di lei, era con lei. Quando sua madre era sul letto di morte, lui le teneva dolcemente la mano e la rassicurava, perché lei non capiva come mai le ultime parole di sua madre fossero così intrise di dolore, parlando di un uomo, suo padre, che l’aveva tradita, maltrattata, le aveva promesso un fuoco di passione e regalato solo cenere di ricordi. Non capiva, le era sembrato che i suoi genitori fossero stati sempre felici e, invece, a quanto pare…Ma lei si riteneva fortunata: Alessandro era al suo fianco, dolcemente e l’amava. Di un amore rassicurante, di un amore fantastico, di un amore presente e possibile.

Avrebbe potuto chiedergli la luna, avrebbe potuto mirare a quel cielo stellato, lui avrebbe fatto di tutto perché almeno una di quelle stelle diventasse sua.

Era in compagnia di Alessandro quando conobbe Gianni. Quanto le sembrava giovane. Non ne rimase colpita subito. Al di là che esteticamente non le piaceva, aveva sempre pensato: molti muscoli, poco cervello, oltre i canoni estetici era borioso, strapieno di sé. Ma forse le due cose andavano di pari passo. I muscoli gli servivano per “apparire”, eppure lui, così, ad intuito, sembrava avere anche “cervello”. Erano a casa di amici, una festa di compleanno e Gianni iniziò a parlare con lei come se si conoscessero da tempo. Le rivolse subito la parola, lui era già arrivato alla festa, lei ed Alessandro arrivarono poco dopo. Le andò incontro per salutarla. “Proprio me?”, le venne da pensare, tra le diecine di donne che c’erano, compreso il gruppo che stava entrando con loro. Non poteva sapere, allora, che probabilmente era la “vittima designata”. Ne fu lusingata, anche se il genere di uomo non la faceva impazzire ed in più…una specie di campanello d’allarme le suonava dentro…qualcosa era come se volesse metterla in guardia. Ma Maura non gli diede retta. Quante volte la sua prima impressione non era stata quella giusta…sì, era lusingata dal modo che Gianni aveva di guardarla, come ci fosse stata solo lei tra mille. La faceva sentire unica, assolutamente la “prescelta”. Alessandro scomparve e non solo dai suoi pensieri. Fu catturato da un gruppo di amici del calcio e poi si fidava troppo oppure, semplicemente, non aveva neppure notato lo sguardo troppo insistente, di Gianni su di lei. Si fidava talmente tanto della sua donna che era comunque convinto che per quanto la avessero corteggiata e chiunque fosse stato a farlo, lei gli sarebbe stata fedele. Ecco spesso Maura pensava di avere vicino un uomo certamente meraviglioso, un uomo presente nelle sue esigenze, il classico uomo “su cui si può contare”, ma come “femmina” si sentiva trascurata a volte. E non era un discorso sessuale, anche se pure il sesso era decisamente in calo, nonostante stessero insieme solo da qualche anno ed avessero entrambi poco più che quarant’anni. Gli inizi erano stati bellissimi, l’incertezza di lui, come di molti altri uomini, nel corteggiarla, i dubbi, il pensare:” Le piacerò oppure no?”. Ma ora era come se la sua femminilità in toto fosse svalutata, nonostante le attenzioni che lui le riservava. Banalmente, come tutte le donne, avrebbe voluto ricevere i complimenti per un vestito nuovo, per un nuovo taglio di capelli, per quei due chili in più che era riuscita a perdere. E invece nulla di ciò. Il suo era un uomo presente, certo, ma per le cose pratiche, c’era…ma non la faceva sentire desiderata.

Lo sguardo di Gianni, invece, la rendeva unica. Lui andava diritto allo scopo e lo scopo era lei. Uno sguardo impertinente, sembrava riuscisse a sfiorarle la pelle. E forse lo faceva davvero. Tanto che lei ebbe l’insolita sensazione di sentirsi nuda davanti a lui, anzi più che nuda, senza la barriera della pelle a proteggerla. Le portò una flute di champagne, prontamente recuperata dal vassoio del cameriere e le chiese se fosse lieta di brindare al loro incontro. Maura era estasiata. Lui aveva catturato la sua attenzione come mai nessuno era riuscito a fare. Cominciava a sentirsi intrigata dal suo modo di parlare, ipnotizzata dal suo sguardo e dalle sue labbra. Con dei modi che generalmente l’avrebbero infastidita, mentre lui le dava piacere, un piacere indescrivibile. La sensazione di essere la donna più bella della festa, che lui riusciva a trasmetterle, continuò per tutto il tempo. Lui, in modo dolcemente prepotente, non si staccò un attimo da lei, fingendo, probabilmente, di dover andare in toilette solo quando Alessandro cercò di recuperare l’attenzione di Maura. Si salutarono con una stretta di mano. Il battito cardiaco ed il respiro di Maura subirono una impercettibile accelerazione. Alessandro le chiese se lo conoscesse, sembravano già così “amici”. Maura arrossì leggermente, fingendo di conoscerlo anche se solo di vista. Alessandro, come sempre, non le chiese più nulla.

Dopo la festa tornarono a casa, in macchina, lei avvolta dai suoi pensieri, tutti concentrati su quell’uomo appena conosciuto ma che, come banalmente si dice, le sembrava di conoscere da sempre. E Alessandro le sembrava sempre più comune. A casa ritrovò nella borsetta il numero di telefono di Gianni, che probabilmente lui le aveva fatto scivolare in un momento di disattenzione. Pensò immediatamente di gettarlo via, ma non lo fece. Non sapeva perché o forse sì, lo sapeva, voleva ritrovarlo. La settimana dopo lo chiamò. Lui era entusiasta, la invitò ad uscire per un caffè e così cominciò la loro storia. All’inizio il cuore di lei bruciava di passione all’unisono, le sembrava, con quello di lui. Più lui si incendiava, più lei lo assecondava. Si amavano con la stessa efferatezza con cui, in un raptus di follia, si commette un omicidio. Si amavano come se non bastasse amarsi e basta. Si amavano senza sapere quanto, se potesse essere troppo, se mai può esserci un “troppo” in amore, non se lo chiedevano nemmeno. Tutto quello che sapevano fare era questo e non avrebbero potuto fare altrimenti. Come una tempesta inarrestabile, ma perfetta. Di fronte a tale perfezione i cieli rischiarati da stelle vibranti si oscuravano.  I venti dell’amore soffiavano forte, sconquassavano gli abissi del mare, precipitavano dalle nuvole, senza paracadute. Si amavano come l’ultima luce, come se dopo di loro ci potesse essere solo il buio. Lo spettacolo di scintillare e spegnersi insieme vale tutta una vita di inutili promesse. Si amavano a perdersi. A imbrunire. Amavano e non lo nascondevano (o quasi). Non potevano nascondersi, se non ad occhi indiscreti. Non c’era pudicizia nei loro sguardi neppure tra la folla. Anche a chi non avesse saputo che stavano insieme, sarebbe stato evidente quel filo erotico che univa gli sguardi. Si amavano ovunque, per ogni molecola o atomo che li componeva. Si amavano senza sapere che amare è anche resistere. Eppure si resiste, si sopporta, si trattiene.  Gianni sfiorava il suo corpo e penetrava la sua anima. Mai Maura ebbe un senso di rimorso verso Alessandro, quasi come se si sentisse libera. Dopo un mese di frequentazione con Gianni, pensava di lasciare Alessandro, ma lui le disse di temporeggiare, così loro avrebbero avuto modo di conoscersi meglio. Lei lo assecondò, seppur non capendone le ragioni,  ma divenne fremente dopo qualche altro mese, non ce la faceva più a continuare a vedere anche Alessandro come se nulla fosse, voleva dirgli che amava un altro. Certo gli avrebbe fatto del male, avrebbe sofferto, ma lei non era per le menzogne, lei voleva amare Gianni davanti a tutti e voleva che tutti sapessero del loro amore. Poi tutto cambiò, impercettibilmente forse avrebbe detto qualcuno. Piano piano lui si allontanava da lei, con scuse spesso banali. All’inizio lei gli dava fiducia, non c’era motivo, diceva a se stessa, di non credergli. Un impegno di lavoro improvviso, un invito dai suoi all’ultimo minuto, motivi piccoli, banali. Soprattutto il più delle volte, però, poco giustificati. La frase più ricorrente era: “Ho un impegno”. Frase sibillina, subdola, infida. Un impegno? Ma che impegno? Dirle chiaramente quale fosse, sarebbe stata la cosa più semplice. Come lei faceva con lui, le poche volte che accadeva, perché, in realtà, lei faceva in modo che lui la trovasse praticamente sempre libera o, se non lo era, cercava di liberarsi per lui. Tutto il resto in secondo piano, tutto dopo il suo amore. Qualche volta, quasi per gioco, per vedere la reazione di lui, provò ad essere lei a disdire un appuntamento, magari all’ultimo momento. La reazione di lui fu, a dir poco, furente. Le metteva il muso per giorni, continuava a cercarla ma la trattava malissimo. Poi passava tutto e al mattino presto lui la chiamava per “prenotare” la serata assieme. Tra alti e bassi la storia andò avanti per un po’. Sempre così, dominata da un’incertezza cocente, da dubbi mai fugati, ma la medesima passione sfrenata animava i sensi di Maura. Quella passione con la quale era pronta a ritessere le maglie un po’ sfilacciate di quella rete che lo univa a lui, una trama ed un ordito intrecciati di sofferenza e piacere. A tratti la vicinanza di lui le sembra irraggiungibile. I giorni passavano in attesa di telefonate che arrivavano sempre meno puntuali, sempre più distanti. Maura ormai si è isolata dal resto del mondo a parte il suo lavoro. Non frequenta più gli amici, ha lasciato Alessandro, non facendogli parola di Gianni ma dicendogli che ormai il loro rapporto si era esaurito. Trascorre le sue giornate a piangere, sempre in attesa di una telefonata che il più delle volte non arriva. Come accettare la provvisorietà e la precarietà di questo amore che aveva per lei il sapore di infinito? Un amore provvisorio è un non-amore. Un amore eterno, dunque, non può esistere? Ma un amore in cui uno dei due e non entrambi, insiste sulla sua eternità, forse contiene già in sé il germe della follia, fino a rendere chi lo prova folle, perché inerme, fragile, disperato, in balia dell’altro.

 

Incontro Maura la prima volta qualche mese fa, ha una impegnativa fatta dal medico di medicina generale con il quesito diagnostico di “Disturbo depressivo”. Lei sorride quando glielo leggo: “Dottoressa, io non credo di essere depressa. Io sono ancora molto innamorata. E’ un amore che ha saputo donarmi il paradiso ma anche trascinarmi fino all’inferno, quando Gianni è cambiato, ha iniziato a diventare scostante, a trovare mille scuse all’ultimo momento pur di non vedermi, a trattarmi male davanti agli altri o, forse anche peggio, ad ignorare completamente la mia presenza. Non ho mai avuto la certezza che lui mi tradisse, non me l’ha mai detto, non glie l’ho mai chiesto. Ma una volta che gli espressi dei dubbi sul suo comportamento e sulle mie incertezze nel nostro rapporto, lui mi disse che forse era colpa sua che non era capace di rassicurarmi. La nostra storia è andata avanti ancora per qualche mese ma solo perché c’ero io a sostenerla per entrambi. Subivo rifiuti, elemosinavo briciole della sua presenza, come fossero per me doni di dolci sontuosi. Fino a quando lui iniziò a sparire anche per giorni interi. Come erano lontani i tempi quando le sue telefonate erano frequenti, addirittura invadenti. Lui la chiamava senza ritegno, senza chiederle se potesse farlo. Anche quando era in compagnia di Alessandro, fingendo si trattasse di un amico. E Alessandro sembrava non aver neppure intuito, oppure sì ma non le chiedeva nulla. Forse per lui, come fu dopo anche per me, era meglio non sapere.

Fino a quando lui non mi cercò più. Così, da un giorno all’altro, sparì. Mi preoccupai molto all’inizio, temevo gli fosse successo qualcosa. Era diventato irreperibile. Provavo a chiamarlo e il telefono squillava a vuoto. Mesi e mesi, senza notizie. Lo davo già per morto, quando lo vidi, per caso, in una via che un tempo percorrevamo assieme, i passi sincronicamente affiancati. Lui era lontano da me, non si accorse della mia presenza.

Decisi di seguirlo. Affascinata dall’averlo ritrovato. Il piacere cresceva dentro di me, un piacere misto a dolore. Ricordo ancora la data del suo compleanno. Era ieri l’altro. Chissà con chi ha brindato, penso, chissà con quale donna avrà passato la notte. Il corpo è attanagliato dal dolore, la mente desidera sapere. Tengo una distanza di sicurezza, non voglio che mi veda, non voglio che si accorga della mia presenza. Voglio vederlo senza essere vista. Lo vorrei di nuovo con me. Ma lui non ne vuole più sapere, non me l’ha detto chiaramente ma è evidente ed allora l’unico modo è averlo così, riempirmi di lui, della scia che lascia il suo profumo, ma passare a lui inosservata, come forse lo sono sempre stata. E’ lancinante il dolore al petto. Come è potuto succedere che lui sia passato da un’attrazione che descriveva irresistibile alla più cupa indifferenza? Ma tal’è. Oggi lui non mi vede, ma già da tempo, quando mi illudevo che stessimo assieme, probabilmente non mi vedeva più. Il dolore mi provoca una sensazione di espansione del cuore, che avverto come frantumato, espanso, come se la gabbia toracica non potesse più contenerlo. Il respiro è affannoso, come se avessi salito le scale di corsa. E la mente è sconfitta dai ricordi, il cui peso intollerabile mi attanaglia. E’ finita, devo farmene una ragione, lui non mi ha vista, ma io mi sto coprendo di ridicolo verso me stessa, basta, devo andare via, allontanarmi da questo amore malato, da quest’uomo che ha saputo prima farmi conoscere il paradiso, per poi amputarmi l’anima. Farmi sentire un’unica cosa con lui nella dualità dell’amore. Non ho mai dubitato della sua sincerità e ad ogni nostro incontro mi perdevo in lui, misurando il mio valore attraverso la passione che mi offriva. Mi esaltavo quando lui mi esaltava, mi sentivo il nulla più assoluto, quando lui metteva in luce le mie fragilità. Ecco: lui aveva fatto della mia fragilità la sua forza e più io mi fidavo, più ne uscivo sconfitta. La lotta era impari, io mi ero posta ad un gradino decisamente inferiore. All’inizio, lui sembrava avesse bisogno di me, perché, diceva, lo facevo sentire importante come nessuna, ma poi aveva preso a disprezzarmi, a denigrarmi, ad ingigantire i miei difetti, non potendo accrescere i suoi pregi. Ed in questo gioco perverso di cui io ero ormai vittima consapevole, non capivo che anche quando sembrava che lui si perdesse dentro di me, l’unica cosa che io smarrivo era la mia ragione. Era assurdo ma anche allora lo sentivo ancora mio. Dovevo essere stupida, quest’uomo ha finto un innamoramento mai provato, recitava non so se per un perverso bisogno, oppure un sentimento vero, seppure effimero, l’aveva realmente provato. Ma ora che ne sono cosciente, dolorosamente cosciente, ho deciso di prenotare da lei, dottoressa, prenderò dei farmaci, se lo riterrà necessario mi curerò, sono qui davanti a lei, farò qualsiasi cosa ma, la prego, mi aiuti, devo riprendere in mano la mia vita.

 

Discussione del caso

Come già accennato, sono i casi più complessi che noi psicoterapeuti portiamo in supervisione, perché sono quelli, soprattutto, in cui abbiamo bisogno di un professionista esterno che, imparziale, riesca ad illuminare i buchi oscuri che spesso ci impediscono di fare chiarezza mentale. Tale è stato per me l’incontro con Massimo Recalcati. Di seguito gli spunti di riflessione che abbiamo cercato assieme e che, sono certa, mi aiuteranno ad “aiutare” questa donna attanagliata dal dolore. Una donna in cui ognuno di noi (ma mi riferisco anche agli uomini), potrebbe riconoscersi. Chi di noi, pochi credo, non ha sperimentato nella propria vita una relazione di “sudditanza” affettiva? Una relazione in cui la propria autostima viene messa a dura prova dalla presenza (o assenza) dell’altro? Pochissimi, perché è insito nella fragilità dell’essere umano cercare conferme, cercare la propria esaltazione nella esaltazione altrui. Salvo poi rendersi conto che quando questa viene meno, per un perverso gioco di annientamento, ci si sente distrutti, senza più alcun valore. Le parole di Maura hanno quel senso: io ci sono perché è lui che vuole che io ci sia, perché misuro il mio valore dal valore che lui mi attribuisce. E dall’amore che lui prova per me. Non a caso è la parte femminile dell’uomo quella che più ama la donna, quella che mette da parte il fallo penetrante, per accogliere la donna dentro di sé. Ma in una relazione affettiva di sudditanza e non di accoglimento, quando l’altro viene a mancare, ci si sente essere più nulla. Come accennavo, non capita a tutti. Capita, solitamente, alle personalità più fragili, che hanno maggiore bisogno di rassicurazioni, che pensano di non potersi far bastare la propria autostima, che diventa funzione della autostima che l’altro attribuisce loro. Come salvarsi? Passiamo con un volo pindarico alla terapia, per poi tornare sui nostri passi. Maura giunge dal terapeuta consapevole di avere un disagio, chiede dei farmaci, forse, e forse ne avrà bisogno, anche se si definisce malata d’amore più che di umore. Ma quello di cui lei ha più bisogno, è di una psicoterapia. Una terapia atta a rinforzare il suo fragilissimo sé. Il vero malato, però, è Gianni. Ma è difficile che un narcisista scelga un percorso psicoterapeutico, accettare che un altro, seppure un professionista, si prenda cura di lui, o, ancora prima, accettare di avere bisogno di un’altra persona, è lo zoccolo duro dei narcisisti. A meno che nella vita non vada loro male qualcosa (un insuccesso o una difficoltà lavorativa), che fa sì che sviluppino una depressione secondaria ed è per quello che ricorrono ad un terapeuta, Inammissibile per loro essere depressi. Dunque, cerchiamo di aiutare Maura che, umilmente, come sempre, è disposta a mettersi in gioco. Maura è passata da relazioni che il Prof. Recalcati definisce “anaclitiche”, ossia di appoggio, imbastite con uomini che erano presenti e saldi nella sua vita, ad una relazione che l’ ha sconvolta, l’ha disorientata, l’ha privata delle certezze della mente, abbandonandola alle sole illusioni del cuore. Il suo cuore “sa” di amare quest’uomo, ma l’Intimacy che regola l’affettività in un rapporto di coppia, il Drive che ne regola la sessualità, non possono bastare. Manca il Commitment, la progettualità. Gianni non ha alcuna progettualità su di loro. Gianni potremmo definirla una figura di “desiderio” per Maura, non di appoggio, ma è un desiderio morboso, malato, inficiato da scarsa aderenza alla realtà, regolato dai bisogni e dai desideri di lui, che non coincidono affatto con quelli di lei. Se non all’inizio, ma quello era solo un gioco, il banale e scontato gioco della seduzione per la conquista. Gianni le ha consegnato nelle mani un desiderio che Maura non conosceva, ma non le ha affidato l’amore. Maura ha consegnato, patologicamente ed illusoriamente, tutto il proprio essere nelle mani di un altro, ma è il ritorno che manca. E’, divagando, come quando si affidano le proprie pene ad un amico, un confidente, che assume il ruolo di “consigliere”, piuttosto che ad uno psicoterapeuta che non solo deve “accogliere” la sofferenza del paziente ma avere anche il ruolo di restituirgliela decodificata, interpretabile, accettabile e, al fine, superabile. Cosa restituiva Gianni a Maura? Il nulla. La gratificava della sua presenza, quando aveva voglia di farlo, come se fosse il più bel regalo che potesse farle, ma le sottraeva l’amore per se stessa. Le sottraeva pezzi di anima, restituendogliela amputata. Cosa dovrebbe fare Maura? Separarsi da Gianni, separazione che di fatto è già avvenuta perché lui non la cerca più, anche se non è detto che non possa farlo di nuovo (è difficile che i narcisisti chiudano di loro iniziativa delle “porte”), separarsi, dunque, dal ricordo di lui, per essere salva? Troppo semplice in un’ottica psicoanalitica. Questo sarebbe il consiglio “amichevole”. Maura deve separarsi da quella parte di sé che è stata catturata da Gianni, è quello il suo nucleo patologico. Ci potrebbe essere sempre nella sua vita un altro Gianni e la situazione ripetersi. Non sempre basta l’esperienza a proteggerci, ma il riconoscimento, l’accettazione e il tentativo di rinforzare il nostro nucleo più fragile sì, quello ci protegge da un nuovo possibile errore. Dunque agire sulla parte “sana”, forte, per vicariare per ora ed accrescere, in un secondo momento, anche quella più fragile.

Il masochista (narcisista nel nostro caso) è colui che ha l’attitudine a trasformare la sofferenza in una meta pulsionale. Dunque godere non con l’altro, considerato diverso ma complementare a sé; bensì considerare l’altro un oggetto utile al proprio godimento, e che, solitamente, viene maltrattato, fisicamente e/o psicologicamente, per trarne un piacere. Tanto nel sadismo, quanto nel narcisismo la meta è il proprio sé, avulso dall’altro sé. L’oggetto d’amore, inteso come soggetto in una relazione paritaria intersoggettiva, frana di fronte all’Ego. Nel narcisista non si infligge sofferenza fisica, ma l’altro è visto come possibilità gratificativa del sé. Nel sadismo il fine della relazione è infliggere sofferenza per ricavarne piacere. Ovviamente non puo’ esserci un sadico se non c’è un masochista che si presta al gioco di ruolo. Il rapporto è sempre relazione duale, per cui chi subisce la sofferenza, nel momento in cui si rende conto che v’è sofferenza, necessita di aiuto al pari di chi la infligge. Il discorso non può, però, evidentemente, essere generalizzato. Bisogna distinguere la egosintonia dalla egodistonia. In un rapporto sadomasochistico egosintonico vi è il riconoscimento del sé e dello stare bene con il proprio sé, vissuto appunto come proprio. Nella distonia v’è una stonatura, un malessere, spesso indefinito, una sorta di disagio. Sono gli egodistonici che, di fatto, arrivano alla nostra attenzione clinica. È una caratteristica del mondo umano quella del masochismo, in cui il soggetto può essere diviso da se stesso e trovarsi contro se stesso, lavorando per il proprio male: l’animale lavora per preservare la sua specie, non è mai contro se stesso, non assume atteggiamenti autolesionistici. Il benessere non è necessariamente la meta dell’essere umano, o meglio, il confine tra benessere e malessere può essere così labile, che il benessere può tramutarsi in malessere e il soggetto godere del male. Anzi, è proprio dell’umano avere un attaccamento alla fonte del dispiacere, del dolore. Nell’essere umano le nostre cicatrici invisibili, stabiliscono e testimoniano un rapporto di continuità, seppur meno doloroso, con la sofferenza che abbiamo subito e di cui è rimasta traccia. La cicatrice permane come zona di maggiore vulnerabilità ad una sofferenza futura, tendendo alla ripetizione della sofferenza. Non dimentichiamo che le vie nervose trasportatrici del piacere e del dolore sono le stesse. Quella che può variare è l’intensità della stimolazione che, se lieve, può generare piacere e se forte, dolore. E quella che varia, ancora, è la fonte del piacere e del dolore, a parità di stimolazione. Una carezza data da qualcuno che gradiamo è fonte di piacere, ma se lo stesso tocco ci proviene da qualcuno che non ci piace, ci dà dolore o, al limite, fastidio.

L’enigma del masochismo è l’attaccamento dell’essere umano al trauma ed alla sofferenza subita, anche se per l’economia psichica dell’individuo sarebbe utile allontanarsi dalla sofferenza stessa. Ma il trauma innesca la ripetizione del trauma stesso e del male che ne consegue.

Da ciò il necessario distinguo tra il mondo maschile e quello femminile.

La costruzione dell’identità maschile è relativamente più facile, è lì, basata sul fallo. Il maschile si identifica rigidamente in una identità, quella fallica, quello che Lacan definisce “ingombro fallico”.

La costruzione della identità femminile non può basarsi su nulla di precostituito, non può essere la maternità, che rappresenta più che l’affermazione di essere donna, quella di essere madre. Ma madre non è femmina. Ed allora la costruzione dell’identità femminile è oscura,  non è definita, manca di una identificazione solida, ma può solo essere in fieri. Purtroppo può non essere mai raggiunta o essere raggiunta solo tardivamente, come accade nelle patologie anoressiche in cui la femminilità (e la maternalità, di conseguenza), sono negate come fonte di piacere. E spesso sono confuse. Non è un caso che spesso accada che matrimoni “bianchi” giungano all’attenzione del sessuologo quando la donna comincia ad andare avanti negli anni e sente scadere il suo tempo biologico per diventare madre. Si rivolge al sessuologo perché vuole diventare madre, non per dare un senso alla sua femminilità.

La donna è sempre “altra” per Lacan, è ETEROS, è un enigma, sfugge ad una propria identità. È questa la ragione per cui la donna si affida ad un uomo capace di mostrarle cosa è una donna, come se l’uomo fosse una bussola per il sé. Ciò nel bene e nel male. L’uomo può riflettere alla donna un’immagine di sé positiva e gratificante, oppure negativa, che paradossalmente lega ancora di più la donna al suo “aguzzino” denigrante. La donna, invece, dovrebbe trovare da sé la propria strada, non può identificarsi con la propria madre, che pure è primario oggetto di identificazione e primo oggetto d’amore, ma neppure cercarsi specularmente in un uomo. Per poter essere una donna “adulta” è necessario elaborare il lutto, la separazione dalla propria madre. Una madre sufficientemente buona, come la voleva Winnicott deve prendersi cura del figlio, ma non deve obliare la propria femminilità.

Allora cosa è l’amore? L’amore è spinta verso l’eccesso, l’assoluto. Quando l’amore è presente, è sempre disarmonico, è sempre rottura di un equilibrio psichico preesistente. Ecco perché si dice che l’amore è simile ad alcune forme di follia.

L’equilibrio d’amore nella coppia è rimanere sempre un po’ estranei l’uno all’altro, ma non perché ci siano delle cose da nascondere, celare: molto più semplicemente per mantenere viva la curiosità nel rapporto. Paradossalmente, dunque, le patologie di coppia si hanno quando non c’è più il “segreto”, quando si esclude la mancanza.

Mai diventare del tutto trasparenti all’altro.

Inserito il:19/01/2016 11:44:28
Ultimo aggiornamento:03/02/2016 22:21:27
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