Aggiornato al 25/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire
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Matias Klarwein (1932 – 2002) - Luna e Sole (anni '60)

Letteratura, Antropologia e Sessualità. 


Seconda parte

 
“La volontà di sapere” (1978) di M. Foucault è un testo introduttivo a “La storia della sessualità”, a cui si affiancano “L'uso dei piaceri”, “La cura di sé” e l'inedito “Les aveux de lachair”.
Obiettivo dell'autore è quello di ricostruire la genealogia della sessualità.
Il “sapere” sul sesso è inteso come strumento e supporto per un controllo dei comportamenti individuali e sociali.
All'origine di questi discorsi Foucault pone la confessione cristiana, la quale, mentre fino al XVII secolo, nell'ambito delle pratiche penitenziali obbligatorie, dell'ascetismo, del misticismo e dell'esercizio spirituale medievali, era un discorso sui ‘peccati della carne’, una rivelazione delle infrazioni commesse contro le leggi religiose e civili, a partire dalla pastorale cristiana della Controriforma, diventa rivelazione non solo degli atti peccaminosi, ma anche dei pensieri più nascosti legati al sesso, dei piaceri vissuti o solo immaginati, dei desideri.

La confessione della carne rappresenta da sempre la parte più importante del sacramento della penitenza.
Essa è stata per molti secoli il dispositivo fondamentale per la produzione della verità sul sesso. In seguito, in particolare a partire dal XVIII secolo, la tecnica della confessione è stata fatta propria anche da altre istituzioni e altri meccanismi di potere, si è modificata, adattandosi alle regole del discorso scientifico.
Essa è così entrata nel campo delle relazioni familiari (rapporti fra genitori e figli), nella pedagogia (rapporti fra allievi e pedagoghi), nella medicina e nella psichiatria (relazioni fra malati e medici o psichiatri), nella giurisprudenza (rapporti fra delinquenti ed esperti) ed anche nell'economia (in particolare in relazione alla regolazione spontanea o progettata delle nascite). Da questo si è costituita una scientia sexualis, basata sulla produzione di discorsi sul sesso attraverso il meccanismo della confessione, che pone la sessualità come qualcosa che è ‘per natura’ un territorio aperto a processi patologici e che richiede, pertanto, interventi terapeutici.

Si viene, inoltre, a creare una separazione fra la medicina del sesso e la medicina generale del corpo.
Il sesso, isolato dal resto del corpo, acquista una sua autonomia, tanto che può presentare delle anomalie costitutive, dei processi patologici (le perversioni), anche in assenza di alterazioni e patologie organiche.
Alla scientia sexualis l'autore contrappone l’‘ars erotica’ propria delle società orientali, di quella arabo-musulmana e della Roma antica, secondo cui il piacere è considerato per se stesso, nella sua intensità, nelle sue qualità, nei suoi effetti sul corpo e sull'anima.
Solo pochi ne sono detentori, i maestri, i quali, a loro volta, lo trasmettono per mezzo di pratiche esoteriche di iniziazione al piacere, rivolte solo a pochi eletti. Anche nel mondo occidentale, in realtà, si è conservata una ‘ars erotica’. Una delle sue espressioni è costituita dai veri metodi elaborati dai mistici cristiani per raggiungere l'unione con la divinità, che rappresenta il sommo piacere.
In quello che Foucault chiama ‘dispositivo di sessualità’ si intrecciano dunque molteplici meccanismi di potere, di sapere, di verità e di piacere.
Secondo Foucault la nostra è una società di perversi e di perversione, in quanto questi meccanismi, le spirali di potere-piacere favoriscono lo sviluppo e il manifestarsi delle sessualità multiformi e periferiche, ovvero delle perversioni.

C. Lévi-Strauss nel Capitolo XI “Il sesso degli astri” dell’Antropologia strutturale due del 1978, considera il modo in cui le lingue ed i miti procedono per sottolineare l’opposizione tra la luna e il sole, cercando di trovare dei contrasti nel genere delle parole che, nelle prime e nei secondi, servono a designare i due astri, oppure nelle forme verbali denotanti la loro relativa grandezza o luminosità.
Il problema non era semplice e una opposizione, la cui natura binaria sembra così evidente all’osservatore occidentale, poteva, in culture lontane, essere espressa sotto forme singolarmente indirette.
Nell’America del Sud e in quella del Nord numerose lingue designano il sole e la luna con la stessa parola.
Nell’irochese, ad esempio, uno stesso termine connota i due astri. Le lingue del gruppo algonchino procedono nello stesso modo: in lingua blackfoot: /kèsùm/, “sole, luna”; in menomini: “sole”, “sole della notte passata, luna”; in arapaho: “lume celeste”.
Nelle lingue seminale, hichiti, choctaw e cherokee, un solo termine designa il sole e la luna.
I Quinault chiamano la luna con una parola che significa “sole notturno”.
In molte lingue o dialetti della California – achomavi, maidu settentrionale, karok, patwin, pomo orientale e settentrionale, kato, wailaki, miwok lacustre, wappo – il sole e la luna portano lo stesso nome.
Nell’America del Sud, lingue quali il carib e il tupi possiedono generalmente termini distinti.
Gli Uitoto chiamano il sole /hitoma/ e la luna /hwibui/ o /manaidè-hitoma/, “sole freddo”.
Se i Chibcha dell’altopiano andino avevano i termini /zuhé/ e /chia/ per indicare il sole e la luna, che consideravano rispettivamente maschio e femmina, sul versante occidentale i Canapa dicono /pa’ta/ e /popa’ta/ per astri considerati entrambi maschili, e gli Waunana del Choco usano /edau/ “sole, giorno, luna”.
Nonostante un ricco vocabolario, la maggior parte delle lingue gé formano i nomi della luna e del sole sulla base di una stessa radice, in questo caso /put-/, /pud-/. Molte lingue arawak usano lo stesso procedimento; così, in palikur sole e luna si dicono rispettivamente /kamoi/ e /kairi/, in vapidiana /kamu/ e /kaier/, in kustenau /kxami/ e /kwataua/, in paressi /kamai/ e /kaimarè/.
L’uso di un solo termine per designare il sole e la luna, o di termini formati sulla stessa radice, non implica che gli astri siano obiettivamente confusi tra loro e che sia loro attribuito lo stesso sesso.
Gli Irochesi possono nello stesso tempo chiamare il sole e la luna con la stessa parola e farli nascere rispettivamente dalla testa e dal corpo di una donna decapitata, o anche l’opposto; tuttavia dipingono il sole maschio e la luna femmina, d’accordo con altri miti d’origine che derivano il sole, in quanto lume, dalla testa tagliata di un uomo il cui corpo presiede al riscaldamento diurno, e la luna, in quanto lume, dalla testa tagliata di una donna il cui corpo attende al riscaldamento notturno.

La lingua unisce quindi gli astri che la mitologia distingue doppiamente: per quanto riguarda il sesso del personaggio da cui traggono origine, e dal punto di vista della parte, alta o bassa, del corpo di questo personaggio, corrispondente a due funzioni diverse, illuminante e riscaldante, che ogni astro assolve per suo conto.
Di fatto, questa distinzione tra la funzione rischiarante e la funzione riscaldante sembra spesso più importante di quella degli astri propriamente detti, il che spiega forse il fatto che gli astri in quanto tali siano designati con la stessa parola.
I Cubeo non pongono il sole e la luna sullo stesso piano, sostenendo che il sole non è altro che la luna dispensiera di luce e di calore durante il giorno. Sotto il suo aspetto solare, il lume /avyà/ non possiede alcuna connotazione antropomorfica. Invece la luna, divinità maschile, occupa un posto considerevole nelle rappresentazioni religiose.
La parola /okohi/ designa il momento più caldo della giornata e si riferisce al potere calorico del sole, distinto dalla sua luminosità. La luna e il sole possiedono in comune il potere di rischiarare, ma solo il secondo è capace di riscaldare.
Gli Emok-Toba del Chaco e i Kubeo ritengono che la luna sia un dio maschile, defloratore delle vergini e responsabile della mestruazione.
Il sole, di genere femminile, non appare che sotto due aspetti: ‘luminoso’ e ‘riscaldante’.  Nel caso della notte, la presenza o l’assenza degli astri ha la conseguenza di procurare una relativa presenza o una mancanza totale di luce, mentre il sole, congruente più che opposto al giorno, determina soltanto diversi gradi di luce, a seconda che brilli o che si nasconda dietro le nuvole.

Anche i sessi assegnati al sole e alla luna appaiono mutabili in base alle funzioni che incombono a ciascun astro, in un particolare contesto mitico o rituale. Quando il sole e la luna sono di genere diverso, possono essere parenti tra loro oppure no.
Nel primo caso, possono essere fratello e sorella, marito e moglie, o avere le due relazioni insieme, come accade nel mito, attestato da un capo all’altro del Nuovo Mondo, dell’incesto del sole con la luna.
Nella Colombia e nell’Ecuador sul versante occidentale delle Ande, l’opposizione tra il sole e la luna si esprime non più attraverso il genere maschile o femminile di ogni astro, ma attraverso la loro diversa età, anche se sono gemelli, e soprattutto attraverso le loro doti naturali: il sole è riflessivo, prudente, efficace; il suo fratello luna agisce con leggerezza e commette ogni sorta di sbagli, spesso fatali, che il fratello maggiore si incarica di rimediare.

Tutte queste indicazioni mostrano dunque che non esiste corrispondenza automatica tra le opposizioni linguistiche e quelle espresse in altri modi: nelle credenze religiose, nei riti, nei miti o nei racconti. Il contrasto grammaticale tra i generi non riflette lo stesso contrasto sul piano semantico, e può anche contraddirlo. Inoltre, determinati contrasti semantici, ricorrenti su numerosi piani, si contraddicono tra di loro.
Gli astri, o non sono distinti, o lo sono. Se non lo sono, il sole è un modo della luna, o viceversa. Se sono distinti, la differenza è o sessuale, o non sessuale. Se è sessuale, essa fa del sole il maschio, della luna la femmina, o il contrario, e in entrambi i casi gli astri possono essere marito e moglie, fratello e sorella, o le due cose insieme. Se la differenza non riguarda il sesso, essi possono essere o due donne o due uomini, che allora si contrappongono per il carattere o per il potere.

In tutta l’America, il pensiero mitico pone il problema dell’alternanza regolare del giorno e della notte, un’alternanza implicante che gli astri restino ad una ragionevole distanza; un loro eccessivo accostarsi o allontanarsi reciproco provocherebbe sia il giorno senza fine, sia la notte senza fine. Del sole e della luna si può dire una cosa che vale per innumerevoli esseri naturali manipolati dal pensiero mitico: quest’ultimo non cerca di dar loro un senso, esso “si significa” attraverso di loro.

Forti opposizioni e contrapposizioni, dunque, ben definite anche dal punto di vista sessuale, ed esprimibili per l’uomo con gli aggettivi ‘alto e forte’ e per la donna con‘ bassa e debole’, che ai tempi odierni, caratterizzati da una continua confusione di ruoli e da una ‘liquidità’ dell’amore, un amore cioè, diviso tra il desiderio di emozioni e la paura del legame, come sostiene Bauman, si stanno perdendo…

  

Riferimenti bibliografici 

Bauman Z., Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi. Bari. Laterza, 2003
de Balzac H., Physiologie Du Mariage, Calmann-Levy Paris, 1929.
de Beauvoir S., Il secondo sesso Milano, Il Saggiatore, 1961
Foucault M., La volontà di sapere. Milano, Feltrinelli, 1978
Lely G., Sade, Paris, Gallimard, 1967
Lévi-Strauss C. Antropologia Strutturale, Milano, Il Saggiatore,1966
Lévi-Strauss C. Antropologia Strutturale due, Milano, Il Saggiatore,1978
Ovidio P. Nasone L’arte d’amare, Milano, Rizzoli, 2000
Rousseau J.J. Giulia o la nuova Eloisa Rizzoli, Milano 1992
Rousseau J.J Emilio Laterza, Bari 1998
Selvini Palazzoli, M. L'anoressia mentale. Milano, Feltrinelli, 1963

 

Inserito il:18/02/2015 10:50:07
Ultimo aggiornamento:03/03/2015 19:59:28
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