Aggiornato al 18/03/2025

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Voltaire

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I giganti della finanza Usa piloti delle banche europee

di Vincenzo Rampolla

 

Le recenti mosse nel settore bancario italiano e europeo svelano una strategia ben precisa: il controllo del risparmio gestito su scala globale. L’offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit su Bpm non è soltanto roba da acquisizione societaria, ma il tassello di un piano più esteso, ambiguo e simulatore, per creare un gigante finanziario capace di competere con quelli yankee, tipo BlackRock, Vanguard o State Street, sinonimi di potere economico assoluto, capaci di acquisire il controllo di gioielli come Apple e Microsoft, oltre a saper pascolare nell’élite dello Standard & Poor’s 500. Grazie alla straordinaria quantità di risparmi planetari accaparrata e alla maestrìa di influenzare i mercati finanziari, hanno trasformato il libero mercato nel duplicato di un monopolio perfettamente manovrato da pochi registi. Intrigante il caso BlackRock.

BlackRock e i fondi. La loro influenza non si limita al controllo delle aziende private nei settori tecnologico e finanziario, ma si estende alle società pubbliche che gestiscono infrastrutture vitali per la Nazione: energia, acqua e trasporti. Basata su acquisizioni strategiche e partecipazioni mirate, hanno sfondato nel mercato delle multiutility, società di servizi pubblici nate in Europa, Italia e quotate in Borsa. Tattica questa per rendere il fondo passe-partout per le strategie di settori storicamente di diritto pubblico e per liberare il campo ai piloti delle politiche aziendali e nazionali, liberi di massimizzare i rendimenti finanziari, nella maggior parte dei casi a scapito dell’investitore.

Dominio assoluto sul risparmio mondiale. I numeri parlano chiaro: secondo Federal Reserve, a inizio 2024, i 10 principali fondi d’investimento americani gestivano attivi per $48.000 Mld. Vanguard, BlackRock e State Street gestivano oltre $22.000 Mld, pari al totale degli attivi posseduti dall’intero sistema bancario Usa ($23.000 Mld). Negli ultimi anni la concentrazione di potere è esplosa dopo il famoso 2008, anno della crisi che ha benedetto i fondi, svincolandoli dai mutui subprime. In men che non si dica, il potere, da assoluto appannaggio delle banche, si è trasferito nelle tasche, più che nelle mani, dei giganti finanziari, alterando gli equilibri economici globali.

Partecipazioni incrociate e controllo dei mercati. Un aspetto fondamentale del potere esercitato dai fondi è rappresentato dalle partecipazioni incrociate. BlackRock, ad esempio, è posseduto per il 14% da Vanguard, mentre Vanguard è controllato per il 13,5% da BlackRock. State Street, dal canto suo, è detenuto in parte da Vanguard e da BlackRock. La fluidità delle partecipazioni rende quasi impossibile arrivare al reale proprietario finale dei giganti. La rete di partecipazioni incrociate dei 3 fondi poggia su una quota di controllo delle principali società del listino, in numero tale da condizionare le decisioni strategiche di interi settori economici.

Influenza sulle agenzie di rating e mercati azionari. La forza dei fondi arriva anche alle Agenzie di rating, determinando la valutazione del debito sovrano e delle obbligazioni aziendali. Attraverso il controllo su indici come MSCI World (ex Morgan Stanley Capital International, colmo di migliaia di titoli azionari di livello globale di 23 Paesi), i fondi possono influenzare i criteri ESG (Environmental Social and Governance) che determinano la sostenibilità delle aziende. Detenendo il 25% delle quote di MSCI, i 3 fondi possono pilotare le valutazioni sulle performance ambientali e sociali delle società, rafforzando ulteriormente i loro interventi sul mercato.

Il caso Nvidia. L’esempio della crescita esponenziale del valore azionario di Invidia è un caso emblematico della capacità di manipolazione di questi fondi. Nel 2024, la capitalizzazione di mercato di Nvidia è pari a $3.300 Mld, superando Apple e diventando per valore la più grande azienda al mondo. Circa $1.000 Mld sono nelle mani dei 3 fondi principali, con un aumento di valore alimentato dalle iniezioni di liquidità effettuate dagli stessi fondi, non da un’effettiva crescita del fatturato. Nasce una reale bolla speculativa, con prezzi gonfiati artificialmente e il rapporto prezzo/utili che supera in modo abnorme quello di molte altre aziende.

E l’influenza dei fondi si estende anche ad altri settori: il fondo Nato, ad esempio, creato per finanziare progetti legati all’AI, conta BlackRock e Vanguard tra i suoi principali azionisti. La crescita di società come Nvidia è direttamente sostenuta dagli investimenti dei fondi, che giocano con la loro liquidità per tenere elevati i prezzi azionari e garantire elevati rendimenti. Di fatto, è un monopolio, camuffato da libero mercato, che consente ai fondi di influenzare e toccare fino all’osso il settore tecnologico, la Difesa e l’AI.

Exchange Traded Funds (ETF). Un altro strumento usato dai fondi per consolidarne la supremazia è la replica degli indici azionari, semplificando agli investitori l’acquisto di pacchetti di azioni. In particolare li impiegano per ridurre la concorrenza e aumentare il controllo sui prezzi delle azioni delle società in cui investono. Progettando ETF contenenti titoli di aziende concorrenti, i fondi riescono a mantenere i prezzi alti e a garantire rendimenti costanti, mascherando la falsa presenza di un mercato competitivo, mentre in realtà è dominato da un pugno di attori.

Un nuovo ordine economico globale. La concentrazione di potere nelle mani di pochi fondi d’investimento saliti al rango di nuovi padroni dell’economia globale, il controllo totale delle società quotate delle infrastrutture pubbliche e dei mercati finanziari hanno trasformato nel profondo il panorama economico mondiale. Questo sistema mina seriamente l’esistenza stessa di un modello economico che premia il profitto a breve termine a scapito degli interessi pubblici e segna l’inizio di un nuovo ordine mondiale: da sana gestione del capitale a radicato controllo dei bisogni dell’individuo. Dietro queste manovre si intravede l’attuazione di un progetto che affonda i germi nei piani Draghi e Letta, mirati a trattenere all’interno dell’Europa il risparmio dei cittadini, patrimonio che supera i €33.000 Mld. L’EU, in questo game, scopre la sua ambiguità: con deroghe sulle norme antitrust e ambizioni di un mercato unico dei capitali, spiana la strada a super-aggregazioni, giganti che inquinano il sistema bancario EU e scendono in campo nel duello per l’egemonia del potere finanziario globale, Usa in primis, attore e arbitro.

La vera sfida, non è dunque limitata a costruire colossi finanziari, ma di abilitarli al diritto di offrire rendimenti agli investitori privilegiati, convogliando indisturbati il flusso di capitali nel ventre molle degli Usa. E il rischio, dov’è? Ben celate, dietro le fusioni tra primarie banche EU, operano in realtà le rapaci grinfie dei fondi Usa che già ne posseggono rilevanti quote.

In Italia, il Governo con candore prova a giocare la sua partita, con il Ministro dell’Economia che evoca il Golden power per contrastare l’offensiva di Unicredit su Bpm. Illusione. Le dinamiche in corso non lasciano spazio a piccoli attori nazionali, e l’idea di costruire un 3° polo bancario italiano è velleitaria. Nel frattempo, le banche italiane non sostengono l’economia reale, incassano profitti record e li reinvestono in operazioni finanziarie: in due anni, i loro utili hanno superato i €100 Mld, mentre i volumi di credito erogato non arrivano a €500 Mld/anno. E qui viene il bello.

Le prime 5 banche italiane UniCredit, Intesa San Paolo, Banco BPM, Bper, MPS - dati emessi dal sindacato bancari FAB - già nei primi 9 mesi 2023 hanno incassato utili per €16 Mld. Eccellente la qualità del credito, la crescita degli utili e della redditività che hanno portato il ratio cost/income ad attestarsi in media a 46%. Più è basso, più è positivo. Nel 2018 era a 62%.

Anche all’estero il copione si ripete: Commerzbank, spiazzata da un’eventuale scalata di Unicredit, mossa del tutto priva dello stile italiano, risponde con un’operazione di buyback e aumento dei dividendi. Cui prodest? La solita banda: Unicredit è il secondo azionista della banca tedesca (6,21%), primo il Governo e BlackRock (con 7,019% di Unicredit e 7,34% di Commerzbank) sonnecchia in ombra da regista yankee del game, con posizioni regali in entrambi gli Istituti. È la conferma di un sistema dove una fitta rete di investitori, guidati da logiche globali, si autoalimenta, tenia che accumula ricchezza e potere nutrendosi delle interiora del popolo ignaro.

Trionfa la golden rule della Banca italiana: piena diligenza ai vertici, per garantire i dividendi agli azionisti, scarsa se non nulla, a regolare effetti e minacce a risparmio e patrimonio delle famiglie.

Nel mentre, non appagato, a mani piene Trump ci infila i dazi per far straboccare il forziere.

 

(consultazione:   insideover g.gagliano 24.11.2024; washington post: sole24ore; milano finanza; rapporto fab 2023 )

 

Inserito il:27/02/2025 11:22:56
Ultimo aggiornamento:27/02/2025 16:52:57
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