Aggiornato al 07/10/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Georges de La Tour (Ducato di Lorena, 1593 – Lunéville, 1652) – Payment of dues (1634)

 

La Trumponomics ed il commercio internazionale

di Bruno Lamborghini

 

La decisione di Trump di imporre dazi del 25% all’import di acciaio e del 10% a quello dell’alluminio ha sollevato proteste in tutto il mondo, ma le maggiori proteste sono venute all’interno degli USA da parte dell’industria americana.

In risposta l’Unione Europea ha minacciato di porre dazi all’import UE dagli USA per le moto Harley Davidson ed il Bourbon Wiskey, una controffensiva molto simbolica.

Di fronte a queste reazioni, Trump ha minacciato via Twitter di voler fermare l’import di auto europee, dicendo che “le guerre commerciali sono buone e facili da vincere”.

In realtà, Trump non sa o sottovaluta il fatto che l’industria utilizzatrice USA dipende per il 33% dall’importazione di acciaio estero e per il 90% dall’importazione di alluminio.

Quindi, se il suo obiettivo, come ha promesso in campagna elettorale, è di far riprendere la produzione della Rust Belt, i dazi non faranno altro che aumentare i costi interni, visto che molto difficilmente vi potranno essere a breve investimenti e sviluppi da parte dell’industria USA dell’acciaio e soprattutto quella dell’alluminio, in netta riduzione.

Non vi è dubbio che la mossa di Trump rischia di danneggiare più l’industria utilizzatrice americana che i paesi esportatori (Canada, Brasile, Messico, Europa), i quali in parte potranno cercare altri sbocchi.

E quindi è possibile che la decisione venga annullata o ridotta, per effetto delle reazioni interne.

In realtà, l’obiettivo generale di Trump è quello di ridurre le importazioni e riportare a casa produzioni USA localizzate all’estero, riducendo la dipendenza dall’estero e tentando di creare nuove opportunità di lavoro nella Rust Belt e nelle aree deindustrializzate. Una sua recente dichiarazione: “Gli Stati Uniti hanno 800 miliardi di dollari l’anno di deficit commerciale a causa dei nostri stupidi accordi e delle nostre stupide politiche. I nostri posti di lavoro e la nostra ricchezza vanno a finire in paesi che si sono approfittati di noi per anni”. Forse pensa anche alle attività di tante corporations USA che hanno scarsamente o mai pagato tasse in USA in base ai loro ricavi esteri, infatti sta riportando a casa molti ricchi patrimoni con facilitazioni fiscali, vedi gli operatori della Internet Economy.

In realtà, la globalizzazione con la positiva crescita degli scambi commerciali e lo sviluppo di tanti paesi emergenti, non ha peraltro eliminato le politiche protezionistiche, si pensi alle pratiche protezionistiche di Cina e India, ma anzi ha favorito preoccupanti squilibri nelle bilance commerciali tra i paesi in gigantesco surplus strutturale (Cina e Germania) ed i paesi in pesante deficit e tra questi primeggiano gli USA, con effetti di trasferimento di posti di lavoro e delocalizzazioni di attività produttive.

Si tratta di uno squilibrio strutturale anomalo che rischia di portare a guerre commerciali, a forme di protezionismo, ad una minore spinta del commercio internazionale che è ancora il maggiore driver di sviluppo dell’economia mondiale.

Non può inoltre non preoccupare gli Stati Uniti l’ingente stock di Bonds USA accumulati dal surplus cinese e quindi fuori controllo da parte delle autorità monetarie americane. Lo stesso accumulo di surplus commerciale da parte della Germania può anche determinare instabilità e problemi nei paesi debitori.

Non vi è dubbio che è normale che le diverse dinamiche di innovazione e sviluppo nei diversi paesi, così come i divari dei costi del lavoro, facciano sì che alcuni paesi siano più competitivi rispetto ad altri con conseguenti effetti sulle bilance commerciali.

Accanto ad una fisiologia degli scambi vi possono essere invece fenomeni patologici che occorre affrontare con politiche adeguate, ricorrendo a dazi solo nel caso di effettivo dumping dei prezzi relativi all’interno ed all’estero.

Il che non è il caso delle decisioni di Trump.

Il riequilibrio delle bilance commerciali può e deve al contrario avvenire con adeguati interventi ed accordi da concordare tra i partners e nelle sedi opportune (vedi WTO). E quindi, non con violente guerre commerciali che danneggiano in primo luogo i paesi che le minacciano e le pongono in atto.

 

Inserito il:07/03/2018 00:30:57
Ultimo aggiornamento:07/03/2018 00:37:21
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