Anonimo (anno 1951) - Hospital room - Tempera
Servizio Sanitario Nazionale: come renderlo sostenibile
di Loredana Luzzi
La spesa sanitaria pubblica italiana per la sanità nel 2015 è stata di 112, 41 miliardi di euro. Questo importo non corrisponde all’effettiva spesa sostenuta dagli italiani per curarsi: esso rappresenta i due terzi (76%) della spesa totale, stimata in 147,3 miliardi di euro. La differenza è data da quello che viene definito “out of pocket” ossia le spese sostenute direttamente dai cittadini - 30,4 miliardi, sempre stimati - o la spesa intermediata dall’assistenza complementare - 4,4 miliardi di cui meno di 1 a carico di polizze assicurative e circa 3,4 a carico dei fondi sanitari integrativi - . Con questi dati è stato aperto, a cura di Nino Cartabellotta della Fondazione GIMBE, il convegno alla Leopolda che si interrogava sulla sostenibilità del SSN e sulle opportunità del “sistema salute”.
Il finanziamento pubblico del SSN ha registrato, dal 2001 una percentuale di crescita costante di anno in anno, fino al 2011; da quell’anno si è registrata, dapprima una riduzione in termini assoluti della spesa tanto che il 2012 è considerato “annus horribilis” a causa degli interventi di “spending review”. Dal 2013 al 2015 il finanziamento resta di fatto costante, attestandosi sui 110 mld di euro per crescere, nel 2016 di 1 mld di euro.
La legge di previsione del bilancio dello stato per il 2017 del dicembre 2016 riporta, tra l’altro, la previsione triennale per la spesa sanitaria per il triennio 2017 – 2019 stabilendo un fondo di 114 mld per il 2018 e di 115 per il 2019. Tali previsioni sono state corrette con il DM del 5 giugno 2017 diventando, rispettivamente, 112,5 mld per il 2017, 113,3 per il 2018 e 114 per il 2019.
In questo contesto, con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2017 sono stati definiti ed aggiornati i livelli essenziali di assistenza (LEA), introducendo nuove prestazioni sanitarie che il Servizio sanitario nazionale dovrà garantire ai cittadini gratuitamente o pagando un ticket. Fra queste prestazioni troviamo, ad esempio, un nuovo elenco delle protesi, la fecondazione assistita eterologa ed omologa, nuovi vaccini (come l'anti Pneumococco, l'anti Meningococco e l'anti Varicella, ed estende quello per il Papillomavirus anche agli adolescenti maschi), screening alla nascita, esenzione dal ticket per chi soffre di endometriosi, patologie quali la celiachia che passa dall'elenco delle malattie rare a quelle croniche. A ciò si aggiungono esenzioni per ulteriori 118 malattie rare e revisione dell’elenco delle malattie croniche con l’aggiunta di 6 patologie tra cui la Broncopneumopatia.
L’impatto dei nuovi LEA è stato valutato dal Governo in 800 mln - vincolati al Fsn - ma le Regioni, nonostante l’intesa sottoscritta lo scorso anno, ritengono che per garantire il nuovo pacchetto di prestazioni sono necessari almeno 1,6 mld. L’attuazione del decreto, per molte parti, è demandata alla pubblicazione di ulteriori atti e pertanto, ad oggi, non è ancora completamente in vigore.
L’analisi sullo stato del Servizio Sanitario Nazionale pone in risalto un altro aspetto che è quello del divario fra il nord e il sud dell’Italia. Le differenze oro-geografiche, sociali ed economiche fra le regioni del nord e quelle del sud sono evidenti e questa differenza si esplicita anche nel settore sanitario, sia sul fronte della organizzazione dei servizi, della capillarità degli stessi, della quantità e della qualità delle prestazioni erogate. Un esempio lampante è dato, ad esempio, dalla quantità di prestazioni sanitarie erogate da alcune regioni del nord – in primis la Lombardia – a favore di cittadini provenienti da altre regioni del Paese.
In questo contesto, posto che si ritiene che l’avere un sistema sanitario nazionale con caratteristiche di universalità sia un valore a cui non rinunciare, si pongono seriamente le questioni in merito a:
- quali e quante prestazioni effettivamente erogare;
- la sostenibilità a livello regionale;
- quale ruolo deve avere il livello centrale in materia di monitoraggio sui LEA.
In merito al primo punto non vi è dubbio che il riferimento sulle prestazioni da erogare è rappresentato dal DPCM sui LEA. In tale ambito è necessario però lavorare su un aspetto fondamentale che è quello della appropriatezza e della verifica dell’efficacia. Sono da garantire prestazioni e servizi la cui efficacia è dimostrata. Ciò non preclude la possibilità di avere seri programmi di verifica per l’introduzione di nuove metodiche e tecnologie. Solo le prestazioni di comprovata efficacia dovrebbero essere pagate dal SSN, lasciando all’area delle partnership e delle sperimentazioni “i Test” su metodiche e tecnologie innovative, da effettuarsi in modo scientificamente rigoroso e con regole trasparenti.
Dato l’esito del referendum del dicembre 2016 non vi è alcun dubbio che nel nostro ordinamento la Sanità non è di competenza esclusiva del livello centrale: la regolamentazione nella materia sanitaria è a “legislazione concorrente” e ciò significa che Regioni e livello centrale devono lavorare insieme, in modo sinergico, al fine di garantire la sostenibilità del sistema.
Le Regioni hanno di fatto una competenza esclusiva sulla organizzazione dei servizi ed in questo campo si gioca, a livello regionale, la sostenibilità. Molte Regioni hanno recentemente “messo mano” all’assetto organizzativo del proprio sistema sanitario regionale (es: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Piemonte etc..). Il fenomeno comune è rappresentato da quello che qualcuno ha definito “il gigantismo aziendale” ossia una progressiva concentrazione di aziende volta a rendere maggiormente efficiente il sistema di funzionamento.
Questo però richiede la capacità, a livello della singola azienda, di rileggere i processi produttivi e le relazioni all’interno ed all’esterno della stessa con la creazione di figure manageriali intermedie che siano prossime ai luoghi di erogazione dei servizi. Parlo più volentieri di servizi che di prestazioni in quanto si ritiene che, ad esempio, nella gestione dei pazienti cronici, sia più efficiente ed efficace ragionare in termini di “presa in carico” piuttosto che di erogazione delle singole prestazioni.
A tale proposito vi è chi, invece, ritiene che la sostenibilità possa essere resa possibile solo attraverso la rigorosa trasformazione delle risorse monetarie a disposizione in prestazioni per i cittadini. E’ chiaro il riferimento ai piani di rientro delle singole aziende sanitarie e ai meccanismi di “forzato” pareggio economico operato dalle regioni nei confronti di alcune aziende sanitarie. Bisognerebbe esplorare nuove forme giuridiche per le aziende sanitarie pubbliche in una logica di responsabilità e rendicontazione.
Quanto al ruolo del livello centrale, al di là del fatto che già il nostro ordinamento prevede modalità e strumenti affinché lo stesso possa verificare a livello aziendale l’efficienza della gestione - vedi DM 21 giugno 2016 sui c.d. “piani di rientro” – si ritiene che gli interlocutori per questo livello siano le Regioni e che solo attraverso la messa in atto di meccanismi premiali e sanzionatori si possa garantire l’effettiva sostenibilità.
Del resto la storia sui “piani di rientro regionali” ha evidenziato come, se effettivamente costrette, le Regioni riescano a mettere in atto meccanismi di revisione e riduzione della spesa. Strumenti quali il Piano nazionale esiti dovrebbero essere rafforzati ed abbracciare anche la parte gestionale ed amministrativa. Vi sono aree, nella gestione aziendale, che consentirebbero ampi margini di recupero di efficienza sia sotto il profilo della minore spesa che, soprattutto, del migliore impiego di risorse.
Spesso queste sono aree che fanno riferimento al livello tecnico amministrativo e non clinico. Una seria verifica, con standard di riferimento nazionali, ad esempio sull’area della gestione documentale, del funzionamento degli uffici preposti alla gestione e programmazione delle risorse umane, dei sistemi operativi volti alla gestione e manutenzione del patrimonio potrebbero portare in evidenza situazioni significative di ampi margini di recupero di efficienza con la possibilità di impiego di risorse, anche umane, in settori a supporto dei servi e delle prestazioni erogate ai cittadini.