Bandiera dell'Europa
Pubblichiamo questo articolo del Prof. Bruno Lamborghini propedeutico all' Incontro a tema di Nel Futuro "Il Rapporto Draghi sulla competitività europea e le prospettive dell’UE" che avrà luogo sulla piattaforma Zoom giovedì 10 ottobre alle ore 17:00.
Oltre che ai Soci dell'Associazione Culturale Nel Futuro, l'invito a partecipare alla presentazione ed al dibattito viene in questa occasione esteso a tutti i lettori interessati a questo argomento di estrema importanza e attualità. Richiedere le credenziali per l'accesso alla sessione Zoom a: convegni@nelfuturo.com oppure a redazione@nelfuturo.com.
Draghi combatte la lenta agonia dell’Europa
di Bruno Lamborghini
Draghi ha presentato su richiesta della Commissione Europea un Rapporto intitolato “The future of the European competitiveness”, suddiviso in una sintesi di 65 pagine e una parte più analitica e corposa di 328 pagine che tratta specifiche Politiche settoriali/Politiche orizzontali, per cercare e prospettare risposte al declino della competitività di una Europa che rischia di perdere sempre più il confronto con le due potenze dominanti, USA e Cina.
Il Rapporto intende aprire nuove strade alla politica ed alla Governance dell’Unione Europea, in una fase geopolitica molto complessa e incerta in cui si sta riducendo o chiudendo la grande espansione globale post crollo dell’Unione Sovietica negli anni 90, da cui l’Europa ha tratto vantaggio attraverso la crescita dell’export (cresciuto dal 30% al 48% del GDP europeo).
Dal 2000 questa fase è profondamente cambiata e Draghi enumera le debolezze dell’Europa a confronto con USA e Cina. Ma nello stesso tempo evidenzia alcune solide basi che possono consentire di migliorare il ruolo competitivo dell’Europa nel nuovo contesto geopolitico: il Mercato Unico di 440 milioni di consumatori e di 23 milioni di imprese che consentono all’Europa un contributo al GDP mondiale del 17% (USA 26% e Cina 17%) L’Europa rappresenta l’area con minori diseguaglianze sociali, maggiore rispetto della “rule of law”, elevati livelli educativi, leadership nelle politiche di sostenibilità ambientale, qualità di vita e sicurezza.
Ma le debolezze ed i gap sono evidenti e in aumento:
- sviluppo economico inferiore agli USA, per il 70% a causa della debole produttività, un tema su cui Draghi torna più volte
- ridotta innovazione in specie hightech (solo 5 delle maggiori hightech company mondiali sono europee) che rischia di far perdere all’Europa la sua leadership nell’industria manifatturiera, in particolare con ritardi nelle applicazioni digitali e nell’A.I.
- crisi strutturale in campo energetico: l’Europa si è illusa di disporre di fonti energetiche a basso costo provenienti dalla Russia e non ha investito in nuove risorse, per cui i prezzi sono cresciuti di due terzi sopra i prezzi energetici USA. Le politiche europee per la decarbonizzazione non hanno creato sufficienti rapporti con la produzione industriale di fotovoltaico, batterie e auto elettriche, in cui prevale l’industria cinese
- le politiche per la sicurezza e la difesa europea hanno fatto affidamento sull’intervento protettivo americano e non si sono sviluppati sufficienti investimenti nell’industria per la difesa
- in tutto questo gioca a svantaggio la frammentazione delle politiche a livello nazionale con gravi carenze di governance a livello europeo
I punti chiave su cui il Rapporto propone di intervenire sono cinque:
- colmare il divario di innovazione rispetto a USA e Cina
- cambiare le politiche di decarbonizzazione e renderle competitive
- rafforzare la sicurezza e ridurre la dipendenza
- introdurre nuove forme di finanziamento degli investimenti
- rafforzare la governance dell’Unione Europea
Sui singoli punti il Rapporto, in specie nelle approfondite analisi, cerca di dare risposte, iniziando da alcuni Building Blocks:
- Piena realizzazione del Single Market, in particolare con riferimento alla Capital Market Union che sola può consentire effettive politiche industriali e tecnologiche comuni (su cui poi si ritorna più volte in modo dettagliato)
- Rafforzamento ed orientamento unitario delle politiche industriali, commerciali e della concorrenza (integrazione delle supply chain nazionali industriali e commerciali), coordinamento tra le diverse aree high tech europee, coordinamento delle politiche degli investimenti diretti esteri
- Coordinamento e riduzione dell’impegno che grava sulle imprese per le politiche regolatorie
- Coordinamento delle politiche nazionali di spesa R&D specie nelle tecnologie digitali e A.I.
- Interventi di consolidamento nei settori delle telecomunicazioni ed in altri settori (riprendendo quanto già indicato nel Rapporto Letta). Sul consolidamento nelle TLC si è già aperto un ampio dibattito sui pro e contro
- Coordinamento delle azioni per colmare lo skill gap in relazione anche al declino demografico della forza lavoro europea
Il Rapporto dedica ampio spazio alle politiche di decarbonizzazione puntando a superare il conflitto tra interventi costosi per la decarbonizzazione e la competitività delle imprese attraverso azioni per riduzione dei prezzi energetici (decoupling tra prezzi gas e prezzi clean energy) e programmi di sviluppo clean tech. Si evidenzia che l’industria dell’auto in Europa rappresenta un esempio di mancato coordinamento tra politiche di decarbonizzazione e politiche industriali.
Altrettanto spazio è dedicato alla sicurezza e riduzione della dipendenza nella difesa europea. La spesa europea è diminuita dal 3% del GDP nel ’70 all’1,5% nel 2023 ed è cresciuto il gap di investimenti nella difesa e nello spazio tra Europa e USA.
I due più importanti capitoli finali sono dedicati agli investimenti finanziari ed alla governance.
La parte sulla finanza è quella che ha suscitato più interesse e contrasti, con riferimento alla esplicita richiesta di finanziare investimenti addizionali annui a livello U.E. tra 750 e 800 miliardi di Euro, pari al 4,5% del GDP U.E. del 2023 (il Piano Marshall 1948-51 arrivava solo all’1,2% del GDP europeo di allora), portando così gli investimenti U.E. dal 22% al 27% del GDP. La fonte di finanziamento secondo il Rapporto farebbe leva sul grande risparmio delle famiglie U.E. che nel 2022 ammontava a Euro 1.390 miliardi contro gli analoghi 840 miliardi di Euro negli USA (per di più, i risparmi europei godono di interessi inferiori a quelli americani). Questi interventi avrebbero effetti sia sullo sviluppo economico che sulla TFP (produttività totale dei fattori) riducendo il suo attuale divario del 20% rispetto agli USA. I nuovi investimenti sarebbero finanziati attraverso Eurobonds.
Il capitolo finale sulla Strategic Governance dell’Unione Europea pone l’obiettivo di coordinare le strategie di sviluppo attraverso gli investimenti addizionali comuni che porterebbe anche al coordinamento nelle diverse politiche europee per fisco, finanza, regolamentazione, concorrenza, industria, commercio, politica estera, superando gli attuali interventi caso per caso, caratterizzati da molti veti e ritardi (19 mesi per approvare una direttiva).
La vera strada sarebbe quella di modificare i Trattati, ma Draghi è consapevole delle difficoltà e ritiene che sarebbe per ora sufficiente rifocalizzare le strategie competitive attraverso un Competitive Coordination Framework non burocratico, con specifici Action Plans orizzontali, un consolidamento delle risorse di budget, analisi dei costi e risultati dei diversi Action Plans, ma soprattutto accelerando i processi con adozione di votazioni a maggioranza qualificata (al posto dell’unanimità) attraverso cooperazioni rafforzate e le cosiddette clausole “passerella” ed infine una maggiore semplificazione delle procedure con la nomina di un Vicepresidente per la semplificazione (nella nuova Commissione vi è un Commissario anche con questo ruolo).
In sostanza, Draghi prende atto che finché non vi sarà consenso per la riforma dei Trattati si potrà procedere al miglioramento della competitività U.E. attraverso maggiori integrazioni delle politiche e nuova cooperazione rafforzata tra Stati Membri, di fatto migliorando ed estendendo processi decisionali intergovernativi con la votazione a maggioranza, come avvenuto con il Fiscal Compact. Quanto indicato nel Rapporto è lontano dall’obiettivo strategico di una Unione Federale (Stati Uniti d’Europa) o a forme confederative attraverso una riforma organica dei Trattati. Draghi si rende conto dell’impossibilità di procedere alla vera trasformazione a causa delle diverse posizioni nell’ambito dei 27 Membri, ma è auspicabile che la Commissione accolga le proposte di riforma che il Parlamento europeo ha espresso recentemente.
Le cooperazioni rafforzate a maggioranza qualificata possono promuovere azioni per singoli settori e gruppi diversi, anche se altri stati non partecipano. Nel Rapporto si propone anche di sviluppare strutture a cerchi concentrici in grado di procedere a maggioranze qualificate. Queste cooperazioni come le clausole “passerella”, inserite nei Trattati, ma mai attuate, appaiono peraltro poco efficaci a rafforzare l’Unione Europea ed anzi rischiano di accentuarne la frammentazione.
Nel suo intervento al Parlamento Europeo del 17 settembre Draghi ha espresso l’urgenza di affrontare un contesto di cambiamenti geopolitici in cui l’Unione Europea corre il rischio di un grave declino competitivo a causa della persistente frammentazione tra gli Stati Membri e per la debolezza del suo modello di Governance.
La domanda che possiamo porci di fronte al Rapporto Draghi è quale sarà il suo effetto sulla Commissione e sugli Stati Membri. Sinora si sono avute reazioni negative soprattutto sul finanziamento a livello europeo di un piano annuo di investimenti addizionali per 800 miliardi di Euro finanziato con debito pubblico. Questo viene considerato da alcuni come una estensione strutturata del finanziamento pubblico temporaneo Next Generation EU, con emissione di Eurobond, creando un debito comune che i paesi frugali, Germania e Olanda hanno sempre avversato per non favorire i paesi spendaccioni fortemente indebitati come l’Italia.
Draghi ha fatto presente che questo programma deve essere un investimento pubblico comune E.U., perché non può essere finanziato dai singoli Stati in quanto già oberati da eccessivo debito pubblico ed il piano di investimenti pubblici addizionali con finanziamento comune aprirebbe la strada ad una politica industriale comune. Del resto già all’inizio degli anni ‘90 il presidente della Commissione Europea Jacques Delors aveva lanciato l’obiettivo dello sviluppo di investimenti transeuropei finanziati con Eurobond. Il piano Delors purtroppo non è stato mai attuato, ma avrebbe facilitato la costruzione di una reale Federazione Europea.
Altri commenti hanno riguardato la particolare attenzione del Rapporto alla costituzione di una Capital Market Union che consentirebbe di creare in Europa un grande mercato dei capitali paragonabile a quello USA ed in grado di favorire nuovi e comuni investimenti industriali e tecnologici. Su questo tema il dibattito è stato avviato da tempo ed è probabilmente il percorso più praticabile del Rapporto.
In parallelo, l’accento posto dal Rapporto sulla necessità di consolidare la spesa per la difesa dei singoli paesi a livello europeo creando necessarie e fondamentali ricadute sul rafforzamento dell’industria europea della difesa evidenzia la sua urgenza per due fattori: il ridotto impegno USA (sia con Trump che con Harris) per la difesa comune europea e nella Nato, con minore dipendenza da USA, crea necessità di intervento europeo ed inoltre si accresce il peggioramento delle minacce di conflitto tra Russia e Europa con il prolungamento endemico di rischi di guerra.
Il Rapporto Draghi, come il Rapporto Letta, costituisce un contributo importante per il ripensamento del ruolo che l’Unione Europea intende darsi di fronte a cambiamenti radicali delle condizioni interne ed esterne che possono portare ad un lento o rapido declino non solo delle istituzioni comunitarie, ma anche ad una crisi economica europea. Come nelle situazioni di guerra (e l’Europa non ne è distante) o di fronte a grandi cambiamenti globali imprevisti (come è stato per il Covid), viene il momento di prendere decisioni radicali cercando di unirsi al di là delle diverse posizioni. E quindi giustamente Draghi adotta toni drammatici nel suo Rapporto, annunciando che la fine dell’Unione è vicina se non si agisce subito.
Un’altra importante domanda è se la nuova Commissione sarà in grado di recepire i messaggi di Draghi. La Presidente ha già espresso il suo interesse e la composizione dei nuovi Commissari sembra averne tenuto conto. La nomina per la prima volta di un Commissario alla difesa è nella direzione indicata da Draghi, così come la nomina del francese Séjourné alla Prosperità e Strategia industriale appare orientata alla gestione del rilancio della competitività industriale europea. La Commissaria al Green Deal condivide i temi ambientali con altri Commissari ma non sembrano esserci connessioni con le politiche industriali. La Presidente appare avere il ruolo determinante in questa Commissione ed a lei spetta il tema della Governance e delle possibili trasformazioni indicate da Draghi. Non sarà un compito facile in una fase di incertezze anche elettorali in alcuni paesi membri e in condizioni di grave instabilità bellica ai confini europei. Dobbiamo augurarci che il messaggio di Draghi non finisca nei cassetti.
Una considerazione finale sull’Unione Europea: la sua storia inizia con lo sviluppo della Ceca, il mercato comune del carbone e dell’acciaio, ma si realizza grazie alla grande leva morale e valoriale dei padri fondatori che volevano costruire una Europa di pace dopo le due guerre del 900 ed il loro sogno si è avverato perché l’Europa unita ha costruito quasi 80 anni ininterrotti di pace assieme a tanti valori sociali, etici ed umani.
Il futuro dell’Europa deve ritrovare questi valori: solo essi uniscono i popoli e danno un futuro di pace, di uguaglianza e di inclusione sociale in una vera comunità. I soli fattori economici spesso favoriscono sovranismi e conflittualità. I giovani europei saranno in grado di costruire il futuro di una Europa comunitaria basata sui grandi valori dei padri fondatori?