La solita storia
di Giorgio Panattoni
Stiamo attraversando un momento molto difficile, affiora una paura spesso inconfessata, una insicurezza che diventa aggressività per gli attacchi alle nostre abitudini di vita, al nostro modo di sentire la vita.
Aggressività pericolosa, perché spesso indirizzata nella direzione sbagliata, quasi sempre verso i più deboli, ma in parte comprensibile.
Gli attacchi lontani suscitano sgomento e indignazione, quelli più vicini incredulità verso comportamenti ritenuti quasi impossibili tanto sono immotivati.
Non si tratta solo di terrorismo organizzato, che ci fa sentire in guerra, come effettivamente è.
Spesso è violenza di casa, ormai comune e diffusa, contro cose, contro persone indifese, contro idee pacifiche, addirittura contro opinioni.
Da noi, in una piccola città ancora largamente vivibile, solo in questi ultimi giorni un gruppo di giovani ha incendiato una scuola senza motivo, un altro ha distrutto le vetrate di un edificio storico senza un perché, sconosciuti hanno passato tutta la notte a tagliare gomme e rigare carrozzerie.
Così, per svagarsi e fare qualcosa di importante. Per loro.
Si ha la sensazione che tutti stiano abituandosi al problema, che le reazioni siano modeste e superficiali, come se fossimo in presenza di una componente normale di una modernità che diluisce le regole e apre spazi incontrollati di sfogo.
Per le cose di casa le solite scuse: la famiglia spesso scomparsa, la società senza motivazioni, le istituzioni lontane e assenti.
Per le cose più serie una sottovalutazione della realtà che inquieta e spaventa.
Troppo spesso si legge che i terroristi erano noti, schedati, o rimessi in libertà se fermati, come se la guerra si facesse coi bottoni.
O come a Torino dove nella piazza non c'era più neppure lo spazio per uno spillo, ma i controlli erano stati del tutto insufficienti, bottiglie di vetro dappertutto, ultra' ubriachi e rissosi, come sempre gli ultra' degli stadi, addirittura petardi.
E poi quelle ormai abituali scene di sommossa urbana in tutte le manifestazioni definite pacifiche, sempre quei cento facinorosi, molti soliti noti, che attaccano e rompono tutto.
È giusta la libertà di manifestazione, ma la democrazia vorrebbe che si rispettasse anche il diritto di farlo serenamente, impedendo a quei cento di rompere i modi di una convivenza che se vuole essere pacifica è incompatibile con quella violenza.
Insomma pare proprio venuto il momento di stabilire regole più strette, meno tolleranti, che inizino a operare il più a monte possibile, ad esempio incominciando dal bullismo e dalla violenza sul web per le cose di casa, da un controllo più severo su quei cento individui impedendogli la presenza sui luoghi designati, da una giustizia più attenta ai diritti di tutti e non solo alle libertà personali, da una prevenzione per le cose più grosse perché se si è in guerra, come dicono tutti, si deve fare così.
Nessuna virata autoritaria o anti libertaria ovviamente, ma coerenza in una condizione sempre più difficile.
Non dobbiamo avere paura di difendere la nostra libertà di vita.