Aggiornato al 03/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

 

Occupazione e futuro

di Giorgio Panattoni



Ci sono 4 milioni di posti di lavoro scoperti perché non si trovano candidati con la necessaria capacità per coprirli. Non so se questa notizia sia vera, peraltro fornita da un grande protagonista del mercato del lavoro, ma se anche il numero si riducesse alla metà la questione sarebbe comunque enorme. 
Del resto se anche voi faceste un giro presso le società che si occupano di sposare domanda e offerta di lavoro come ho fatto io, verifichereste quante proposte di lavoro restano inevase per carenza di capacità adatte a ricoprire la mansione offerta.
In questa dimensione appare davvero almeno curiosa la questione che gli immigrati rubano posti di lavoro agli indigeni.
Perché c'è questa situazione, che appare paradossale nella polemica così accesa che riguarda il settore? 
Secondo molti di noi la causa principale è una sola: il mondo sta cambiando con grande rapidità, scuola, sindacato, cultura sociale stanno restando indietro in misura irreparabile.
Il presente non è compatibile con la difesa più o meno cosciente del passato, e il futuro ancora meno.
Incominciamo dalla scuola. Inutile neppure iniziare l'analisi per dimostrare come siamo indietro di anni, la cultura digitale è quasi inesistente, e non si risolve con l'uso del computer per fare le ricerche. I professori che conoscete voi sono in grado di gestire questa rivoluzione permanente? E la istituzione di supporto anche? 
La università: anch'essa soffre terribilmente della tradizione, con le opportune eccezioni. Anche se non è solo colpa sua. Le famiglie preferiscono troppo spesso culture tradizionali anzi che scommettere sulla innovazione e sul futuro. Si stima che il 70% del laureati in legge abbiano forti difficoltà a trovare un impiego. Ovviamente occorrerebbe ridisegnare tutto il sistema sulle necessità del futuro, o almeno del presente, per esempio definendo opportunamente i numeri chiusi per l'accesso, penalizzando le culture del passato e promuovendo quelle del futuro.
Si stima ancora che ogni cinque anni occorra rimodellare le materie di insegnamento perché la evoluzione dei contenuti è rapida e profonda.
Del resto ognuno di noi dovrebbe pensare a quali erano le conoscenze di dieci anni fa e quali le applicazioni digitali rispetto ad oggi per capire senza incertezze quali e quanti siano stati i cambiamenti che hanno ridisegnato quasi completamente il mondo di tutti i giorni. E quante opportunità di lavoro si sono create automaticamente in tutti i settori.
Un solo esempio. Si parla sempre del turismo come settore portante in Italia dello sviluppo. Ci rendiamo conto dell'enorme cambiamento che si è verificato nel settore in questi anni? Un sistema quasi del tutto nuovo! E quanti sono rimasti indietro.
E le istituzioni? Clamoroso il permanente ritardo con il quale si insegue il cambiamento e la innovazione. Se non si incomincia da lì tutto diventa più difficile.
E una considerazione va fatta anche sul sindacato, che giustamente difende il passato, sopra tutto in condizioni di instabilità, ma che non si pone il problema della mobilità del lavoro come componente strategica del futuro. E ovviamente non è il solo.
Insomma, il problema pare chiaro, la grande difficoltà di affrontarlo anche.
Chi di noi ha vissuto dal di dentro il cambiamento come dimensione strutturale della sua cultura, prima la elettronica invece della meccanica, poi la distribuzione della intelligenza e della autonomia di elaborazione in periferia, nelle singole postazioni di lavoro, poi la rete di comunicazione come infrastruttura disponibile a tutti, poi il GPS come strumento personale, poi il robot come sostituto di parte della intelligenza e della capacità dell'uomo, ha capito che il processo di innovazione è dirompente e tocca tutte le espressioni del lavoro e della attività umana. 
E la velocità del cambiamento è sempre superiore alla propria capacità di assimilazione.
E ha forse incominciato ad essere preoccupato di come le capacità del sistema complessivo si possano adattare alle necessità e alle opportunità che crescono con velocità dirompente.
E resta deluso delle continue litigate sull'articolo 18, della disperante lentezza delle necessarie trasformazioni almeno del sistema pubblico, della frammentazione delle difese corporative, del continuo prevalere degli interessi particolari, della polemica sulla fuga dei cervelli.
E forse ha concluso che chi si oppone alle riforme e al cambiamento sta pregiudicando il futuro dei propri figli.
Possiamo aprire una discussione su cosa possiamo fare per aiutare il futuro? 

 

Inserito il:21/05/2017 08:05:47
Ultimo aggiornamento:21/05/2017 08:07:55
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