Immagine realizzata con strumenti di Intelligenza Artificiale
Cosa ci aspettiamo nel 2026?
di Bruno Lamborghini
Il 2025 è forse un anno da dimenticare per i tanti sconvolgimenti caotici, in primis l’arrivo di Trump che ogni giorno, ripeto ogni giorno, ci ha scaricato sorprese, quasi sempre spiacevoli, cercando di ridare una leadership agli USA con il MAGA e conquistare il Nobel per la pace, intervenendo e forse complicando i conflitti in Ucraina, a Gaza ed in altre parti del mondo.
In particolare Trump ha provocato uno sconvolgimento negli scambi internazionali con l’introduzione di forti dazi a tutto campo, successivamente in parte ridimensionati, lasciando un clima di incertezza permanente nelle supply chain globali oltre a spinte inflazionistiche.
La situazione delle due guerre è andata aggravandosi drammaticamente di giorno in giorno con un ruolo sempre più dominante dei due protagonisti che hanno dato origine ai due conflitti, da un lato Putin e dall’altro Netanyahu, in dialogo con un Trump sempre accondiscendente alle loro volontà.
E’ emersa sempre più chiaramente la volontà di cercare di definire specifiche aree di influenza da parte di USA, Cina e Russia attraverso la minaccia della forza più che la diplomazia, chiudendo la lunga fase degli scambi multilaterali per passare a bilateralismi coatti che determinano la fine del processo di globalizzazione dagli anni 90, riducendo la crescita degli scambi e della crescita globale.
Di fatto, il 2025 sembra anche segnare il culmine, ma forse auspicabilmente anche la fine, della lunga fase degli anomali eventi che hanno caratterizzato il nefasto sessennio iniziato nel 2020 con la pandemia globale Covid, seguita nel 2021 dalla crisi delle forniture e dallo scoppio dell’inflazione e nel febbraio 2022 dall’invasione dell’Ucraina e dal 7 ottobre 2023 con l’attacco di Hamas ed il successivo intervento israeliano su Gaza, concludendo il sessennio nel 2025 con la presidenza rivoluzionaria di Trump.
La domanda che possiamo porci è se il caos globale determinatosi in questi anni possa proseguire anche nel 2026 o se quest’anno invece possa limitarsi a dover affrontare, se non a risolvere, alcune delle pesanti eredità degli anni passati puntando alla ricerca di nuovi equilibri. Forse nel 2026 si sta iniziando ad andare “Oltre il grande disordine” come intitola Macrotrends 2026 di Harvard Business Review Italia.
Partendo da questo quadro che cosa ci aspettiamo nel 2026 dagli interventi sui dazi di Trump?
Dazi e controdazi hanno nettamente modificato e ridotto gli scambi internazionali riducendo la crescita del commercio internazionale di almeno un punto e mezzo con spostamenti delle destinazioni delle esportazioni soprattutto di quelle cinesi dagli USA verso altri mercati, in particolare verso l’Europa.
Importanti effetti dei dazi si sono riscontrati proprio nel paese che li ha imposti, gli Stati Uniti, in termini di rallentamento economico, maggiore inflazione e ridotto valore del dollaro, ma senza determinare mutamenti di fondo nell’economia americana che mostra invece una notevole capacità di resilienza.
Il positivo andamento di Wall Street e dei futures appare confermare la solidità del sistema economico americano anche di fronte ai complessi interventi di Trump. Se qualche preoccupazione circola, essa riguarda principalmente il possibile rischio di una bolla finanziaria determinata dalle eccessive aspettative relative all’intelligenza artificiale.
Nel 2026 la rivoluzione trumpiana dei dazi potrebbe perdere forza anche perché lo stesso Trump si rende conto degli effetti negativi sull’economia americana. A novembre 2026 le elezioni di Mid Term potrebbero far perdere al partito repubblicano il controllo del Congresso e così si indebolirebbero ulteriormente gli obiettivi di Trump.
Peraltro resta aperta la guerra commerciale nei confronti della Cina con dazi per ora provvisoriamente fissati al 40% in relazione all’accordo per l’accesso da parte USA alle terre rare cinesi.
Resilienza di fronte agli interventi di Trump appare mostrare anche l’intero contesto economico internazionale ed in particolare la Cina che non appare intenzionata a ridurre il suo enorme surplus commerciale (1000 miliardi $) scontando una riduzione di solo mezzo punto del suo PIL.
L’impatto dei dazi sui paesi europei ha accentuato, pur limitatamente, le difficoltà di sviluppo già presenti in Europa ed in particolare nell’economia tedesca da un triennio in profonda recessione e in crisi industriale, una Germania che peraltro intende ritrovare ripresa a partire dal 2026 attraverso gli investimenti per il riarmo. Recenti analisi hanno tuttavia evidenziato per la Germania (certamente anche per l’Italia) un grave ritardo nello sviluppo delle applicazioni e servizi digitali a confronto con la Danimarca che risulta invece avere raggiunto ottimi risultati nella diffusione dei servizi pubblici digitali.
La grande aspettativa per le applicazioni di intelligenza artificiale in termini di aumento della produttività e dello sviluppo per essere attuabile deve potersi basare sull’effettiva esistenza di forti strutture e reti digitali sia pubbliche che private.
Nel quadro del rallentamento degli scambi internazionali, l’elevato fattore di traino dello sviluppo da parte delle esportazioni che rappresentano oltre il 30% del PIL in Italia, Germania e Francia, se non gestito adeguatamente con la ricerca di nuovi mercati e nuove modalità, rischia di influire sulle prospettive di crescita. Allo stesso tempo i mercati europei vedranno una forte crescita delle importazioni dalla Cina, in sostituzione del minore export cinese verso gli USA.
Trump inoltre minaccia l’Europa di possibili ulteriori dazi se non verranno ridotti vincoli e regolamentazioni dell’Unione Europea in materia di servizi High Tech che impediscono l’accesso al mercato europeo da parte delle grandi imprese americane e di fronte a cui la Commissione Europea sta cercando di modificare parte delle direttive.
Sono stati inviati ancora più pesanti messaggi da Trump verso l’Unione Europea ed i singoli paesi in cui si parla di un loro prossimo declino e questo sulla base del discorso di Vance a Monaco e di quanto contenuto nel documento della National Security Strategy, secondo cui si intende modificare le relazioni tra USA ed Europa passando da una tradizionale alleanza a semplice allineamento che in realtà sembra significare dipendenza, ma senza contributi economici da parte USA a cominciare dal 5% di contributo alle spese Nato a carico europeo.
Questa posizione ha portato l’Unione Europea anche a decidere il finanziamento di $90 miliardi a sostegno militare e civile dell’Ucraina attraverso l’emissione di Eurobonds e questa decisione potrebbe anche condurre in positivo alla possibilità di emettere altri Eurobonds per promuovere lo sviluppo economico europeo seguendo le raccomandazioni di Draghi.
E’ questa la strada, assieme al rafforzamento di una difesa comune, che la Commissione Europea dovrebbe affrontare per svolgere un ruolo efficace a favore del rilancio economico europeo e così proseguire sino alle elezioni europee del 2029.
Per l’Italia il 2026 è l’anno non solo della scadenza del PNNR, ma soprattutto l’anno in preparazione delle elezioni del 2027, per cui si attende che il governo auspicabilmente avvii azioni politiche concrete per uscire dalla incombente stagnazione economica e sociale (e così dovrebbero fare con programmi concreti anche le opposizioni).
L’Europa nel 2026 si trova ad affrontare più direttamente quanto succederà in Ucraina o l’ulteriore proseguimento della guerra o una possibile e difficile conclusione e comunque una incerta e preoccupante fase postbellica nel rapporto tra Europa e Russia.
Per l’Ucraina si stanno confrontando due strade, il piano di 28 punti concordato da Trump con Putin ed il piano di 20 punti concordato tra Trump e Zelensky anche con gli europei, ma rifiutato da Putin il quale conferma il suo obiettivo di resa dell’Ucraina o in alternativa la conquista piena dei territori attraverso il proseguimento della guerra, sapendo comunque che Trump non si oppone.
Se prevarrà l’obiettivo di Putin in accordo con Trump con eventuali varianti, non tanto per i territori quanto per la garanzia futura da parte simil-Nato nei confronti dell’Ucraina, si aprono comunque complesse prospettive sulla gestione delle frontiere e sui successivi comportamenti della Russia, che riguarderanno sempre più il confronto con i paesi europei e la conseguente necessità di sviluppare una effettiva difesa comune europea.
Sul fronte medio-orientale il piano di Trump, se ha permesso di sospendere almeno in parte l’operazione militare di Israele a Gaza e la restituzione degli ostaggi, ha lasciato inattuata la fase due del piano per il disarmo e allontanamento di Hamas che potrà forse avvenire se verrà consentito l’intervento della Turchia e dei paesi arabi.
Rimane comunque l’obiettivo di Netanyahu di far uscire da Gaza gran parte degli abitanti (in questa direzione sono i contatti di Netanyahu con il Somaliland e forse con altri paesi) e di mantenere una presenza militare di Israele a Gaza nel quadro prospettico della ricostruzione anche in funzione del piano trumpiano di sviluppo della Riviera.
Il 2026 si apre quindi con una incerta e difficile prospettiva che riguarda anche il futuro della Cisgiordania, possibile oggetto di annessione o comunque di ulteriori insediamenti da parte dei coloni. Inoltre il recente incontro di Netanyahu con Trump ha evidenziato anche l’obiettivo comune di una possibile seconda azione militare sull’Iran.
In conclusione, il 2026 vedrà crescere il ruolo centrale di tre potenze che stanno ridefinendo le rispettive aree di influenza attraverso azioni di forza peraltro controllate e forse concordate, non intendendo farsi guerra, ma cercando ciascuno di acquisire il controllo di altri territori per motivi di potere, ma anche per acquisire risorse energetiche e minerarie, in particolare terre rare, secondo accordi non espliciti. In questo quadro si può collocare l’interesse USA per il controllo della Groenlandia ed anche nuovi rapporti in paesi dell’America Latina dal Messico al Venezuela, consentendo ad altri di operare nello stesso modo e questo potrà verificarsi nel rapporto sempre più stretto, se non di effettiva annessione di Taiwan da parte cinese, probabilmente senza dirette reazioni da parte americana.
In questo contesto, l’Europa rischia di essere solo un “vaso d coccio” o meglio una possibile “preda” da parte di ciascuno dei tre player, USA, Cina e Russia interessati al suo grande mercato, il maggiore del mondo, ma anche ad acquisire le sue risorse umane qualificate, le competenze europee in campo scientifico, tecnologico, imprenditoriale e manageriale.
L’Europa è a un bivio determinante il suo futuro e può e deve reagire partendo dalle sue risorse umane e sociali e dalle sue capacità uniche di intelligenza e innovatività, su cui investire per conquistare una autonomia in campo scientifico e tecnologico, che rappresentano la chiave dello sviluppo. ma soprattutto puntando sui valori unici della propria democrazia conquistati in passato combattendo contro la violenza e la dittatura. Buon 2026!

Clicca qui per ascoltare 