John William Waterhouse (Roma, 1849 – Londra, 1917) – The Sorceress (1913)
Strega e madre. Il tabù della figura femminile
di Mara Antonaccio
Sin da bambina ho saputo di avere qualche dote strana, la mia “sensibilità” animalesca, l’amore per la Natura, le Scienze, la passione di curare gli altri. In fondo mi sono sempre sentita una strega e credo di possedere qualche senso in più, ma poi che male ci sarebbe se davvero lo fossi?
In effetti contro ho solo secoli, anzi millenni di persecuzioni, odi, antipatie e tabù, poi sono anche femmina e madre e questo peggiora le cose.
Ma da dove nasce questa avversione, tutta questa paura nei confronti delle donne?
E sì, perché quel che hanno in comune le streghe e le madri è appartenere allo stesso genere!
Da studiosa di Scienza so che la Natura è femmina e che l’Evoluzione ci ha conferito il dono di creare la vita e questo deve aver creato una forte invidia nei confronti di tanta capacità; la cellula come unità base di un organismo vivente, è in grado di replicarsi autonomamente, senza contributi esterni, quindi è femmina e conserva in sè una totipotenza che spaventa.
I cinquecento milioni di anni di evoluzione dei Vertebrati hanno prodotto l’Homo Sapiens e lo hanno posto in cima alla catena predatoria; durante i lunghissimi millenni che dagli ominidi ci hanno portato sin qui, il ruolo della femmina si è specializzato e adattato alle necessità e ai ruoli. I maschi cacciavano e le femmine raccoglievano e si occupavano della prole; con la scoperta del fuoco i compiti vennero ulteriormente suddivisi e a noi toccò modificare il cibo procacciato. Il cervello crebbe, si costruirono i primi utensili e si elaborò il linguaggio. Grazie alla suddivisione dei compiti i maschi svilupparono un imponente apparato muscolare e un maggior volume dell’encefalo per gestirlo, le femmine, che avevano corpi più minuti, aumentarono la superficie della corteccia cerebrale, per gestire le attività manuali, relazionali e di cura dei piccoli. Ecco, i problemi nacquero proprio allora!
La Natura ci selezionò resistenti e tenaci, seppur apparentemente fragili, partorire non è facile neppure ora, figuriamoci milioni di anni fa.
Inizialmente i clan erano composti da maschi “alfa”, che avevano veri e propri harem e da gregari che si accontentavano, per così dire, della benevolenza dei capi, non c’erano ancora famiglie identificate. Quando in epoche più recenti l’Uomo iniziò a praticare l’agricoltura e la pastorizia, aumentò la disponibilità di cibo e iniziarono ad accumularsi “le proprietà” e con esse la necessità di individuare chi ne fosse l’erede. Qui nacquero le coppie “certificate” dalla comunità e quindi la certezza sulla paternità dei nuovi nati.
Con la famiglia nacquero i tabù sessuali; la società primitiva era già maschilista, poiché dei maschi erano i ruoli pubblici e di rappresentanza, mentre la donna si dedicava alla sfera privata e affettiva. Già allora la femmina era riconosciuta capace di attività inspiegabili, “magiche”: il suo sesso sanguinava ogni mese ma inspiegabilmente lei non moriva, la vagina ingoiava il pene turgido, simbolo della possanza e della fertilità, e lo restituiva flaccido e in conseguenza di questo atto, concepiva e dava la vita, quindi privava il maschio di una sua manifestazione di potere. Come non comprendere questo passaggio di sovranità?
La vagina ha sempre fatto paura ai maschi e di questo le donne hanno sempre patito: un mostro seducente si aggirava negli incubi degli uomini da decine di millenni ma il periodo peggiore iniziò con la nascita delle Religioni, che mortificarono definitivamente il ruolo della donna. La Bibbia attribuisce ad essa il primo peccato, per l’errore di Eva, Adamo si ribellò a Dio e Questi punì la loro discendenza; così la donna che partoriva e quella mestruata erano impure e dovevano purificarsi lontano dal villaggio. Essa non aveva diritti legali, prima soggetta al padre, poi al marito: «la donna è frivola, stupida e ignorante» (Bibbia, Prov. 9: 13). Anche l’Islam non scherzava e il profeta Maometto affermava: «Ho visto che la maggior parte […] nel fuoco dell’inferno sono donne… [Poiché] esse sono ingrate verso i loro mariti e deficienti in intelligenza e religione. Esse sono pericolose e impure nei loro corpi e nei loro pensieri. Io non tocco la mano delle donne e bisogna impedire loro d’imparare a scrivere».
Tutte le religioni monoteiste disprezzano la donna, che è accettata solo come madre. La Chiesa Cattolica non fu da meno: «l’uomo e la donna sono uguali nell’ordine sovrannaturale, ma l’uomo è superiore alla donna su un piano naturale». S. Paolo scriveva: «La testa del Cristo è Dio, la testa dell’uomo è il Cristo, la testa della donna è l’uomo» (I Cor. 11: 3). Fu l’apostolo a stabilire le regole, ordinando alla donna di coprirsi la testa in chiesa. «L’uomo non deve coprirsi il capo perché egli è l’immagine della gloria di Dio, ma la donna non è che la gloria dell’uomo» (I Cor. 11: 7). Il velo resterà il simbolo della sottomissione femminile e non solo per il Cristianesimo, poiché fu adottato anche dalla religione musulmana, che ne estremizzerà il suo uso.
Grazie all’interpretazione maschilista dei Vangeli, si consolidò la supremazia degli uomini e la Chiesa diede prova di una misoginia radicata. Nel periodo medioevale alle donne vennero addossate le peggiori responsabilità di malattie, disgrazie e ingerenze diaboliche e iniziarono le persecuzioni, che portarono alla caccia alle streghe dell’Inquisizione. Nell’iconografia di quel periodo la porta dell'Inferno era spesso rappresentata da una vagina dentata e questo la dice lunga sulla concezione futura del ruolo femminile. La vagina e per conseguenza la donna, spaventavano e lo fanno tuttora, nonostante il richiamo femminile e sessuale sia onnipresente.
L’idea che la donna fosse un po’ strega si radicò e quando si arrivò alla creazione dei tabù, essa ne divenne l’oggetto principale. In che modo la donna imputata di aver traviato Adamo poteva espiare la colpa? Di lei non si poteva fare a meno, pena l’estinzione della Specie e la privazione del diritto al piacere, allora il sesso divenne solo il dovere di moglie e il mezzo per procreare e quando dovrà far nascere il frutto dell’amplesso, dovrà farlo soffrendo. “Tu donna partorirai con dolore”, questo recita la Bibbia, la maternità è il supremo sacrificio e per la donna la sofferenza rappresenta una continua espiazione; il dolore fisico porta alla guarigione dell’anima, come fanno il dolore spirituale e il pentimento.
Questo è il concetto tutto maschile e diffuso del ruolo femminile nelle società umane, ma le donne che dicono della necessità di soffrire?
Credo che considerino il parto in modo ancestrale: un rito di passaggio, di iniziazione, da suggellare con sangue e dolore, come se dovendo per forza soffrire perché così è scritto, meglio essere capaci di farlo. Del resto ogni donna deve dimostrare di poter partorire, proprio come ne sono state capaci le madri e le nonne, quindi deve meritarsi il ruolo di madre. Si tratta di una sorta di esame di ammissione all’esistenza: il rilascio del patentino di donna perfetta; perché per la mentalità radicata, noi donne dobbiamo dimostrare sempre qualcosa, sacrificarci e soffrire, pena la diminuzione del nostro valore, anzi, pena la giustificazione della nostra presenza nel Creato.
Sin dai tempi più remoti le donne si sono riunite in gruppo per assistere le partorienti, in una sorta di cerchia esclusiva dalla quale erano banditi i maschi e alcune di loro raccoglievano erbe e radici per lenire i dolori; con il termine “strega” si intendeva quella donna che possedeva il sapere erboristico e alla credenza popolare moderna, concorreranno i miti e la religione. La notte con il chiaro di luna, momento sacro alla Dea Lunare, le streghe uscivano per raccogliere le piante dai poteri taumaturgici; la dea era servita da demoni femminili che succhiavano il sangue dei neonati.
Con questa spiegazione gli antichi si davano ragione della alta mortalità infantile; da qui nacque l’immaginario della strega-ostetrica, che suggeva il sangue dei neonati per offrirlo al demonio. Nel calderone vi erano acqua e fuoco, erbe e sangue, placente, cordoni ombelicali, aggiunti per propiziare la Dea e il parto; per questo le ostetriche venivano perseguitate e considerate delle streghe nascoste. Ancora nell’Italia degli anni ’60 queste erano considerate donne di facili costumi perché oltre a far partorire, provocavano aborti, e per questo potevano concedersi ai piaceri carnali senza correre rischi.
Queste credenze resistono ancora presso le culture rurali di tutto il Mondo e in fondo rispondono ad una convinzione radicata, che in quanto tali, le donne abbiano una struttura fisica difettosa e che abbiano poteri occulti. Esse infatti sono state create da Dio a partire da una costola, che è storta ed essendo imperfette per natura, non possono che recare danni al genere umano.
La “ginecofobia” è frutto di millenni di tabù e neppure il Femminismo del XX secolo e l’emancipazione del periodo attuale riescono ad eradicarla completamente, si assiste ancora alla considerazione positiva del ruolo della donna se legato principalmente alla funzione naturale di sposa e madre, considerata sia come dimensione fisica che spirituale del femminino, ne è testimonianza la domanda ricorrente rivolta alle donne: “quanti figli hai? Come, non ne hai? Ah, non ne vuoi?”.
Ancora lungo il percorso per una vera emancipazione.
Forse individuare i ruoli semplifica la vita, anzi risponde ad una esigenza umana e proprio in relazione a questi, nonostante siam giunti all’alba del terzo millennio, perché resistono ancora pregiudizi ancestrali ed etichette? Una possibile risposta: questo avviene all’interno della crisi più grave di ruoli identitari nell’evoluzione sociale dell’Umanità!
Stiamo vivendo in una società in crisi tanto di “femminile”, quanto di “maschile”. Mancano le (vere) donne e i (veri) uomini, ognuno consapevole di quale apporto può dare ad un sano rapporto di coppia, per la costruzione di una società sana, senza aver paura di vedere il proprio modo di essere sminuito o prevaricato. Come uscire da questa condizione di stallo e far sì che i due sessi evolvano verso una condizione storica serena, rispettosa e complice?
Ognuno ha gli strumenti per rispondere come ritiene…