Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Jean Mirre (Buffengeas, Linards, Limousin, France, 1949) - Modern Democracy

 

Sulla democrazia ed il pensiero libero

di Federico Torrielli

 

Recentemente vedo sempre più la distorsione del concetto di pensiero libero da parte di persone che, in maniera alternativa ed errata, ne fanno un vessillo perchè “posso dire tutto quello che voglio, viviamo in una democrazia!”.  Per capire dove sbagliano, bisogna ritornare indietro nel tempo, fino ai greci, e capire la differenza tra episteme e opinio: due concetti molto diversi, seppur facili da confondere per l’uomo moderno.

L’opinione (dal latino opinio), è un giudizio di valore medio-basso, una affermazione sulla realtà il cui statuto di verità non è stato, o non è ancora corroborato.

La corrobora azione di un’opinione può avvenire, ad esempio, con una logica simile a ciò che oggi è il metodo scientifico: costruire ipotesi e documentazioni empiriche dalla cui analisi si ottiene un risultato che conferma o smentisce. In alternativa, altrettanto valido, è possibile utilizzare il metodo filosofico-matematico dell’analisi logica (X assioma, X sempre vero. Y se X, X è vero, Y è vero).

Ciò presume, però, quello che oggi viene detto “fact-checking” e che molto spesso non si ferma alla singola ricerca di una “verità” (guardare una trasmissione o fare una singola ricerca su internet non mi rende informato su un evento d’attualità, vivere l’evento invece sì).

In ogni caso, l’opinione non comprende questo processo. Posso avere un’opinione che assolutamente non coincide con la verità, dato che non è stata vissuta in prima persona: è in mia facoltà dire che tizio è calvo senza averlo mai visto, ad esempio, oppure che Dio non esiste. Il fatto che qualcuno abbia o meno la mia stessa opinio non farà cambiare il valore di verità dell’assunzione.

L’episteme, invece, è un giudizio di valore elevato, il cui statuto di verità è reso robusto. La sua robustezza viene dal fatto che già dai tempi dei greci incorporava una forma di riflessione critica, logico-matematica o analitica, dalla quale si poteva trarre conferma della robustezza delle argomentazioni di quel giudizio!

Cosa hanno a che fare i due concetti e la libertà d’opinione con la democrazia? Essi sono inter-correlati in un modo così complesso che spesso li rappresentiamo in maniera distorta.

In questi ultimi anni, quando è diventato palese che i social media e la televisione, oltra a un grosso strumento economico e di intrattenimento, sono anche un’enorme macchina di costruzione e distruzione del consenso politico è presa a circolare questa falsa equivalenza, ovvero che la libertà di opinione coincide con la democrazia, in termini assoluti. Si è arrivato a dire pure che la libertà di opinione senza vincoli e regole equivale ad una democrazia di buona qualità. In caso contrario, la democrazia nella quale si vive non è una democrazia di buona qualità: è marcia, corrotta, da rimettere a posto.

Ma questo è falso, anche in una prospettiva storica. Come mai?

Togliamo innanzitutto dalla testa pericolosi equivoci. Il concetto di democrazia non è di per sé un concetto positivo, non è carico di valori positivi in sé. La democrazia è semplicemente un modo di organizzare la gestione del potere.

Il fatto che molto condivisibilmente la maggior parte di noi associa al concetto di democrazia valori positivi viene dal fatto che sappiamo, ci hanno raccontato, abbiamo letto sui libri di storia che altre forme di organizzazione di potere sono normalmente peggiori. Ad esempio lo è la tirannia o l’oligarchia, così come la monarchia illuminata non è poi così illuminata come alcuni monarchici ci vorrebbero far credere.

Inoltre, forme alternative alla democrazia sono di norma peggiori perché la probabilità di subire ingiustizie ed abusi di potere è mediamente maggiore in una tirannia, oligarchia o monarchia che si voglia.

Pur ammettendo tutte queste argomentazioni in favore delle democrazie è formalmente e logicamente scorretto definire una buona democrazia quel luogo dove il dibattito pubblico non è in assoluto regolato. Che la democrazia possa procedere di pari passo con i limiti, regole e talvolta speciose discriminazioni è chiaro fin dalla nascita del concetto di democrazia, con le Poleis greche del quinto secolo a.C.. Non dico che fosse giusto, ma dobbiamo prendere atto del fatto che nella Grecia delle poleis partecipavano al dibattito pubblico nelle agorà e alla gestione della cosa pubblica soltanto piccoli gruppi ristretti di cittadini: dovevano essere greci (greci in quanto di origine greca da entrambi i genitori), uomini, adulti e liberi. Questi erano detti gli Oikosdespotes, i padroni della famiglia. Seppur fosse una democrazia in tutto e per tutto, non potevano avere potere decisionale di qualsiasi tipo le seguenti categorie: donne, giovani, migranti (cioè coloro che non erano di origine greca) e gli schiavi, che oltretutto non erano neanche considerati umani ma merce da scambiare ed utilizzare.

Con l’avvento dei media dal XIX secolo, e soprattutto ai giorni d’oggi, man mano che le società prendono tatto e confidenza con i media, ci si rende conto che questi sono strumenti eccezionali per la politica. Talmente potenti da riuscire a condizionare le idee di milioni di persone in brevissimo tempo.

Prendiamo un esempio storico: quando scoppia la prima guerra mondiale la comunicazione attraverso i mass-media diventa l’arma principale con cui si combatte la guerra. Per chi ha letto il saggio “Della guerra” di Carl von Clausewitz saprà benissimo che egli diceva:

«La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi.»

Che, nella democrazia, è un concetto ribaltato, ovvero: la politica non è che la continuazione della guerra con altri mezzi, concetto che si reitera sui mass-media in quanto essi sono la continuazione della politica. Per logica: la comunicazione mediatica è la continuazione della politica, che è la continuazione della guerra. Per inferenza, la comunicazione mediatica è guerra (vd. Propaganda).

Il filosofo tedesco Jürgen Habermas arriva a sostenere nel suo libro “Storia e critica dell’opinione pubblica” che, con la diffusione della comunicazione mediata a scopo commerciale nella seconda metà del ‘900, la sfera pubblica si dissolve in una pseudo-opinione pubblica.

Quando Habermas parla di opinione pubblica, intende il luogo della pubblica argomentazione razionale tra cittadini, cioè quel modo di pensiero e comunicazione che ha permesso, grazie all’avvento dei caffè letterari, ai circoli ed ai club, di abbattere la monarchia assoluta e valorizzare il pensiero democratico.

Come fa allora a dissolversi questa sfera pubblica? Essa si dissolverebbe in una pseudo-opinione pubblica poiché la potenza dei mezzi di comunicazione di massa e la difficoltà di regolamentarli in modo rigoroso apre all’uso di quest’ultimi a scopi propagandistici, emotivi e distorsivi. Diventa perciò troppo facile poter manipolare i messaggi, e dunque, condizionare l’opinione pubblica. Questo è l’agire strumentale, opposto all’agire comunicativo, che invece “indica la possibilità di un’unione sociale non coercitiva”.

A quel punto, quando le fantasie ed i discorsi sui media hanno un forte impatto sulle emozioni della popolazione, così forte da poter cambiare anche pensieri a lungo termine, cosa difendiamo a fare la libertà di espressione (dell’opinione)? Se la maggior parte della popolazione è così facilmente infatuabile anche solo da accenni di teorie complottiste su talk-show (per non parlare di potenti algoritmi sui social media) quanto è libera questa espressione? L’unica libertà presente è quella di poter copiare l’opinione altrui (e sia chiaro, opinione! Non episteme).

Un ottimo esempio di quanto gli umani siano “a livello scimmia” quanto a suggestibilità: consiglio al lettore di dare un’occhiata allo scandalo Cambridge Analitica, e di rileggere l’articolo dopo aver visto gli impressionanti risultati statistici ottenuti.

Il mio invito è quello a ridurre, per quanto si può, il consumo dei media: gli umani non sono abbastanza evoluti per sviluppare il pensiero critico, quello vero. E anche se si dicono immuni e non schierati, saranno sempre polarizzati da ideali altrui: questa non è opinio, è episteme.

Nel mio piccolo, per chi mi conosce, sa che faccio silenzio stoico su tutti i temi di attualità e politica, a meno che essi siano profondamente sbagliati per episteme. Ho anche io delle opinioni, sia chiaro, ma non è necessario che siano conosciute.

Benvenuti nell’epoca dei burattini e dei burattinai.

 

Inserito il:03/05/2022 17:03:53
Ultimo aggiornamento:03/05/2022 18:46:58
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