Aggiornato al 01/08/2025

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

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Gli anglosassoni non dicono ciò che pensano e non pensano ciò che dicono

di Achille de Tommaso

 

Gli anglosassoni? Li conosco bene. Così bene che, più volte, mi sono trovato a spiegare agli stessi anglosassoni chi sono davvero e come comportarsi con i loro concittadini. Per capire ciò, ho lavorato infatti per cinquant’anni creando e dirigendo aziende per americani, inglesi, canadesi. Ricordo un insegnante di lingua inglese, irlandese che, con un sorriso enigmatico e lo sguardo acuto, ci metteva in guardia: “State attenti, gli anglosassoni non dicono ciò che pensano, e non pensano ciò che dicono. Non capirete mai cosa realmente pensano, se ascoltate solo le loro parole.”

Una frase che mi è rimasta impressa, perché racchiude l’essenza profonda dell’ambiguità comunicativa anglosassone: la sofisticata arte di non dire esplicitamente, ma di far intendere tutto. L’arte, cioè, della cortesia come schermo, del giudizio travestito da eleganza, del paternalismo celato da charme. Ricordo una madre inglese che insegnava alla figlia a non dire mai 'no', ma a dire: ‘I’m not quite sure about that’ oppure ‘Perhaps there’s another way’, o ancora ‘Let me think about it’. Un rifiuto travestito da riflessione, un diniego cortese mascherato da esitazione. In quella forma educata e morbida si rifletteva tutta la cultura britannica del non urtare, del preservare l’armonia, anche a costo dell’ambiguità. La negazione, trasformata in nuance diplomatica, diventava una forma d’arte. (potrei scrivere un intero articolo sul soft-power linguistico anglosassone…)

Ed è con questo in mente che commento la copertina di TIME che raffigura il Presidente Meloni e la relativa intervista.

***

È in questo codice non detto che va letta la recente copertina del Time dedicata a Giorgia Meloni: “Where Giorgia Meloni Is Leading Europe”. Un’apparente consacrazione, una vetrina che molti, ingenuamente, hanno interpretato come un riconoscimento di prestigio. Ma chi conosce davvero il linguaggio del potere anglosassone, sa che le vere intenzioni si celano sempre nella struttura retorica del sottinteso. E qui, il sottinteso è chiaro: attenzione, l’Italia si sta muovendo fuori dal recinto, ed è bene che il mondo lo sappia.

L’ambiguità come stile: l’Italia seduce, ma non comanda

Meloni, nell’articolo firmato da Massimo Calabresi, viene dipinta come una figura affascinante, emergente, simbolica. Ma subito dopo, il ritratto si oscura: viene accostata ai “nuovi autoritarismi”, accusata di voler allargare i poteri esecutivi, limitare le proteste, influenzare la magistratura. Il Time non celebra: sospetta, diffida, insinua.

È la tecnica tipica dell’intellighenzia anglosassone, che non attacca frontalmente — non è nello stile britannico — ma costruisce attorno al soggetto un clima di allerta e inquietudine. Le stesse frasi di lode contengono dosi calibrate di veleno semantico. Si elogia per smontare, si solleva per poter giudicare meglio la caduta.

La lunga tradizione del doppio standard

Non è la prima volta. L’Italia, sulla stampa britannica e americana, è da decenni oggetto di questa ambigua fascinazione: siamo la terra del genio e del caos, della bellezza e dell’inaffidabilità, del gusto e del disordine. Mussolini venne esaltato nel 1923 come “The man who is making Italy work”, salvo poi essere demonizzato vent’anni dopo. Berlusconi? Rappresentato come una maschera grottesca, il simbolo dell’Italia ridicola e inaffidabile. Oriana Fallaci? Ammirata e al contempo sospettata. Giorgio Armani? Esteta sì, ma in un paese che — si suggerisce — non sa vestire la propria classe politica con la stessa eleganza.

Il sottotesto è sempre lo stesso: l’Italia può essere brillante, mai guida; suggestiva, mai strategica; affascinante, ma sempre sotto tutela.

Il rispetto anglosassone: estetico, mai politico

Ho conosciuto bene l’Inghilterra, gli USA e il Canada, e il suo establishment. Li ho visti affascinarsi per la nostra cucina, le nostre città d’arte, il nostro “genio latino”. Ma mai — e sottolineo mai — ho colto in loro una reale propensione a considerarci pari, sul piano geopolitico o intellettuale. Al massimo, ci concedono un posto a tavola, purché non ci azzardiamo a dettare l’ordine del giorno.

È la stessa ambivalenza che alimenta oggi la narrazione su Meloni: apprezzata finché non sfida l’establishment, sostenuta finché rimane nella cornice atlantista, ma subito sospettata se osa proporre una visione alternativa di Europa, in cui l’Italia non è più satellite, ma cardine.

Meloni sulla copertina? No: sotto processo

Quella copertina del Time, apparentemente un onore, è in realtà un atto di messa sotto osservazione. Meloni, e con lei l’Italia, vengono fotografate, incorniciate, esaminate. Si cita Renan (nazionalista e antisemita) solo perché Meloni lo menziona. Si insinua la presenza di nostalgici del fascismo nel suo partito, come a dire: attenzione, l’Italia non ha ancora fatto i conti col proprio passato. Una retorica stanca, ciclica, che gli anglosassoni rispolverano ogniqualvolta un leader italiano emerge fuori dai ranghi della loro ortodossia ideologica.

Smascherare l’aplomb

Il mio insegnante irlandese aveva ragione. Gli anglosassoni non dicono ciò che pensano. Anzi, ciò che dicono, lo dicono in modo tale da potersi sempre sottrarre alla responsabilità delle proprie parole. Questo li rende abili, sottili. Non è con l’aggressività che ci delegittimano: è con l’allusione, la mezza frase, l’applauso che cela la tolleranza.

Ed è per questo che dobbiamo leggere le loro “celebrazioni” con occhi lucidi. Non con entusiasmo provinciale. Non con l’ingenuità di chi si sente promosso dal vecchio professore severo. Perché non siamo più studenti. E nemmeno decorazioni pittoresche. Siamo una nazione che può — e deve — smettere di chiedere rispetto, e iniziare a pretenderlo.

 

Inserito il:29/07/2025 09:06:52
Ultimo aggiornamento:29/07/2025 15:24:16
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