Aggiornato al 03/12/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Hugo Salmson – (1843-1894) – Interno con bambini che giocano a carte

 

I bisogni dei bambini.

 

I bambini, a differenza di come noi li pensiamo, sanno crearsi un loro mondo e una loro cultura che non dipendono dalla nostra cultura di adulti. Prendono pezzi dal nostro mondo, li rielaborano, li mischiano con le loro creazioni. Sono esseri attivi, non passivi, come si pensava quando la lezione ideale vedeva i bambini seduti, e fermi, e la maestra che spiega ad esseri vuoti in attesa di essere riempiti dalle lezioni.

La dinamica ancora oggi è più o meno questa: bambini, seduti, testa e sguardo rivolti ai compagni, smaniando di parlare e condividere, e l’insegnante che a fatica cerca di convogliare quelle attenzioni disperse nell’aria verso di lei.

Si spendono tante energie per far rispettare alcune regole ai bambini, per farli stare in silenzio, seduti, fermi, zitti, pensando che sia quello di cui hanno bisogno, quando in realtà loro ci chiedono (e fanno) altro. E non solo perché sono indisciplinati, ma perché hanno anche altre esigenze, troppo spesso bollate come ‘indisciplina’ e che loro stessi per questo vivono colpevolmente. Queste regole sono state stabilite, immagino, per facilitare l’apprendimento e l’educazione in classe in un certo periodo storico, ma perché li viviamo come valori assoluti?

Sono abitudini che rispondono all’idea di classe di un tempo, figlie di un mondo molto diverso.

Quante ore di lezione si svolgono nell’eterna dialettica tra rimprovero e marachella? E se alcune di queste ‘trasgressioni’, se osservate bene, ci raccontassero i bisogni dei bambini?

Spesso la scuola non riesce a cogliere queste creazioni dei bambini se non come limiti della sua attività formatrice.

Uno dei divieti più celebri è il perenne ‘non bisogna chiacchierare’. Ma i bambini lo fanno comunque, perché hanno bisogno di farlo. Anziché recriminare questa necessità, perché non sfruttarla? Perché non creare momenti di apprendimento in cui si parla, si chiacchera, ci si racconta? Chiacchierare è un istinto di tutti i bambini, anche dei più bravi e disciplinati. E’ un bisogno di comunicare e condividere che va oltre le regole e che potrebbe essere usato a vantaggio dell’insegnamento, è il veicolo più efficace, e naturale. Perché viene usato così poco?

Le discussioni sono momenti fondamentali e preziosi per l’apprendimento; discutere significa saper ascoltare il punto di vista dell’altro, argomentare le proprie idee, misurare le distanze con gli altri, ed esprimere i propri sentimenti. Un esempio estremo: l’antropologo Robert Levy, andato a Tahiti per comprendere le cause dell’alto tasso di suicidi, scoprì che i tahitiani avevano una parola per esprimere il dolore fisico, ma non quello spirituale: saper parlare significa anche saper nominare le cose che ci coinvolgono e ci succedono. Nominare una cosa vuol dire poterla capire, e condividere. E le parole si imparano usandole.

Questo approccio non implica che non si riconosca l’autorità della maestra, o la carica culturale che lei è pronta a trasmettere: la maestra gioca un ruolo fondamentale, indirizza la conversazione, introduce nozioni, parole e storie nuove, è solo che le rianima inserendole nello scorrere della vita. E’ solo che ascolta di più i bambini, e non dice, neanche implicitamente, ‘zitti, ora parlo io’, ma il suo ruolo di maestra, la sua saggezza e autorità sarà implicita, senza bisogno che la affermi da sola, la riconosceranno i bambini stessi in base al ruolo di saggia che assume nella conversazione.

Quale migliore esempio di tolleranza e rispetto delle opinioni si può dare se non la conversazione? Come ci si può aspettare che i bambini apprendano certe cose dai libri, come si può pensare che sia più efficace dire ‘bisogna rispettare l’opinione degli altri’ quanto piuttosto mostrare come sia naturale farlo? Perché correre ai ripari facendo seminari sul bullismo al liceo? Non si possono trasmettere cose così pratiche come se fossero capitoli da studiare, o tabelline da ripetere a memoria. L’esperienza è una grandissima insegnante e forse la più efficace, eppure spesso viene trascurata.

Tutto questo ragionamento però si scontra con la parte positiva e necessaria della disciplina, e delle regole. Che non sono negative per forza. I limiti, e i confini sono importanti: sono anche mura difensive. Ma guardiamo che cosa stiamo limitando, e soprattutto perché lo facciamo. E chiediamoci se, quando un bambino fatica ripetutamente a seguire una nostra indicazione, regola, o imposizione, anche se ben disposto, forse ci sta comunicando che non ne ha bisogno, di quel muro in particolare.

La scuola parla dei bambini, parla per i bambini, parla con i genitori dei bambini, ma i bambini parlano con la scuola?

 

Inserito il:22/03/2016 15:56:50
Ultimo aggiornamento:06/04/2016 10:18:30
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