Aggiornato al 11/10/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Reihnard Gäde (Lübeck, Germania, 1937 – Madrid, 2012) - Alone

 

La solitudine digitale

di Mara Antonaccio

 

Sto camminando in una via del Centro, passo davanti alle vetrine dell’ennesimo fast food, “non luogo” per eccellenza; è metà mattina, un orario non canonico per consumare un pasto di carne, patate e condimenti grassi; dentro qualche avventore, studenti, pochi, il resto, gente sola, con nella mano sinistra il panino, nella destra un cellulare, sembra di ultima generazione…

“Incredibile”, penso, nell’Era Digitale, della connessione totale, continua, assoluta, del Villaggio Globale, della Rete integrata e integrante, la gente sta sola. Certo, in quel momento convinta di essere in rapporto con il resto del Mondo attraverso un dispositivo iper tecnologico, nella realtà, sola.

L’illusione dell’Uomo dell’Antropocene è proprio questa, sentirsi connesso in ogni momento dell’esistenza, peccato che la connessione lo veda unico presente. Questo rimarco nelle mie terapie nutrizionali, che sono sempre più legate alla psiche che al cibo; i miei interlocutori si sentono persi in questo oceano di connessione, orribilmente persi, con la convinzione che gli altri ci siano, ma non li trovano. Certo, dall’altra parte del mezzo tecnologico ci sono persone in carne ed ossa, a loro volta connesse dall’apparecchio, ma anch’esse sole.

In questa situazione di solitudine esistenziale ed emotiva, il cibo entra in maniera preponderante: chiediamo aiuto, vogliamo essere ascoltati, cerchiamo relazioni che ci permettano di guardarci negli occhi, di toccarci, di percepire le emozioni che ci animano, ma non le troviamo, a risponderci un touch screen fatto di cristalli liquidi, come i sentimenti che sentiamo fluire in noi, contrastanti. Il cibo, dicevo, diventa una presenza rincuorante, disponibile; non fa domande, si concede senza chiedere corrispettivi, calma e lenisce il dolore esistenziale; scende nella gola e scalda lo stomaco come uno sciroppo per la tosse. Non importa se nel frigo ci sono cibi dolci, salati: il bulimico li mangia e li mischia senza un significato di gusto o coerenza; il loro uso è strumentale, diminuisce il bruciore nel petto, calma l’ansia.

Ieri una bellissima fanciulla di 19 anni, poco più che bambina, con la pelle liscia e perfetta, gli occhi grandi, neri, la voce calma, contenuta, è entrata nel mio studio; si è seduta educata, con la schiena dritta e le mani elegantemente poggiate l’una sull’altra e ha iniziato a raccontarmi del perché della sua visita, voleva imparare a mangiare bene, perché normopeso, sapere come comporre i pasti. Non mi ha convinta con la sua faccina pulita, i modi cortesi; le ho fatto una domanda diretta, spietata: “cosa vuole davvero da me?”

I suoi occhi hanno velocemente guardato attorno, smarriti, hanno iniziato a bagnarsi prima, poi a produrre lacrime come un fiume in piena, mi ha raccontato che ha preso 5 chili negli ultimi mesi, che mangia qualunque cosa trovi in frigo o in dispensa e che il padre le dice che è grassa, la madre la sgrida se la vede mangiare. Mi racconta che da quando è piccola a casa sua ognuno pensa per sè, i genitori lavorano sui tre turni e chi arriva mangia, senza orari fissi, senza un pasto preparato e condiviso in famiglia, nessuno si occupa di cosa fa, di cosa mangia.

Questa splendida ragazzina è sola, ha un fratello grasso e una sorella trasparente: modi diversi per esternare lo stesso male di vivere. Mi alzo, le prendo le mani, la abbraccio, si scioglie in un pianto incontenibile, mi chiede aiuto. Le parlo con voce bassa, persuasiva, come si fa con un cavallo che si cerca di calmare, le propongo di vederci ogni settimana, per fare due chiacchiere; non sono una psicoterapeuta per diritto scolastico ma sono una ascoltatrice attenta, una lettrice dei segnali che le persone che ho di fronte mi inviano. La dolce bambina è andata via con gli occhi tristi ma sorridenti, dentro vi ho letto la speranza di aver trovato ascolto, comprensione.

Ecco, di questo ha bisogno l’Uomo della Società Liquida, integrata, globale, della fine dei riferimenti forti, della famiglia disgregata e della richiesta di performance a prescindere: combattere la solitudine che, in questa era sovraffollata e iper connessa, fa ancora più male, è ancora più dura.

 

Inserito il:17/11/2019 17:41:40
Ultimo aggiornamento:17/11/2019 21:50:09
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