Aggiornato al 11/12/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Musah Swallah (Ghana, Contemporaneo) – Migrations

 

Migranti: da dove vengono e perché vengono

di Achille De Tommaso

 

LA BOLLA DEL MICROCREDITO, IL RICICLAGGIO, I RACKET DELL’EMIGRAZIONE; LO SCHIAVISMO MODERNO. LE ONG E LA TRASPARENZA DI BILANCIO CHE NON C’E’.

 

ABSTRACT:

Le mie “deduzioni” sono che i migranti che fuggono da guerre e da fame o stenti non sono la maggioranza di coloro che emigrano verso l’Europa; la maggior parte è formata da persone che sono invogliate a farlo da una disinformazione creata per poter mantenere un business criminale di (almeno) 300 miliardi di dollari all’anno. Nel caso delle minoranze di migranti non abbienti, o provenienti da paesi in guerra, o comunque non in grado di pagarsi il cospicuo costo del viaggio, il sistema criminale dei trafficanti di esseri umani si avvale di sistemi di finanziamento ai limite della legalità; che, spesso, aggravano l’esistenza del migrante. Per quanto riguarda visti d’ingresso e documenti, spesso i trafficanti si occupano anche di fornire documenti falsi. E comunque informano il migrante del fatto che, una volta giunti in Italia, in poco tempo, e per varie motivazioni (es. minori non accompagnati), possono ottenere permessi legali.

Considerando lo sviluppo economico dell’Africa (anche per merito dei cospicui investimenti dall’estero), taluni di questi migranti vanno incontro a un futuro non necessariamente migliore di quello che li attende in patria; ma sicuramente rischiano la vita senza esserne coscienti.

Ad aiutare questo business criminale contribuiscono anche le ONG, talune in buona fede, ma talune no. E sarebbe bene, riguardo a tutte, sapere come impiegano i soldi delle donazioni.

Il risultato di queste deduzioni, per l’Italia, è: 1. Che le strutture di accoglienza sono al collasso. 2. Che è estremamente probabile un acutizzarsi del fenomeno dello “schiavismo moderno”. 3. Che l’elusione dell’ottenimento legale di visti all’ingresso rende più facile l’emigrazione di criminali. 4. Punto più importante: abbiamo assistito alla morte di oltre 4700 persone nel 2016 e 2100 fino a giugno 2017; e stiamo facendo ancora poco per fermare le morti.

Le ho chiamate “deduzioni” perché provengono da un percorso logico di fatti provenienti da fonti, che ritengo autorevoli; ma che non posso considerare, tutte, incontrovertibili. Ovvero, alcuni fatti elencati sono oggettivi e incontrovertibili (ad es. il fatto che l’accoglienza in Italia sia al collasso); altri, dibattuti già oggi, e necessari di ulteriori approfondimenti (es. le ONG sono colluse ?).

L’unica verità tragica è che negli ultimi due anni sono morte circa 7.000 persone, e che sarebbe bene approfondirne le ragioni.

 

 

«L'Italia è un paradiso ad appena quattro settimane dal Gambia, tre settimane dal Mali, due dalla Nigeria. E costa poco arrivarci: l’equivalente di trecento euro, non di più. Oggi non è come prima che le barche affondavano. Adesso non ci sono più pericoli perché la guardia costiera ti prende in mare e ti porta in salvo. Poi per due anni ti aiuta lo Stato italiano, giusto il tempo di ricevere il permesso di soggiorno e trovare un buon lavoro. Oppure te ne vai a Parigi, Berlino, Londra. Una volta che sei in Europa non ci sono più confini».
Dicono così ai loro “clienti” i trafficanti e i promotori della sfida che vale anche la vita. Da Est a Ovest, dall’Eritrea al Senegal. Una narrazione che ha un unico scopo: sfruttare la miseria, la paura, l’insicurezza e fare soldi (l’Espresso – 24 febbraio 2017).

Incuranti dei morti: i migranti morti in mare nel 2016 sono stati 4.733.

********

 

Ormai sappiamo che pochi dei migranti che giungono in Italia fuggono da guerre, ma allora perché vengono? Per scampare dalla miseria? Chi è che parte per venire in Italia, clandestinamente, attraverso il Mediterraneo?

Parte chi crede di far fortuna in Italia o in Europa; e non conosce, perché non ne viene messo al corrente, né i reali rischi del viaggio, né quello che lo aspetta veramente in Europa. Premetto che tracciare l’identikit dell’immigrato che arriva in Italia, via mare, vuol dire, oggi, confutare parecchi luoghi comuni, e rischiare, anche, di essere definito razzista, o, come minimo, populista. Ci vuole quindi, credo, una certa dose di coraggio per farlo, considerando che il tema riveste in Italia (e non solo in Italia) aspetti politici ed ideologici (e quindi etici) non di poco rilievo.

Nel tracciare, quindi, questo identikit, cercherò il più possibile di essere avulso da considerazioni etiche o politiche; riportando fatti e le fonti relative (il più possibile credibili). Tenendomi lontano da temi quali l’accoglienza (e la corruzione relativa) , l’integrazione, la normativa sui minorenni-non-accompagnati, lo ius soli, il terrorismo, eccetera. Di cui lascio al lettore le deduzioni.

Per scrivere questo articolo mi sono avvalso di varie fonti: la più importante è il libro “Migranti? Migranti? Migranti? ” (ed. Segno) di Anna Bono. Anna Bono ha passato più di dodici anni in Kenya, facendo ricerche e studi; è ricercatore in Storia e istituzioni dell’Africa presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino, insegna Sociologia dei processi culturali nel corso di laurea in Servizio sociale, sempre a Torino, e studia la condizione femminile nei paesi in via di sviluppo ed emergenti nell’ambito del master Lavoro, famiglia e leadership femminile dell’Università Europea di Roma. Dirige il dipartimento Sviluppo Umano del Cespas, Centro europeo di studi su popolazione, ambiente e sviluppo, e cura la pubblicazione del sito web del Cespas, Svipop.org. Su Africa, sviluppo, ambiente, popolazione, condizione femminile, relazioni internazionali, cooperazione internazionale ha pubblicato oltre 900 tra articoli, saggi e libri di carattere scientifico e divulgativo. Tra le riviste con cui collabora, oltre a Il Timone: Tempi, Analisi Difesa, Ragionpolitica, L'Occidentale, Zenit, Il nostro tempo, Africana.

Altre fonti da me usate sono: Al Jazeera, soprattutto per dati sul business dell’emigrazione dall’Africa; Migration Policy ; AZ (Frankfurter Allgemeine Zeitung), “The Guardian”; Fraser Nelson del the Daily Telegraph. Interessanti poi alcuni articoli de l’Espresso (ho scelto l’Espresso perché non credo possa essere incolpato di essere “orientato a destra”) e La Verità; soprattutto per una analisi relativa agli scritti di Anna Bono. E poi Bankitalia; il CIR (Consiglio Italiano Rifugiati); la Verisk Maplecroft; la NCA (National Crime Agency).

Innanzitutto, i migranti da dove vengono? Vengono soprattutto dall’Africa subsahariana, in particolare dall’Africa Occidentale. Nigeria in testa, seguita da Senegal, Ghana, Camerun e Gambia. Africa a parte, un numero consistente proviene dal Bangladesh, Afghanistan e Pakistan. In fuga da guerre, come siriani e iracheni sono una minoranza. Quasi il 90% sono maschi; hanno per lo più dai 18 ai 34 anni; ma c’è una crescente percentuale di minorenni (almeno stando alle loro dichiarazioni all’arrivo) che viaggiano da soli. Pochissime sono le famiglie, a differenza di quanto accade per siriani ed iracheni.

Chi viene? Cosa li costringe all’emigrazione? Per affrontare un viaggio (che è spesso clandestino per tutto il percorso) si affidano ai trafficanti, con costi elevati, dell’ordine delle migliaia di dollari. Ecco perché a partire sono, come dirò, per lo più persone del ceto medio (ormai più o meno un terzo della popolazione africana); non pochi con un reddito discreto. Parecchi (come riferiscono componenti delle squadre di salvataggio) hanno carte di credito, cellulari e sono discretamente vestiti.

La domanda quindi è:” ma se hanno un reddito discreto, perché partono ?”. La risposta è nel fatto che in Africa c’è una altissima percentuale di persone giovani convinta che l’Occidente sia talmente ricco che basti arrivarci per fare fortuna.

Non sono assolutamente consci dei rischi del viaggio. Anzi (Al Jazeera “The deadly business of migrant smuggling” ) ci sono siti di informazione, gestiti dai trafficanti, anche sui “social”, che decantano la facilità del viaggio e di ottenimento visti all’arrivo; e forniscono i vari prezzi. Ma c’è, comunque, anche un’immagine da “Europa=Bengodi” veicolata dai normali mass media. Gli europei, agli occhi dell’africano medio, infatti, sono tutti ricchi: l’europeo è il turista che frequenta alberghi di lusso, oppure il dipendente dell’azienda occidentale che va nei buoni ristoranti, ha una bella casa e l’automobile. C’è poi un altro elemento: da decenni in Africa arriva dall’Occidente di tutto: medicine, cibo, vestiti. Vengono costruiti (ottimi) ospedali; tutto gratis. Questo contribuisce all’idea di una prosperità senza limiti in Occidente. E’ quindi ovvio che i trafficanti, per alimentare il proprio business abbiano tutto l’interesse a illudere le persone sul futuro roseo che troveranno in Europa. Al Jazeera calcola che questo business si aggiri sui 300 miliardi di dollari all’anno (cui si aggiunge quello dell’ “accoglienza”).

“Ho raccolto varie storie – scrive la Bono – su coloro che hanno affrontato la migrazione. C’era, ad esempio, un senegalese che aveva varie mandrie di mucche e di tori, una famiglia, molti amici; tutto sommato una buona posizione. Ha venduto tutto per venire in Europa; ed è morto in mare. Ma se anche ce l’avesse fatta, uno come lui, senza reali esperienze lavorative e senza conoscere la lingua, quale lavoro avrebbe potuto fare in Europa ? Avrebbe potuto vivere meglio che in Africa ?”. “Ricordo poi una ragazzina di 19 anni, del Gambia, portiere della nazionale femminile e di buona e benestante famiglia. E’ annegata nel Mediterraneo, perché si era messa in testa di partire. E sempre del Gambia, un famoso wrestler. Anche lui annegato; eppure guadagnava bene, aveva ammiratori anche fuori confine, in Senegal. Ma senza parlare dei morti, comunque tanti; è inconcepibile che partano anche quelli che sopravvivono. Partono spesso, infatti, da condizioni sociali che sarebbero ottimali anche in Europa, e affrontano la morte per un futuro che può essere fatto di stenti. Semplicemente per la cattiva informazione; per l’informazione fuorviante e spesso criminale.” A chi fosse scettico su queste affermazioni relative alla “povertà reale” dei migranti, suggerisco di leggere un paio di articoli ; il primo sulla National Review : http://www.nationalreview.com/article/423729/europes-migration-crisis-global-governance-crowd-dictates-wildly-unrealistic-policies ; e il secondo, scritto da Fraser Nelson su The Telegraph: http://www.telegraph.co.uk/news/uknews/immigration/11842760/Prepare-yourselves-The-Great-Migration-will-be-with-us-for-decades.html.

Sono tutti benestanti? Ovviamente no, ci sono anche i poveri che fuggono; ma come fanno a pagare migliaia di dollari per il viaggio? Tema interessante, che induce a dilungarci sui fenomeni di “finanziamento all’emigrazione”. Chi non cade in mano ai racket dei trafficanti ricorre infatti spesso al “prestito umanitario”; vediamo quanto sia benevolo questo prestito. Il Bangladesh è un esempio da manuale: nel 2017 almeno il 10% dei migranti sta venendo in Italia dal Bangladesh, il che è sorprendente, perché nel 2006 fu attribuito il premio Nobel per la pace all’economista Muhammad Yunus, conosciuto come il “banchiere dei poveri”, in quanto aveva elaborato una teoria “per far sparire la povertà” dal suo paese, inventando il “microcredito”. Questo è il genio del microcredito che nel 1983, a Dacca, ha fondato la Grameen Bank (sostenuta anche dai Clinton) ; un istituto che presta denaro solo ai poveri, consentendo agli “ultimi” del terzo mondo di “affrancarsi e prendere in mano il proprio destino”. Idea geniale, che però si è dimostrata un fallimento (se non peggio, come vedremo) e un reale propulsore per l’emigrazione. In realtà, non solo non ha funzionato, ma in molti casi ha peggiorato la situazione dei poveri. Per inciso, nel 2011 il governo del Bangladesh ha estromesso Muhammad Yunus dai vertici della banca e lo ha denunciato per evasione fiscale. Soprattutto hanno poi cominciato a circolare una serie di studi autorevoli che hanno messo in discussione il beneficio dei finanziamenti ai poveri; uno dei principali, promosso dal governo britannico (https://www.givedirectly.org/pdf/DFID_microfinance_evidence_review.pdf) , ha concluso che il microcredito è “edificato su un castello di sabbia”. Nel 2007, poi, in Messico è esploso uno scandalo legato al Banco Compartamos, la più grande banca di microcredito del paese. Sono emerse violazioni, illegalità e ruberie compiute dai manager dell’istituto, e la realtà dei “prestiti ai più poveri” ha cominciato a venire a galla.

Ebbene, nonostante il possibile imbroglio, circa 100 milioni di persone in 90 paesi prendono denaro con microfinanza. Il piano prevede che con prestiti di somme anche minime, uno elabori un piano di rientro basato su una attività. In genere l’attività da costruire è una piccola azienda, oppure un progetto di emigrazione, con restituzione del prestito più interessi. Economisti come Bateman e Storey hanno notato come poche di queste microaziende sopravvivano; per vari motivi, non ultima la cattiva gestione dovuta ad incapacità imprenditoriale. E quando l’impresa fallisce è un disastro, perché l’imprenditore non è più capace di ripagare il debito, che continua a crescere a tassi elevatissimi; analogamente se l’emigrato non trova lavoro in un tempo ragionevole. Come ha spiegato Dario Ronzoni su l’Inkiesta.it, si va dal 12% medio dell’Etiopia al 110% del Messico. Nel 2010, in alcune zone dell’India, si è registrata una epidemia di suicidi: 45 in un mese e mezzo. A uccidersi erano i debitori insolventi, su cui gli intermediari di società come SKS Microfinance continuavano a fare pressione. Qual è la via per ripagare il debito ? Come fanno quindi i più poveri a restituire i prestiti microcredito ? C’è chi viene venduto ai trafficanti, chi si procaccia il denaro con attività illecite, Chi viene indotto ad emigrare. La sociologa Maryann Bylander studia il fenomeno dal 2013 ed è giunta a conclusioni inequivocabili. “Alcune famiglie – scrive in un lungo articolo pubblicato su Migration Policy (www.migrationpolicy.org) – utilizzano il microcredito per finanziare i costi dell’emigrazione. Poi ci sono anche prove che l’emigrazione venga utilizzata per gestire il debito quando le microimprese falliscono, spingendo all’estero chi ha preso il prestito, alla ricerca di migliori opportunità economiche. Questa è la favola del microcredito; un sistema che avrebbe dovuto cancellare la povertà e invece si è trasformato in un meccanismo soffocante per centinaia di migliaia di persone (talvolta micidiale), che alimenta o addirittura costringe, all’emigrazione.

Gli immigrati, poi, vengono anche utilizzati per riciclare denaro. Le organizzazioni criminali, non solo prestano denaro ai migranti a tassi elevati (denaro ovviamente di origine criminale), ma, una volta che detti migranti siano arrivati in Europa, si aspettano infatti che venga restituito. Profughi o richiedenti asilo debbono quindi restituire il debito. E lo possono fare, o col sistema del money transfer, oppure con l’Hawala (v. http://www.moneylaundering.it/2013/09/12/hawala/ ) . Questo è un sistema che, a fronte di un tasso medio del 5% permette di far passare di mano somme senza lasciare traccia. Sfruttando il fatto che i confini si possono attraversare con somme mediamente fino a 10.000 euro cash. L’ultimo studio di Bankitalia sulle operazioni di riciclaggio ha dedicato un intero capitolo alle agenzie di trasferimento denaro; rilevando varie anomalie, supportate dalla reticenza a fornire informazioni, frequenza delle operazioni, individuazione della controparte, presentazioni di informazioni non veritiere e documenti contraffatti. Anni fa la GdF è stata molto attive con inchieste che coinvolgevano il traffico di droga; oggi la droga è sostituita da un altro prodotto: gli immigrati.

“C’è comunque una minoranza di migranti che fugge da governi e dittature – dice la Bono – ma sono relativamente pochi”. In Italia, nel 2016, su 123.000 domande di status di rifugiato, ne sono state accolte 4.940; quindi il 4%. Questi rifugiati provengono soprattutto da Somalia e da Eritrea, dove c’è una delle dittature peggiori del pianeta (sic !). E un po’ vengono dal Sudan. Ma in realtà, dalle zone più in difficoltà non arrivano tante persone. Dal Sudan del Sud, in guerra dal 2013, arrivano in pochissimi. Dalla Repubblica Centrafricana e dalla Repubblica Democratica del Congo non arriva praticamente nessuno. Quanto alla Nigeria, gli immigrati partono dal sud, dove non ci sono pericoli; e solo pochissimi dal nord est, dove imperversa Boko Aram. E comunque, per i veri profughi da guerre, come vedremo appresso, vi sono sistemi di emigrazione legali e rapidi.

Il fatto che siano pochi i profughi da guerre, viene spiegato dal desiderio della maggioranza degli stessi (quelli che veramente scappano da guerre) di non allontanarsi troppo da casa, dove spera di tornare. Chi fugge dalla guerra in Somalia, ad esempio, si sposta in Kenya o in Etiopia, e ci pensa bene prima di allontanarsi di più. Insistere sull’integrazione dei rifugiati significa dimenticare che chi scappa dalle bombe chiede una protezione temporanea. Centinaia di migliaia di profughi iracheni e siriani stanno tornando o sono già tornati alle loro case. Emblematico il caso di Mosul: non era stata liberata ancora del tutto dall’ISIS, gli abitanti scappavano ancora da alcuni quartieri, ma già nelle aree sicure rientravano alcuni sfollati.

Cosa fare per diminuire i flussi?

Forse un giorno diventeremo più realistici: le effettive possibilità di accoglienza dignitosa sono legate a numeri non infiniti, e drasticamente contenuti. Il sistema italiano è oggi già al collasso: secondo il CIR (Consiglio Italiano Rifugiati) a proposito delle richieste di asilo "si stanno accentuando i problemi, dovuti soprattutto alla necessaria presenza, durante i colloqui, di funzionari delle forze di polizia, che sono oberati, però, da altri impegni. E così invece di fare 4-5 audizioni al giorno, si è scesi a 3. Nel 2017 si è registrato un calo del 10% delle domande esaminate e ciò è preoccupante". Il prefetto ha parlando di un sistema "in sofferenza", con le Commissioni che stanno avendo problemi a esaminare un quantitativo così alto di richieste.

E non dobbiamo nasconderci dietro ad un dito; c’è un altro tema decisivo: quei pochi che si possono realmente accogliere vanno messi a lavorare, prima che siano assorbiti dall’esercito della criminalità. Per far questo potrebbe essere valido lo strumento adottato da anni in Canada(Il Canada, per anni è stato considerato il “paradiso dell’emigrazione” – v. http://www.migrationpolicy.org/article/canada-northern-refuge-central-americans): stabilire non solo quantità relativamente piccole di ingressi, ma anche le qualità e le caratteristiche lavorative (quante badanti, quanti lavoratori per l’agricoltura, ecc.) di quelli che potranno essere accolti anno per anno, legando cioè i meccanismi di entrata all’effettiva assorbibilità dei nuovi ingressi da parte del mercato del lavoro nazionale.

Il rischio di “schiavismo”. Non mi illudo, però del fatto che il concetto di “stabilire quantità di ingressi e caratteristiche lavorative” non venga visto in modo sospetto da alcuni, che potrebbero considerare antietico e discriminatorio questo approccio. Il non farlo, però, può portare a dover gestire fenomeni che, sempre di più possano essere definiti di “schiavismo”.

In realtà la schiavitù non è mai scomparsa, ha cambiato forme, e sta tornando in Europa per effetto dei flussi migratori. Ad attestarlo è la Verisk Maplecroft (società inglese di valutazione rischi globali – molto addentro nello studio di fenomeni di schiavismo; v. https://maplecroft.com/portfolio/new-analysis/2017/08/10/20-eu-countries-see-rise-modern-slavery-risks-study/) che dà all’Italia, assieme a Romania e Turchia, il primato di sfruttamento. Anche se l’allarme riguarda i tre quarti dei paesi UE e coinvolge la stessa Germania. Interessante una recente ordinanza del Prefetto di Torino, che di fatto legalizza la presenza dei clandestini, anche quelli cui è stata rifiutata la richiesta di asilo; consentendo alle aziende di impiegarli a salario ridotto al minimo, in cambio di un permesso di soggiorno. Un progetto che sicuramente consente di abbassare il costo del lavoro e di introdurre altra flessibilità in un mercato, però, già altamente precario.

Eugenio Scalfari, su Repubblica ha celebrato di recente il “meticciato universale”, che con le “virtù del sangue integrato” dovrebbe far sì che, con la mescolanza dei popoli, si producano condizioni più eque e condizioni di reddito “medio” in tutto il mondo. Vorrei tanto che fosse vero, ma al momento questo teorema appare semplicistico e viene smentito dai freddi dati statistici, che tracciano una correlazione tra immigrazione di massa e diffusione di condizioni di sfruttamento. Gli analisti di Verisk si aspettano che i rischi di moderna schiavitù aumentino in particolare in Italia nel corso del prossimo anno, soprattutto nel settore dell’agricoltura. Il nostro paese viene associato alla Turchia in quanto a tassi di sfruttamento dovuti all’ampliarsi dell’area di lavoro nero o sottopagata con manovalanza immigrata. La NCA (National Crime Agency) studia da tempo la forte correlazione tra schiavismo e traffico di esseri umani (v. http://www.nationalcrimeagency.gov.uk/crime-threats/human-trafficking).

Come fare quindi per diminuire e regolamentare i flussi ? Fare come ha fatto la Germania che ha bloccato la rotta balcanica dando in outsourcing ad Erdogan i campi di concentramento dove stipare i profughi ? (Profughi, per altro, per lo più siriani e quindi veramente in fuga da guerre). Probabilmente no, perché i flussi poi si dirigono, come è stato, verso altre, e più pericolose rotte; come quella mediterranea.

Da quanto visto, un modo (anche se non può essere l’unico) per diradare il flusso di partenze, e diminuire, quindi, il rischio di morti, è sicuramente quello di promuovere campagne informative in loco sui pericoli e sui reali costi del viaggio. E su cosa ci si deve aspettare in Europa, in termini di disoccupazione esistente e reali opportunità di lavoro. Andare in Africa a raccontare come stanno davvero le cose non è un’operazione difficile o pericolosa (l’Espresso - “Cambiamo rotta è ora che i governi dicano la verità sui migranti” ) . Bisognerebbe prima di tutto far sapere che il viaggio non dura quattro settimane: secondo un’indagine del 2016 pubblicata dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), il 67 per cento delle persone arrivate in Italia ha impiegato quasi un anno per il viaggio. E non costa l’equivalente di trecento euro, come pubblicano gli scafisti, visto che già solo per il passaggio in barca dalla Libia i trafficanti chiedono fino a milleseicento dollari.

Bisogna dire che alcuni governi già fanno una campagna di contro-informazione. In Mali, dal 2014 il governo tenta una campagna di sensibilizzazione, anche con cartelloni nelle città, per far capire ai giovani che l’emigrazione non è la soluzione. La giusta informazione è una importate chiave del problema e i governi europei dovrebbero collaborare, magari promuovendo spot e finanziando iniziative. Sottolineando che l’economia africana è comunque in forte crescita e che quindi è forse più probabile trovare, per un giovane, oggi, un lavoro dignitoso in Africa, che in Europa.

L’economia africana è in crescita? Da oltre vent’anni il PIL continentale africano cresce a medie sostenute. Nel 2017 la crescita media sarà del 2,6% . Grazie al petrolio l’Angola ha conosciuto picchi del 17% e vanta un record di crescita del PIL dal 2003 al 2013 di quasi il 150%. Ma la crescita economica di per sé non coincide con lo sviluppo; un po’ come accadeva nell’Italia anni ’50: mancano ancora investimenti in settori produttivi e in infrastrutture, ma stanno arrivando; non solo dall’Europa, ma anche da Cina e USA. E sorge quindi il dubbio: “quando questi investimenti giungeranno nella giusta quantità, ci sarà la giusta manodopera locale in grado di gestirli ?”.

A frenare lo sviluppo africano, però, non sono tanto gli investimenti, quanto, prima di tutto, la corruzione, presente a tutti i livelli sociali; accentuata dal fatto che i governi, per convenienza politica, hanno puntato ad una enorme crescita del settore pubblico. E poi il tribalismo, che è un altro grande freno allo sviluppo.

Anche il concetto “aiutiamoli a casa loro” è da sfatare. L’Occidente già lo fa: da decenni trasferisce grandi risorse finanziarie, umane e tecnologiche in Africa. Gli aiuti della cooperazione internazionale, nel 2015 hanno toccato i 135 miliardi di dollari. Ma la Banca Mondiale, qualche anno fa, parlando della Somalia, aveva calcolato che su 10 dollari consegnati alle istituzioni governative, 7 non arrivano a destinazione.

Alla ovvia domanda del perché i migranti non prendono l’aereo invece di usare metodologie illegali e pericolose, la risposta ufficiale c’è, ma è, a mio parere, poco convincente: infatti si accusa di ciò primariamente la direttiva 2001/51/C, che ha portato le compagnie aeree ad accettare solo passeggeri provvisti di visto d’ingresso. Il personale addetto ai controlli è obbligato quindi a fare una serie di controlli di verifica dei documenti e la stessa normativa prevede multe sostanziose per la compagnia aerea in difetto, e il carico del costo del rimpatrio. Confesso che, a mio parere, considerando quante centinaia di voli al giorno si effettuano tra Africa ed Europa, con centinaia di migliaia di passeggeri che hanno quindi un visto (turistico o di lavoro), questa scusa non mi appare convincente. Alcuni però notano che, per avere un visto, è necessario presentare la “fedina penale”; ed è ovvio che questo sia un deterrente per le persone non in regola. Allo stato dei fatti, è comunque strano che una persona in regola con la legge preferisca spendere 4-5 volte di più per fare un viaggio ad alto rischio per la sua incolumità, invece di servirsi di un viaggio aereo. E che l’unica scusa sia l’aspetto burocratico per l’ottenimento dei visti. Ma la reale motivazione potrebbe essere un’altra: il punto cruciale è infatti che gli immigrati che si trovano già in Italia senza documenti hanno una probabilità di diventare stranieri legalmente residenti (grazie a sanatorie o a un uso improprio del decreto flussi) assai più elevata di chi resta nel proprio paese di origine ad aspettare documenti per un ingresso legale; e di ciò i trafficanti si premurano di informare i migranti. Si pensi, al riguardo, all’enorme incremento dei minori non accompagnati degli ultimi periodi. Difficile stupirsi, quindi, che molti di loro decidano di venire in Italia irregolarmente, spesso rischiando la vita; scavalcando, così, comunque, il problema della fedina penale.

Per i cittadini di Paesi in pieno conflitto bellico come la Siria il discorso è ovviamente diverso perché l’ottenimento di qualsiasi documento è particolarmente arduo, se non praticamente impossibile, alla luce del collasso della struttura statuale. Per ottenere un visto di ingresso bisogna infatti andare nelle ambasciate di un Paese estero, che sono chiuse in situazioni di particolare emergenza o pericolo. Per i richiedenti asilo ci sono però altri modi per entrare in una Nazione, come i cosiddetti programmi di resettlement gestiti dall’agenzia Onu UNHCR. Dal 2013 sono arrivati in Europa più di 44 mila siriani; e appare molto strano che pochi profughi da guerre, diretti in Italia, utilizzino questa procedura per chiedere asilo. (v. http://viedifuga.org/resettlement-2013-litalia-continua-a-mancare-allappello/).

Vi sono altri modi con cui i trafficanti facilitano l’ingresso a migranti irregolari; ve ne allego un elenco, tratto dal Rapporto Frontex (che lascio in lingua originale): “Migrant smugglers frequently abuse legal channels to facilitate the entry of irregular migrants to the EU or to legalise their stay. The abuse of legal channels involves a variety of modi operandi including sham marriages, bogus paternity claims, false employment contracts, fake invitation letters, false medical visas, and false claims of being a refuge or a victim of human trafficking. In many cases, migrant smuggling networks operate as legal business structures in the EU, such as travel agencies, to produce fraudulent paperwork which allows irregular migrants to obtain work permits. These methods have proven very successful for the networks involved and their use is expected to further increase in the future.”

I rapporti trafficanti-ONG.

Ci sono collusioni ? Sulla collusione sta indagando la magistratura; ma c’è la certezza che il loro modo di operare abbia fatto si che, indirettamente, le morti in mare siano aumentate. Infatti, in passato si ventilava il fatto che le ONG fossero semplicemente un “pulling factor”, ossia, che la presenza delle loro navi vicino alle coste di partenza, invitasse i migranti ad imbarcarsi. La magistratura italiana sta oggi indagando sul fatto che vi sia invece una vera strategia che colleghi ONG con traffico di migranti(v. https://www.bloomberg.com/news/features/2017-02-21/inside-the-deadly-pirate-corridor-where-migrants-escape-to-europe) . La prassi di molti di questi “salvataggi” è nota da mesi ed è stato messo in luce dalla stessa Frontex, con il suo rapporto: http://frontex.europa.eu/assets/Publications/Risk_Analysis/Annual_Risk_Analysis_2017.pdf che ha asserito che può aumentare il rischio di morti in mare. Il rapporto fu contestato circa il tema delle collusioni ONG-trafficanti; ma oggi sappiamo che le affermazioni non erano poi così tanto peregrine. Indicativa comunque è la qualità dei nuovi gommoni usati dagli scafisti: dovendo fare un percorso molto più breve di un tempo, si usa oggi materiale di pessima qualità, proveniente quasi sempre dalla Cina. Quindi, nonostante la “tempestività” delle opere di soccorso delle ONG, talvolta esse arrivano in ritardo, e trovano cadaveri. Quando anche li trovino. Nell’attesa, comunque, dei risultati delle indagini della magistratura, potrà essere interessante fare mente locale sui motivi per cui molte “ONG-Navali” si sono rifiutate di accettare il “Codice Minniti”; primo fra tutti la presenza di forze di polizia armate sulle navi. Queste forze servono a far sì che vengano individuati gli scafisti, ossia i criminali; e a far sì che le imbarcazioni dei migranti non vengano restituite agli scafisti. Le ONG non hanno firmato “per motivi di etica”. Lascio al lettore ogni commento.

Altro motivo che ha ostacolato la firma è la richiesta di bilanci e di chiarimenti sui finanziatori. In questo caso confesso di essere a disagio, perché, da un lato ammetto che le Organizzazioni Umanitarie, tutte, fanno attività pregevoli, sia dal punto di vista umano, che sociale. Attività che, in molti casi dovrebbero essere svolte dagli stati. Dall’altro, mi piacerebbe capire meglio dove vanno a finire i soldi, tutti i soldi, che ricevono; o meglio: quale percentuale di soldi ricevuti va in stipendi ed infrastrutture proprie e quanto in vere opere caritatevoli. Le informazioni in merito sono confuse, e non si deve generalizzare, ma ottenere i bilanci delle ONG appare cosa molto difficile, e non solo per Minniti; la ricerca di trasparenza sulle attività delle NGO, infatti, è in corso da anni, ma con poco successo. Si legga, in proposito l’interessante post : http://www.nyudri.org/aidwatcharchive/2010/05/secret-ngo-budgets-publish-what-you-spend/ . E anche il seguente: http://www.theglobaljournal.net/article/view/812/ .

Come dicevo, non è facile trarre conclusioni generali sulla credibilità delle ONG; ma sono certi due fatti: 1. Il business globale è enorme (si parla di migliaia di miliardi di dollari). 2. Non è chiaro come i soldi donati vengano spesi; anzi, è chiaro che per molte organizzazioni siano più importanti i loro stipendi, che le opere di bene (v. http://www.dailymail.co.uk/news/article-3357458/One-five-UK-s-biggest-charities-spending-half-public-donations-good-causes-spend-little-ONE-CENT-charitable-work.html ).

 

Inserito il:22/08/2017 10:48:18
Ultimo aggiornamento:23/08/2017 08:28:03
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