Il Governo che vorrei
di Tito Giraudo
Credo sia meglio dare una sterzata ai toni da immaginario collettivo cui siamo stati un po’ tutti vittime e carnefici.
In qualsivoglia modo la pensiamo, continuare a discutere su come si è arrivati al contratto tra 5Stelle e Lega con gli annessi e connessi, compresi i passaggi di Camera e Senato, rischia diventare espressione di tifo e delle solite posizioni precostituite e italiote.
Mi sottraggo quindi, riservandomi di intervenire, solo qualora i fatti meriteranno di perderci tempo e vis polemica.
Durante le vicende per la formazione del Governo, mi sono chiesto spesso quale sarebbe stata l’alternativa nel caso “il contratto” non fosse andato a buon fine.
Giuro che non sono riuscito a darmi una risposta, al di là del ritorno alle urne che probabilmente avrebbe portato ad un Centro Destra sempre più Salviniano (e volutamente non uso il termine “Leghista”).
Ho deciso pertanto di rovesciare il tavolo, fare finta che domani inizi la campagna elettorale e che i partiti o Movimenti in lizza non mi sciorinino la lista dei desideri ma le priorità e, dalle priorità, consentirmi di fare una scelta secondo modelli europei che valuto positivamente.
Permettetemi quindi di ispirarmi a ciò che avvenne in Inghilterra.
Il Paese, dove nacque la Rivoluzione Industriale e con essa le Unions Sindacali e poi, di conseguenza, il Labour primo esempio di sinistra socialdemocratica in Europa, non solo come forza di opposizione ma dagli anni 20, di Governo, instaurando l’alternanza con i Conservatori.
Perché cito gli inglesi.
Vengo al punto.
La seconda guerra mondiale e soprattutto la fine del colonialismo, avevano fortemente ridimensionato il ruolo politico ed economico dell’Inghilterra. L’accresciuto potere dei Laburisti al governo e delle Unions nelle rivendicazioni sindacali, se da una parte aveva accresciuto il benessere popolare e soprattutto con il Wellfare, lo Stato Sociale; nel contempo aveva fermato il processo di accumulazione e la produttività industriale. Come sempre avviene quando si spende troppo e sindacati condizionano anche politicamente, avviene la recessione economica e quindi il malcontento popolare cambia cavallo.
Nel caso, vinsero i conservatori con la loro leader: Margaret Thatcher.
La Lady di ferro, governò nove anni risanando l’economia senza guardare in faccia alcuno, tagliò i rami secchi e riportò il Sindacato a miti consigli. Ci furono certamente proteste popolari ma la Thacher, convinta di quello che faceva tirò dritto, persino quando i suoi stessi compagni di Partito la richiamavano, per motivi elettorali, a miti consigli.
Tutti sappiamo come andò a finire, l’economia fu risanata e anche se la Thacher dovette lasciare il Governo, quando le subentrò il leader laburista Tony Blair, pur mitigando l’austerità, si guardò bene di abolire le sue riforme.
Vi annoio con un po’ di storia contemporanea inglese per equipararla alla nostra di storia.
Negli anni sessanta il paese attraversò il suo più grande periodo di prosperità. Alla tardiva rivoluzione industriale italiana si accompagnò la cosiddetta civiltà dei consumi che aiutò non poco il mercato interno.
Come sempre avviene, crebbero le spinte protestatarie e le rivendicazioni sindacali a cui la classe dirigente moderata dell’epoca, non avendo un’opposizione socialdemocratica ma Comunista, con legami internazionali che impedivano l’alternanza, rispose con l’alleanza di Centro Sinistra, imbarcando al Governo i Socialisti con le loro ricette, non solo di redistribuzione ma con riforme strutturali di stampo socialista e welfare al di là delle possibilità del paese. Se a questo aggiungiamo lo strapotere sindacale del post sessantotto, non sono difficili da immaginare le cause dell’attuale debito pubblico.
Dopo “mani pulite”, andò al governo un imprenditore che avrebbe dovuto amministrare il Paese, non dico da conservatore perché aveva simpatie craxiane, ma almeno da liberale oculato.
Vero, che non gli diedero il tempo di fare qualsiasi riforma liberale, perché se un Leader è costantemente impegnato in processi e attacchi di varia natura, si difende e non è certo in grado di fare le riforme, magari impopolari ma necessarie.
Se a tutto questo aggiungiamo che il Cavaliere (SI Torrielli: Cavaliere del lavoro! Meritatissimo a mio parere, quando si mette in piedi un’impresa con trentamila dipendenti e non con trenta), è un “piacione” naturale che bada più ad accontentare un po’ tutti che non a risolvere i nodi reali, tenuto conto anche della sua opposizione di sinistra, frutto dell’unione di due ex cimeli politici del Novecento: Comunisti e Cattolici di Sinistra, entrambi più legati al passato che non al futuro.
Appare evidente come nessuno è stato in grado di affrontare i veri nodi dell’economia italiana: Debito pubblico, squilibrio tra nord e sud, un sistema fiscale iniquo e ferraginoso, oltre alla necessità di riformare la Costituzione per quanto riguarda architettura parlamentare e sistemi elettorali.
Un vero Governo del cambiamento, credo, dovrebbe prima mettere mano a tutto ciò e che costerebbe solo come popolarità (del tutto transitoria come Thacher insegnò), per poi ripartire con gli investimenti in grado di favorire, anche da noi, il processo di accumulazione e quindi la necessaria redistribuzione, ma “cum grano salis”.
Ho citato l’Inghilterra, ma anche in Germania ci sono stati Governi che hanno saputo sfidare l’impopolarità ottenendo nel tempo risultati notevoli.
Personalmente non sarei per nulla contrario ad un Governo del cambiamento, compreso lo svecchiamento della classe politica e, perché no, il superamento di Destra e Sinistra con parametri più adeguati ai tempi.
Arrivo anche a sostenere che di per sé due forze politiche, una che rappresenta gli interessi del Centro Nord e l’altra del Sud possano tranquillamente, non fare un contratto, ma un accordo politico che coniughi risanamento con riequilibrio economico e sociale della Nazione.
E chi se ne frega che se ci sono due galli nel pollaio, si ricorra a un tacchino che diriga il traffico, purché le istanze degli uni e degli altri, al di là della demagogia elettorale, siano mirate a risolvere prima i problemi strutturali del Paese.
Rinsaviranno i nostri eroi? E’ possibile, perché quando il piatto piange, o si smette di giocare, o si rilancia ma a differenza del poker, si deve farlo rigorosamente senza bluff.
Il sovranismo italiano, può funzionare per risolvere, come è giusto, i problemi interni. Ma anche su questo tema mi piacerebbe che la battaglia con l’Europa, fosse per avere più Europa, non solo economica ma fiscale, giudiziaria, militare Invece di andare ad elemosinare l’aumento del debito pubblico che, con l’aria che tira, sottoscriveranno soprattutto i cittadini e non certo gli investitori internazionali. Soprattutto alleiamoci con l’Europa evoluta e non con quella uscita dallo sfacelo del Comunismo.
Ecco il Governo che vorrei.
E voi?