Aggiornato al 06/11/2024

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Voltaire

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Guerra in Iraq 20 anni dopo

di Achille De Tommaso

 

Sulla scia dell’articolo di Ruggero Cerizza, l’“Effetto del Vincitore”, vi propongo questa lettura. Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche in una lettera del 1887 a suo fratello, scriveva:

"I fatti storici si possono giudicare solo dopo anni, quando le passioni si sono calmate e le parti in causa sono scomparse."

Il conflitto in Ucraina, il crescente potere dell'Iran, l'ascesa-discesa-ascesa (forse) di Trump, il declino della confidenza nelle capacità dei presidenti americani, possono forse essere ricondotti all'invasione del 2003. Siamo nei tempi giusti, per quest’analisi, dopo 20 anni?

***

All'inizio del secolo, l'America era uscita vittoriosa dalla Guerra Fredda e resisteva incontrastata. Aveva un potere e un'influenza maggiori di qualsiasi altra nazione nella storia. Avrebbe potuto esercitare giudiziosamente quel potere per proteggere l'ordine mondiale del dopoguerra guidato dagli americani e ispirare altri paesi a seguire i suoi valori di libertà e democrazia. Invece, sperperò quella supremazia imbarcandosi in una disastrosa disavventura in Iraq, che è stata pensata sconsideratamente, e disastrosamente eseguita. A mio parere ha segnato l'inizio della fine della “pax americana”.

Si può tracciare una linea diretta tra quella debacle, iniziata il 20 marzo 2003 e le altre che ne sono seguite, fino al pericoloso stato del mondo di oggi. La guerra in Ucraina, l'ascesa incontrollata della Cina, il crescente potere dell'Iran e persino la possibile, reiterata ascesa di Trump; e la politica del populismo, hanno tutte radici che possono essere fatte risalire, secondo me, alla follia americana in Iraq.

Le falsità e le delusioni che hanno portato alla guerra

L'America è entrata in guerra guidata da ideologi che credevano di poter rimodellare il Medio Oriente a loro immagine e somiglianza e portare la democrazia e una visione più filoccidentale nella regione. Il fallimento di quel progetto neoconservatore ha arrecato danni permanenti alle pretese di eccezionalismo degli americani e alla loro convinzione che la loro forma di governo sia un esempio per il resto del mondo. E questo ha, per estensione, danneggiato in modo duraturo l'ordine mondiale guidato dagli americani. I fallimenti di quel progetto in Iraq sono ben documentati. La falsa affermazione di armi di distruzione di massa, che erano inesistenti; l'illusione che gli invasori sarebbero stati accolti come liberatori, l'assenza di qualsiasi piano per il giorno dopo. Il danno alla posizione dell'America nel mondo è stato incalcolabile.

Allo stesso modo, le violazioni dei diritti umani, le violazioni delle norme democratiche, le uccisioni mirate e le atrocità della prigione di Abu Ghraib, da dove sono emerse fotografie che mostrano abusi sui detenuti da parte dei soldati statunitensi, hanno offuscato l'immagine dell'America come portabandiera della democrazia e dei diritti umani.

Ciò ha indebolito l'influenza di Washington nel mondo. Quando l'India e altri paesi del sud del mondo si siedono in bilico nelle risoluzioni delle Nazioni Unite sull'Ucraina, la loro ambivalenza può essere in parte ricondotta al passato dell'America in Iraq.

Un impatto duraturo sulla politica estera degli Stati Uniti

Il fallimento ha minato la fiducia in se stessi dell'America stessa. Lo spettro dell'Iraq aveva poi reso Barack Obama riluttante ad essere coinvolto nel conflitto siriano, e a punire l'uso diabolico delle armi chimiche da parte del suo leader. Quella riluttanza è stata vista a Mosca come una debolezza americana, e probabilmente l'ha incoraggiata a sfidare l'Occidente e impadronirsi della Crimea, con relativa impunità, pochi anni dopo. E questo a sua volta ha incoraggiato Vladimir Putin a invadere poi seriamente l'Ucraina.

La distrazione dell'Iraq ha portato al fallimento in Afghanistan, un protrarsi di due decenni di occupazione e un disastroso ritiro.  

E l'Iran è stato rafforzato. Prima dell'invasione, la sua influenza regionale era limitata a una milizia nel sud del Libano, Hezbollah. Oggi ha influenza nelle capitali da Beirut a Damasco, a Baghdad, allo Yemen.

 Il conflitto è costato mille miliardi di dollari e migliaia di vite americane. Ha alimentato l'opposizione a qualsiasi altra avventura militare all'estero. E ha minato la fiducia degli americani sia nel proprio governo, che nelle élite politiche e mediatiche destinate a tenerne conto. Ciò aiuta solo in parte a spiegare l'ascesa del populismo che alla fine ha portato Trump alla Casa Bianca e rischia di riportarcelo.

In Iraq, le persone ora, è vero, non vivono più sotto una palese tirannia. Ma il paese è stato letteralmente all'inferno per arrivare a questo punto. Centinaia di migliaia sono morti nella guerra e nelle ondate di violenza settaria che ne sono seguite. Il paese è stato distrutto, le sue istituzioni distrutte e la sua economia devastata.

Sta appena iniziando a riprendersi da tutto quel trauma. Ma dieci anni fa, George W. Bush disse che il verdetto finale sulle sue azioni in Iraq sarebbe arrivato molto tempo dopo la sua morte. E non si sa se sia già il tempo per tirare le somme. Potrebbe volerci più tempo per giudicare se la rimozione di uno dei peggiori tiranni della storia abbia in qualche modo giustificato l'enorme costo e il dolore che ne sono seguiti.

Vent'anni dopo, però, possiamo dire che l'invasione e l'occupazione hanno lasciato un'eredità duratura nella regione e nel mondo, e gran parte di ciò non è stato per il meglio.

E forse è anche tempo di cominciare a riflettere sulla Palestina ed Israele.

 

Inserito il:30/07/2024 18:21:45
Ultimo aggiornamento:30/07/2024 19:16:06
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