Aggiornato al 07/10/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Jennifer Owens (Irlanda, 1982 - ) - Discussion Developed (2008)

 

La pacchia!

di Gianni Di Quattro

 

Il termine pacchia indica una condizione di vita particolarmente fortunata, agiata, felice. Difatti l’allocuzione “è finita la pacchia” indica la fine di uno stato di privilegio, particolarmente fortunato e l’inizio di una situazione di gran lunga peggiore, più difficile e forse anche pericolosa. Il termine è noto perché usato per dire a qualcuno che deve rivedere il suo comportamento, mettersi a studiare se detto ad uno studente indietro con i programmi, a lavorare se detto ad un impiegato che ha lungamente approfittato di capi pigri e inefficienti, insomma a fare i propri comodi senza curarsi delle proprie responsabilità e doveri.

La pacchia si può anche riferire ad un popolo intero, quando lo stesso vive in un modo sproporzionato alle proprie possibilità economiche o pretende di giocare ruoli internazionali senza averne l’autorità e senza che tale ruolo gli venga riconosciuto da chicchessia. E può essere pronunciata, in tal caso, da un vecchio e competente saggio che lancia al popolo e ai suoi responsabili un grido di avvertimento o da un dittatore che preso possesso del potere decide di far sapere al “suo” popolo che da questo momento la musica di fondo del suo modo di vivere cambia.

In altri termini “la pacchia” è una parola simbolica, nel senso che non c’è modo più spiccio e più chiaro per far sapere quello che si pensa e quello che si vuole e, se detta da chi ha il potere, quello che si dovrà fare, quello che si vuole deve succedere.

Per la verità la discussione intorno a questa parola è accesa perché qualcuno sostiene che è volgare ed in genere è indirizzata non solo e non tanto a chi gode di privilegio legittimo, ma a chi gode di una condizione di illiceità, a chi è un approfittatore sociale come dire un delinquente. Forse coloro che sostengono tale ipotesi hanno ragione perché basta scorrere l’uso letterario della parola per rendersi conto come nella storia del linguaggio e della cultura questa è la versione più diffusa. Ma non può essere vero in ogni caso e non è una versione consolidata.

Il suo impiego a livello formale o ancor più istituzionale è desueto ed è relegato o all’uso domestico a scopo di educazione di giovani irrequieti o al gergo malavitoso nelle lotte tra bande rivali per conquistare qualcosa o per eliminare avversari.

Negli ultimi tempi è ritornata tuttavia di moda perché usata da uno degli statisti che hanno costituito un nuovo governo nel nostro paese proprio perché vuole, crediamo, dimostrare apostrofando persone e situazioni una profonda rottura con il passato. Ed allora si può capire l’uso e trova completa applicazione il termine e anzi acquista un nuovo significato, quello di una minaccia, senza cancellare comunque la sua vera etimologia.

In ogni caso rivolgersi a qualcuno dicendo, meglio dire dunque minacciando, è finita la pacchia dimostra, per lo meno nelle intenzioni, da parte di chi la pronuncia il proprio potere sull’apostrofato e include la comunicazione più o meno palese che quest’ultimo deve ubbidire perché altrimenti qualcosa di poco gradevole può accadergli.

Ed è per questo, in definitiva, che è ovviamente considerata volgare. Inoltre e a prescindere, se la persona che la pronuncia, come ad esempio lo statista del nostro nuovo governo sopra citato, è una persona volgare per come si manifesta in generale nel suo modo di parlare, di presentarsi, di interagire con altri, di operare insomma, anche la frase pronunciata da un simile tipo è volgare.

Pare logico affermare, in altri termini, che, come spesso succede per molti modi fare e dire, la frase “è finita la pacchia” è potenzialmente volgare e non educata, ma il suo livello di volgarità dipende da chi la pronuncia e da come la pronuncia. Comunque nel Galateo di Monsignor della Casa la parola pacchia non c’è!

 

Inserito il:27/01/2019 11:41:38
Ultimo aggiornamento:27/01/2019 11:49:14
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