Aggiornato al 16/06/2025

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Immagine realizzata con strumenti di Intelligenza Artificiale

Clicca qui per ascoltare 

 

Il prezzo dell’utopia: le radici ideologiche dei conflitti contemporanei

Commento all’articolo di Bruno Lamborghini “Si vis bellum, para bellum”

di Achille De Tommaso

 

L’analisi di Bruno Lamborghini sul nuovo paradigma del “Si vis bellum, para bellum” rappresenta una fotografia acuta e lucida della drammatica escalation militare a cui stiamo assistendo. Ma dietro l’evidenza quantitativa dell’aumento delle spese militari mondiali si nasconde un sottostrato culturale e ideologico assai più profondo. Non sono solo le ragioni industriali, strategiche o geopolitiche a spingere il mondo verso il riarmo: esistono, a mio modesto parere, responsabilità ideologiche precise, maturate in decenni di supporto alle ideologie progressiste, che hanno disarmato l’Occidente sul piano della percezione strategica e della realpolitik.

***

Il pacifismo assoluto come negazione del conflitto

Fin dagli anni ’60 e ’70, il pensiero progressista occidentale ha abbracciato un pacifismo ideologico che, più che opporsi alla guerra ingiusta, ha finito per negare la legittimità stessa della forza come strumento di equilibrio. Movimenti nati in reazione ai drammi della guerra del Vietnam, alle tensioni della Guerra Fredda e al riarmo nucleare, hanno progressivamente imposto una visione semplificata della politica internazionale: la pace come stato naturale, la guerra come colpa dell’Occidente, il dialogo come unico strumento accettabile. L’accoglienza indiscriminata senza protezione dei confini. L’odio verso le forze dell’Ordine, denominate in maniera qui irripetibile.

Questa cultura pacifista — che trova radici nei movimenti hippie, nella cultura post-68 e, ancora oggi, nelle università occidentali — ha alimentato per decenni l’illusione che la deterrenza fosse superata e che la cooperazione economica globale potesse sciogliere ogni antagonismo.

Il disarmo strategico post-Guerra Fredda

Con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, questa visione ha trovato il suo massimo compimento. La “fine della storia” teorizzata da Francis Fukuyama fu letta da molti ambienti progressisti come la consacrazione definitiva del multilateralismo, del commercio globale e della supremazia del diritto internazionale. L’Europa, in particolare, scelse la via del disarmo progressivo e dell’abbandono sistematico della politica di potenza, ritenendola un retaggio arcaico.

Il divario tra la spesa militare statunitense e quella europea crebbe esponenzialmente. Mentre gli USA, pur tra oscillazioni, mantennero una capacità militare globale, l’Europa affondava nel mito della “potenza civile”, incapace di esercitare reale deterrenza in ambiti come il Vicino Oriente, il Mediterraneo o l’Asia Centrale.

Il multiculturalismo ideologico e la giustificazione degli aggressori

Su questo impianto pacifista si è innestata, negli ultimi vent’anni, l’ideologia woke e postcoloniale, che ha ulteriormente minato la lucidità strategica dell’Occidente. L’Occidente viene sistematicamente colpevolizzato per i propri presunti peccati storici: colonialismo, imperialismo, razzismo sistemico, ingiustizie climatiche e sfruttamento economico.

Questa lettura deformante ha generato la sistematica indulgenza verso le ambizioni di potenze come Russia, Cina, Iran o i movimenti jihadisti, interpretati non come aggressori, ma come “resistenti” a un ordine globale ingiusto. Così, mentre l’Occidente veniva logorato da un’autocritica paralizzante, i rivali autoritari espandevano silenziosamente la propria influenza, armavano milizie, modernizzavano gli arsenali. Spesso perfino non contrastati, o tollerati, da una “giustizia” occidentale assente, o miope, verso crimini come lo stupro.

Ucraina e il fallimento dell’appeasement

L’invasione dell’Ucraina nel 2022 rappresenta forse la manifestazione più evidente del prezzo pagato da questa visione ideologica. Per anni, ampi settori progressisti europei — soprattutto in Germania, in parte in Francia e in Italia — hanno predicato la necessità di dialogare a ogni costo con Mosca, di aumentare la dipendenza energetica dalla Russia e di ridurre ogni postura deterrente. La Ostpolitik tedesca, erede diretta di questa filosofia accomodante, ha permesso a Putin di finanziare il proprio riarmo grazie ai proventi energetici europei, mentre l’Europa chiudeva basi militari e riduceva i propri eserciti a forze simboliche.

Quando la Russia ha rotto ogni equilibrio invadendo l’Ucraina, l’Occidente si è riscoperto improvvisamente privo degli strumenti adeguati per rispondere con forza immediata. La guerra ha costretto i governi europei a riavviare programmi di riarmo in pochi mesi, dopo decenni di smobilitazione.

Il Medio Oriente e l’ingenuità della diplomazia illimitata

Un percorso analogo si osserva nel Medio Oriente. Gli accordi sul nucleare iraniano del 2015 (JCPOA), fortemente sostenuti dall’amministrazione Obama e da ampi ambienti progressisti, vennero celebrati come un modello di diplomazia avanzata. In realtà permisero a Teheran di consolidare la propria rete di milizie proxy (Hezbollah, Houthi, Hamas) e di perseguire il proprio programma missilistico e nucleare sotto la copertura diplomatica.

L’approccio indulgente verso le “Primavere arabe” — altro frutto di visioni ideologiche ottimiste — ha destabilizzato intere regioni, generando conflitti brutali in Siria, Libia, Yemen, anziché instaurare le democrazie invocate.

La legge eterna dell’equilibrio

La lezione, oggi drammaticamente evidente, è che la pace internazionale non nasce mai da un’assenza di forza, ma da un equilibrio di forze. La deterrenza resta il fondamento strutturale della sicurezza. La negazione ideologica di questa realtà ha lasciato per anni campo libero a chi non ha mai condiviso l’ingenuità occidentale.

Oggi il mondo si trova costretto ad accelerare un riarmo imponente, non per cinismo o avidità industriale — come semplicisticamente sostiene parte del discorso pubblico progressista — ma come unica via per ricostruire un equilibrio di potenza compromesso da decenni di utopia disarmista.

In questo senso, l’attuale “Si vis bellum para bellum” di Lamborghini, non rappresenta l’abbandono della civiltà, ma l’ammissione tardiva che le visioni ideologiche che hanno dominato l’Occidente hanno fallito nel comprendere la durezza intrinseca dell’ordine globale.

 

Inserito il:14/06/2025 21:28:57
Ultimo aggiornamento:15/06/2025 08:13:41
Condividi su
ARCHIVIO ARTICOLI
nel futuro, archivio
Torna alla home
nel futuro, web magazine di informazione e cultura
Ho letto e accetto le condizioni sulla privacy *
(*obbligatorio)


Questo sito non ti chiede di esprimere il consenso dei cookie perché usiamo solo cookie tecnici e servizi di Google a scopo statistico

Cookie policy | Privacy policy

Associazione Culturale Nel Futuro – Corso Brianza 10/B – 22066 Mariano Comense CO – C.F. 90037120137

yost.technology | 04451716445