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Ucraina come Gaza?
di Bruno Lamborghini
Il poco realistico ultimatum di 50 giorni di Trump a Putin per un cessate il fuoco in Ucraina pena nuove sanzioni è una ulteriore dimostrazione della limitata capacità o volontà di Trump di influire sui conflitti in corso e fa il paio con i suoi mancati interventi per fermare le stragi a Gaza.
Su Gaza appare sempre più evidente il fermo obiettivo di Netanyahu di proseguire fino in fondo nella distruzione dei centri abitati, considerati rifugi di Hamas e nel tentativo di spostare la popolazione verso Sud della Striscia in tendopoli e poi il trasferimento fuori Gaza (verso il deserto egiziano del Sinai?)
Se il progetto si realizza, Gaza senza abitanti e senza Hamas resterà una spianata di rovine inabitabili forse per realizzare il progetto di Trump di rifarne una nuova Riviera del Medio Oriente. Tutto questo peraltro appare inattuabile, ma comunque il programma procede con l’accordo di Trump, eventualmente con qualche tregua temporanea, ma con la guerra che continuerà con migliaia di vittime, anche per fame ed epidemie.
Lo stesso destino appare seguire anche l’Ucraina a cui verranno in parte date armi da Trump (a pagamento) e da UE Nato per proseguire una difficile difesa nei confronti di un Putin sempre più convinto di potersi estendere nell’occupazione di territori (e possibilmente delle due città strategiche per lui e per l’Ucraina, Karchiv e Odessa), bombardando pesantemente Kiev e le altre città con vittime civili e distruzione di infrastrutture vitali e cercando così di rendere insostenibile il prolungamento del conflitto da parte ucraina.
Il programma di Putin di fare dell’Ucraina che rimane non occupata un territorio smilitarizzato trova reazioni sempre più deboli e incerte (anche se minacciose a parole) da parte di Trump, oltreché dall’incerto riarmo dei paesi europei “volonterosi”.
Si prospetta quindi, non solo un’estate, ma una lunga stagione di attacchi russi sia sul campo che nelle città con vittime e distruzioni di infrastrutture, rischiando di lasciare, quando e come potrà terminare la guerra, una Ucraina in ampia parte sotto controllo russo, ma soprattutto una distesa di rovine ad Est ed anche in tutto il territorio, un deserto come a Gaza. In più, già ora più di un terzo della popolazione ucraina è uscita dal paese e rischia di non rientrarvi.
Anche per l’Ucraina si stanno organizzando interventi come la conferenza tenuta a Roma in luglio per la sua ricostruzione, ipotizzando da 500 a 1000 miliardi di dollari (da parte di chi?). Ci si domanda anche come contribuirà Trump con il suo animo di immobiliarista, che ha già ottenuto il controllo delle aree minerarie, per la parte che rimarrà all’Ucraina. In realtà, le materie rare sono prevalentemente nei territori occupati e pretesi da Putin e vi è da chiedersi come si muoverà Trump verso Putin.
Le cose si complicano se la cessazione della guerra si concluderà, non con una pace, ma con una tregua armata simile a quanto avvenuto tra Corea del Nord e Corea del Sud. Lo scenario che si prospetta è complesso e preoccupante sia per la situazione in Ucraina e verso la Russia che per Gaza/Israele.
Le altalenanti posizioni di Trump per l’Ucraina hanno ulteriormente aggravato il quadro, dapprima favorendo intese con Putin che rafforzavano le sue ambizioni in Ucraina e poi mostrando ambiguità nei comportamenti dando ulteriore spazio di manovra a Putin, a cui appare contribuire anche la minaccia, più a parole che nei fatti, di ulteriori pesanti sanzioni.
Analogo appare il comportamento ambivalente di Trump in Medio Oriente spesso parlando dei due stati, ma di fatto non bloccando i programmi di Netanyahu nelle sanguinose operazioni militari su Gaza e sulla Cisgiordania, al di là di ipotetiche tregue, essendosi assicurati entrambi il rispetto nell’opinione pubblica internazionale con il “successo” del bombardamento delle centrali nucleari in Iran. L’obiettivo di Israele rimane peraltro il pieno controllo della Cisgiordania (con Gaza su cui decidere), ben al di là dell’obiettivo dei due stati.
Come stanno affrontando queste situazioni da un lato la Cina e gli altri paesi del Sud del mondo e dall’altro i paesi europei?
Se osserviamo quanto avvenuto durante la riunione Brics a luglio in Brasile, appare evidente che il terremoto Trump ha creato confusione ed incertezza, di fatto indebolendo gli obiettivi Brics di costruire un’alternativa al sistema di potere finanziario e di mercato dell’Occidente.
L’assenza di Xi Jmping e la possibile uscita dell’Arabia Saudita, oltre alle questioni emerse tra gli altri paesi, in specie quelli africani, appaiono dimostrare le difficoltà o impossibilità nel costruire una nuova unione globale. La partecipazione della Russia di Putin con il conflitto ucraino non aiuta all’unità d’intenti e la stessa Cina appare ora prendere le distanze dal coinvolgimento negli eventi bellici, così come dal confronto diretto con le politiche dei dazi di Trump, cercando di evitare conflitti con l’America di Trump.
L’Unione Europea ed i singoli paesi europei sembrano in parte aver ritrovato nuova vitalità da un lato sotto l’imposizione da parte di Trump del 5% del PIL delle spese per la difesa in ambito Nato ed anche per il rilancio del sostegno alla difesa dell’Ucraina e dall’altro sotto la minaccia di Trump dei dazi al 30% sulle esportazioni europee, a cui non si sa come rispondere.
Tra i diversi paesi si sono creati due gruppi da un lato, Francia e Regno Unito, fondatori dei “volonterosi”, pronti ad intervenire in Ucraina in caso di tregua e comunque disposti a contrattaccare i dazi di Trump, mentre Germania ed Italia sembrano mostrare più cautela sia nei riguardi di un intervento diretto europeo in Ucraina che nei confronti di controreazioni verso i dazi per una ricerca di negoziati.
La presidente della Commissione Europea appare più orientata verso questo secondo atteggiamento, in particolare nella reazione ai dazi. La Germania del cancelliere Merz si è fortemente attivata ad investire nella difesa puntando a 100 miliardi Euro all’anno per dieci anni e così divenire il maggiore paese europeo come capacità di difesa ed assieme alla Polonia il paese più preoccupato della possibile espansione della Russia.
Qualche decisione dovrà comunque essere presa in Europa in rapporto alle politiche commerciali di Trump ed al suo disimpegno nell’ambito Nato per ridurre le spese USA e farle pagare agli europei, tema che lui sente moltissimo.