Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Vadim Stolyarov (Izhevsk, Udmurtia, Russia, 1969 - ) – Different opinions – Oil on canvas

 

Elezioni italiane 2018

di Giorgio Panattoni

 

Le elezioni italiane non hanno rappresentato l’eccezione rispetto a quanto successo in tutta Europa. Abbiamo anche qui assistito alla fine dei partiti di ispirazione socialista e al modello che via via hanno rappresentato per la evoluzione della società e per la risposta ai suoi bisogni.

Se c’era bisogno di una contro prova il fallimento elettorale del movimento Liberi e Uguali, nato per raccogliere la sinistra vera tradita dalla socialdemocrazia, ne è la conferma, con buona grazia dei teorici (e dei nostalgici) di casa nostra.

A questo si aggiunge anche la caduta degli altri partiti tradizionali, Forza Italia in primis, che appaiono sempre più come spaesati rispetto alla velocità del mondo.

E i contratti berlusconiani a Porta a Porta ne sono la patetica sottolineatura.

Ormai tutte le manifestazioni della vita quotidiana si vivono in tempo reale, sulla pelle di bisogni, sentimenti, reazioni immediati. Vince chi è capace di rispondere a tono con strumenti che simulano la partecipazione diretta al cambiamento, che illustrano un mondo diverso sui punti più sensibili, che sollecitano il cambiamento radicale, e chi con diktat tonanti sfonda sui terreni sicuri della paura e della perdita di identità.

Dentro a questo quadro non c’è spazio per le azioni (e per i risultati) di governo, sempre lente rispetto alle attese e che coprono fasce sempre più ristrette di opinione pubblica.

Quando più di un terzo di cittadini è alla ricerca di un posto di lavoro, quando ci sono code di 5.000 candidati per 30 posti, quando le strade sono “invase” da immigrati più o meno clandestini, che continuano a restare corpi estranei della società, quando si deve lavorare sino a 70 anni per una pensione ridotta, c’è spazio solo per risposte “così non va bene, occorre cambiare tutto”. Indipendentemente dai 130.000 precari assunti nella scuola, o dalle leggi sui diritti civili.

Poco importa se poi il cambiamento sarà difficile da realizzare, a volte impossibile, se le risposte non arriveranno nei tempi della propaganda elettorale, se i vincoli di governo non si cancellano con gli slogan, se le risorse per cambiare non ci sono o sono limitate.

Ormai i giochi sono fatti, domani è un altro giorno.

E così anche in Italia, ma direi sopra tutto in Italia, è radicalmente cambiata la geografia politica del paese, ci affacciamo a un mondo nuovo e quasi sconosciuto, con le lusinghe, le incertezze e i rischi che questo comporta.

E il PD, secondo tradizione, entra per l’ennesima volta in crisi.

Questa volta lo scontro è complesso. Da una parte chi ritiene di poter condurre approcci e segnali di disponibilità verso i nuovi interlocutori (ma sì, possiamo parlare con i Cinque Stelle, ci scappa anche la presidenza della Camera, e magari qualche importante incarico di governo), e chiede mano libera, dall’altra (la maggioranza del partito) chi vuole ripartire senza vincoli preventivi restando fuori dal gioco per avere il tempo di rifondare partito, progetto, partecipazione, strumenti etc., nella speranza di essere capaci di cambiare (e tanto). Coerentemente con quanto affermato in tutta la campagna elettorale.

Il problema nuovo e devastante per i tempi della politica è che tutto si giocherà nei prossimi 15 giorni, cioè in uno spaventoso attimo politico.

E che questa decisione non è compatibile con i meccanismi della democrazia interna di una struttura complessa come quella del PD.

Di qui le parole di Renzi, “niente caminetti, niente inciuci con le strutture anti sistema, si va all’opposizione”. Poi mi dimetto e si ricomincia.

Dall’altra parte “vai via subito, lasciaci lavorare per stare dentro al governo o, perlomeno, per tentare”.

Due strategie opposte, inconciliabili, che potrebbero portare all’ennesima spaccatura o peggio ai franchi tiratori al momento del voto.

Il tutto paradossalmente senza considerare che chi ha vinto le elezioni è la coalizione di centro destra, che avrà il diritto di condurre il tentativo di fare un governo, e non i Cinque Stelle, a prescindere dalla sicura arroganza che dimostrano in questa fase.

E sullo sfondo, ma ovviamente mica tanto, Mattarella, da sempre contrario a nuove elezioni, come dimostrato anche in occasione del fallito referendum istituzionale.

Anche lui presumibilmente schierato per trovare una soluzione di governo, cioè un accordo tra parti avverse.

Si apre una fase a dir poco complessa, destinata a lasciare forse un segno indelebile nella politica italiana.

 

Inserito il:06/03/2018 11:29:14
Ultimo aggiornamento:06/03/2018 11:33:41
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